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Giulio Regeni non era solo, e forse quasi per niente, "un nostro giovane". Era molto di meno (non studiava per un'istituzione italiana) e molto di più (faceva parte di una comunità internazionale fatta di ricercatori e attivisti).***Non tutti però stavano raccontando Regeni in prima pagina. Online, i principali giornali di destra preferivano derubricare: a mezzogiorno del 5 febbraio Libero apriva su Padre Pio e si limitava, cavalcando quella tendenza all'autoreferenzialità, a chiedere ai lettori se era giusto che il Manifesto avesse pubblicato l'articolo del dottorando di Cambridge. Il Giornale, fra un banner riguardante "le madri dell'ISIS" e un titolo sulle adozioni gay, dava alla vicenda un'importanza secondaria. Nel pomeriggio sarebbe tornato all'assalto, tirando fuori la fantasiosa teoria secondo cui Regeni era un agente dei servizi segreti italiani. Riprendendo il blog di Marco Gregoretti, che si occupa di "misteri, complotti e terrorismo," Giuseppe De Lorenzo, spiegava che la colpa era da ascrivere alla solita improvvisazione italiana e che i servizi del Generale Egizio avevano fatto più o meno il loro dovere, essendo però, forse, troppo zelanti: "la morte di Regeni sarebbe da interpretare come una sorta di avvertimento ai servizi italiani: 'Non ingerite maldestramente'." Quanto al Foglio, titolava con l'uscita della famiglia Agnelli dal Corriere della Sera. Entrando nei meandri della pagina web si ritrovava l'anticipazione del "taccuino di Mario Sechi", su cui si trovava un laconico: "L'omicidio del giovane dottorando italiano al Cairo non sposterà una virgola: troppo grandi i nostri interessi in Libia e i legami di Sisi col governo di Tobruq."Flowers and candles for the memory of — Sarah Mohsen (@sarah_m94)February 6, 2016
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