Tecnología

​Gli sviluppatori italiani guadagnano 11.000 euro all’anno meno degli altri

Per qualche anno di liceo ho studiato il C++ su questo spettacolare a dettagliatissimo manuale senza avere alcuna base di partenza—Ciononostante, di programmazione e sviluppo continuo a sapere ben poco, e la complessità dei miei codici sorgenti artigianali spesso non superava quella di un banale ‘hello world’:

using namespace std; int main() { cout << “Hello World!”; return 0; }

Per anni ho vissuto nel rimorso, provando fiumi di odio verso me stesso per non aver voluto sforzarmi quel minimo in più che serviva per aprire il libro di matematica e andare oltre le moltiplicazioni in colonna con riporto per riuscire così ad entrare davvero nel vivo della programmazione informatica. Così, quando poco tempo fa ho letto sul Sole 24 Ore che gli stipendi dei programmatori italiani non sono in linea con la realtà paradisiaca del resto del mondo sono stato colto da più di un grattacapo—Forse per la prima volta in vita mia avevo inconsciamente fatto la scelta giusta?

Ovviamente no, perché la programmazione continua ad affascinarmi più di qualunque altra cosa, ma non potevo certo far passare sotto silenzio il fatto che l’ultimo Developer Survey di Stack Overflow riveli come “i developer italiani con più di 5 anni di esperienza risultano 30esimi in una classifica di 36 nazionalità per valore dello stipendio rapportato al potere d’acquisto.”

Un altro aspetto particolare del Developer Survey di Stack Overflow? L’Italia non appare quasi mai nelle classifiche riportate.

Dimenticandoci per un attimo dell’anomalia della Silicon Valley, l’impressione è che quello del programmatore non sia esattamente il peggior lavoro del mondo—Certo, il malcontento serpeggia anche nei luoghi più inaspettati (come gli studi di sviluppo di videogiochi), ma tolto il ricorrente dramma della sindrome del code monkey (il programmatore-scimmia), farsi pagare per plasmare interfacce informatiche deve essere assolutamente galvanizzante.

E ancora, l’idea che questa voragine salariale si contrapponesse a una richiesta sempre più alta mi ha mandato ai matti, “Dati forniti dal portale di ricerca lavoro Face4Job mostrano come il 25% dei professionisti più ambiti gravitino nel settore di tecnologie e It, con due categorie di sviluppatore (software developer e web developer) a spartirsi le prime due posizioni sul podio in una classifica di 50 professionalità,” si legge sul Sole 24 Ore.

Insomma non ci ho capito più un cazzo: me l’avevano venduto come il mestiere del terzo millennio, farcito di faticoso lavoro e meritata bambagia, e poi si è scoperta la fregatura. Per questo ho deciso di lasciare stare le metriche vaghe di un ente microbico come Stack Overflow e ho lavorato alla mia personalissima Developer Survey basata su ben tre campioni.

“Ahahah! Piacere, Mario! Anche io non guadagno un cazzo, proprio come te!” via ShutterStock

Negli Stati Uniti il programmatore è visto (almeno da me) come un’anomalia del mondo tech: trova spesso e volentieri un ottimo lavoro e viene percepito come un oracolo nelle aziende—Come si sta qua? È vero che l’Italia che riparte sta scoprendo l’innovazione e che questi digital champion stanno alfabetizzando la plebe all’uso delle macchine? Ho contattato alcuni sviluppatori e programmatori italiani per sapere come la pensassero.

Per Simone Robutti, machine learning engineer per Radicalbit, il problema nasce dalla gestione burocratica della professione, “In questa categoria c’è poca coscienza di classe nonostante il volume di forza lavoro coinvolto,” mi spiega. “Il fatto che a livello politico il tema “innovazione” sia di terz’ordine e che gli informatici non siano una categoria professionale considerata di primo piano non aiuta—I dati di StackOverflow, secondo me, non sono particolarmente affidabili sul piano statistico, quindi non li prenderei come oro colato: sono, però, senza dubbio allineati a quella che è la percezione comune.”

Per Simone uno dei problemi principale è da riscontrarsi proprio nell’incapacità generale di definire con precisione cosa sia un informatico, “Non si tratta di una categoria particolarmente omogenea, anche se dall’esterno spesso viene considerata come tale. C’è molta varietà di competenze, di attitudini, di percorsi formativi e professionali, di ambizioni, di tecnologie, differenze culturali e quant’altro; da queste derivano anche nette differenze di stipendi, di possibilità di lavorare all’estero e così via,” mi spiega Simone.

“In Italia vengono messi nello stesso calderone ricercatori, sistemisti, sviluppatori junior, senior, generici, specializzati, consulenti, sviluppatori di prodotto e così via.”

“Per farti un esempio: immagina che tutte le persone che lavorano in un ospedale vengano categorizzate come “ospedalieri” e si ragioni dei loro stipendi e del loro settore come fossero un unicum. Dal tizio che lava i cessi, ai primari, dagli infermieri agli specializzandi:’Lavorano in un ospedale, curano la gente, quindi son più o meno la stessa cosa’.” continua Simone. “Ovviamente questo atteggiamento renderebbe impossibile qualunque ragionamento sensato sulla categoria—Con gli informatici, sopratutto in Italia, la situazione è questa: vengono messi nello stesso calderone ricercatori, sistemisti, sviluppatori junior, senior, generici, specializzati, consulenti, sviluppatori di prodotto e così via.”

Per quanto riguarda i numeri, Simone crede che la spiegazione sia da ritrovarsi in un’anomalia italiana, “Nel nostro paese una parte enorme della forza lavoro è composta da consulenti, da sviluppatori di piccole software house che lavorano su piccole commesse locali e freelancer che si incuneano per raccogliere le briciole di consulenti e agenzie varie,” mi spiega. “Questa è manodopera tendenzialmente poco qualificata per gli standard del settore, con poche prospettive di crescita e un’attitudine al lavoro più vicina alla catena di montaggio—Questo settore all’estero ha un peso minore sul totale.” Ovviamente non si tratta di una regola generale da cui è impossibile fuggire, “Ci sono tante eccezioni ovviamente e tante eccellenze che si spendono in questi ambiti, ma sono un’anomalia poco significativa quando si ragiona di numeri su scala nazionale.”

Il problema reale, quindi, è da cercarsi in un’altra nicchia del settore, quella degli sviluppatori specializzati, “La fasce degli sviluppatori formati, con una concezione del lavoro fondata sul continuo aggiornamento, sull’eccellenza tecnica, sul rinnovo di metodologie e tecnologie usate, che principalmente lavora su prodotti o in consulenza su temi nuovi sono generalmente più attivi nella comunità e più competitivi nel mercato del lavoro,” mi spiega. “Il problema di questa categoria è che in Italia si tratta effettivamente di una fascia sottopagata rispetto all’estero: anche a parità di welfare e tassazione, diciamo con la Germania, i nostri stipendi tendono a far ridere,” continua Simone.

“Molti settori sono ipotrofici rispetto all’estero, con meno competizione per accaparrarsi le persone qualificate,” mi spiega, “E sul piano prettamente culturale, molte aziende sono meno disponibili a pagare un compenso proporzionato per gli informatici: se all’estero un programmatore senior può avere lo stipendio di un middle-management, qua giusto i chief technical officer, i chief architect e in generale le figure semi-tecniche di alto profilo riescono ad arrivarci,” conclude Simone.

Sono state proprio le premesse mostratemi da Simone a convincermi a cercare una visione d’insieme del settore più eterogenea—Andrea Basilio è un Lead Game & Technical Designer per Milestone, la più grande realtà di sviluppo di videogiochi italiana, “Come quasi tutti i ragazzi della mia generazione, all’inizio della mia carriera, sono passato da stage con rimborso spese e contratti di collaborazione,” mi spiega.

“Credo che sia più un problema del sistema Italia più che una specifica problematica di questa professione— Nell’industria dei videogiochi in generale le figure artistiche (artisti 3D, disegnatori, game designer, ecc…) hanno retribuzioni più basse rispetto a producer e, soprattutto, programmatori. Se trasliamo questo concetto in Italia le proporzioni sono mantenute riducendo considerevolmente gli stipendi, e lo scarto di retribuzione indicato dall’articolo del Sole 24 Ore rappresenta in maniera abbastanza fedele quella che è stata la mia esperienza personale qui in Italia, se comparata a quella di lavoro in Regno Unito.” mi racconta.

“Non dico che le tasse e l’amministrazione di una società non portino via tempo (e denaro) al lavoro vero e proprio, ma se i nostri stipendi sono molto bassi, io posso solo incolpare me stesso.”

Per Andrea, però, in futuro la situazione migliorerà, “Le realtà lavorative stanno mutando e le aziende stanno cominciando a crescere e queste figure professionali iniziano ad emergere,” mi spiega. “Credo che la crescita dell’industria porterà anche un miglioramento della situazione salariale, fermo restando che potrebbero permanere le disparità di retribuzione tra Italia ed estero come in altri settori: un articolo del Sole 24 Ore del 2014 parlava di una voragine del 67% tra il settore operaio italiano e quello tedesco.”

Resta ancora una nicchia da esplorare: come in molti altri settori più o meno creativi, sono svariate le realtà che decidono di inserirsi sul mercato autonomamente. Si tratta spesso di piccole startup e aziende che contano poche persone nell’organico, e che sono avulse dalle dinamiche salariali verticali più tipiche del mondo corporate—Francesco Ficarelli è un game designer, co-fondatore dell’italiana Heartbit Interactive, nata come società nel 2015 ma attiva sin dal 2011, quando ha pubblicato il suo primo gioco: Doom & Destiny.

“I giochi che noi creiamo sono venduti direttamente al consumatore attraverso gli store online di Google, Microsoft, Apple e Steam,” mi spiega. ” Per fare un paragone, è come se vendessi delle mele da noi coltivate: queste mele però raggiungono il consumatore attraverso un fruttivendolo che si tiene una percentuale esclusiva alle mele che riesce a vendere, trattandosi di un prodotto virtuale, se le mele non vendono, lui non ci perde niente,” continua. “Questo fa si che i nostri stipendi dipendano solamente dal numero di giochi venduti. Più gente compra le nostre “mele”, più noi siamo felici.”

Per Francesco, quando si tratta di una realtà indipendente, la situazione salariale è da attribuirsi solamente alla realtà stessa, “Non me la sento di puntare il dito verso qualche “governo ladro” o “invisibile complotto” se i nostri stipendi sono inferiori alla media europea—Non dico che le tasse e l’amministrazione di una società non portino via tempo (e denaro) al lavoro vero e proprio, ma se i nostri stipendi sono molto bassi, io posso solo incolpare me stesso,” conclude.