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Musica

Jerusalem In My Heart e la religione del Tutto

Abbiamo incontrato il duo libanese-canadese a Perugia per farci qualche vodka tonic e parlare del suo ultimo album "If He Dies, If If If If If If".
jerusalem in my heart

Quando ho ascoltato la prima volta Mo7it Al-Mo7it, il primo disco del progetto Jerusalem in My Heart, composto dal musicista Radwan Ghazi Moumneh e il regista Charles-André Coderre, mi sono immaginato un club newyorkese pieno di ragazzini in botta da ecstasy che si prendono bene al suono di un Oud o di un Rebab. Non credo che questo sia frutto di una mia particolare fantasia quanto al fatto che il duo, nel corso di due dischi, è riuscito a creare un ponte che unisce la cultura e la musica araba con il music business occidentale senza che questo sembri qualcosa di forzato. La naturalezza e la spontaneità del sound si potrebbero collegare a tutti gli effetti alla vita di Radwan: uno smanettone nato in Libano che ha vissuto gran parte della sua vita a Montréal dove è diventato musicista, produttore e tecnico del suono all'Hotel2Tango senza però riuscire a—o voler—abbandonare le proprie origini. In vista del loro concerto di questa sera a Milano, ho quindi deciso di raggiungerli a Perugia, dove, grazie a Degustazioni Musicali Umbria che ha organizzato il concerto, hanno suonato al cinema Zenith. Abbiamo montato il palco insieme, mangiato tagliatelle al tartufo mentre bevevamo vino rosso, parlato della difficoltà dell'essere in tour e vegetariani allo stesso tempo, di diventare padri, di poliziotti corrotti in Marocco e infine abbiamo concluso l'intervista davanti ad una serie di vodka tonic, che sono uno dei motivi per cui ci ho messo qualche giorno a trascrivere il tutto.

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Noisey: parlami del tuo background musicale. Tu vieni da Beirut e ora vivi a Montreal. Dove vi siete incontrati tu e Charles?
Radwan Ghazi Moumneh: A Montréal. Vivo a Montréal dalla metà degli anni Novanta e ci siamo incontrati quattro anni fa. Il progetto esisteva già, ma quando ho conosciuto Charles ho subito voluto coinvolgerlo. Quindi il progetto nella sua formazione attuale esiste da quattro anni.

E invece con Hotel2Tango, com'è andata la storia?
Quel progetto è molto più vecchio, esiste da 14-15 anni e io ne faccio parte da 11-12. Inizialmente erano tre soci ed uno di loro aveva uno studio, hanno cominciato a gestirlo insieme e io mi sono inserito dopo qualche anno. Il primo dei soci è stato Howard Bilerman (batterista e produttore degli Arcade Fire) a cui si sono uniti Efrim Menuck e Thierry Amar (componenti del gruppo post-rock canadese Godspeed You! Black Emperor) e infine io. Dopo qualche anno, abbiamo deciso di comprare un edificio industriale vicino al vecchio studio, rimetterlo a nuovo e trasferire lì, dove rimane tuttora, lo studio di registrazione.

Che significa Jerusalem in my Heart?
Deriva da un disco del cantante Fairuz, che è piuttosto famoso in Libano. Il disco non è un granché ma il nome è molto "potente" e ho deciso di darlo al progetto perché evoca la figurazione di un posto in cui la mente, l'anima e il cuore possono essere, ma solo nell'immaginario. Sai, dal Libano non ci è consentito raggiungere Gerusalemme, perché i politici e la politica ci hanno circondati con questo muro che non esiste realmente, ma che è stato creato per loro volontà.

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Quindi c'è in qualche modo anche una motivazione politica?
Sì certo. È una dichiarazione politica. Anche i testi sono estremamente politicizzati, tutto il progetto, dalla nascita al suo significato attuale, è sicuramente legato alla politica.

Ho letto diverse recensioni che ti riguardano e molte si focalizzano sul come le tue canzoni e la tua interpretazioni sembrino quasi delle preghiere. Io non ho avuto questa impressione.
Lasciami dire questo: per qualcuno, dire che la mia voce sembra "pregante" non è una cattiveria, forse è solo sintomo di ignoranza perché è come dire che non riconoscono la nostra cultura prima della religione. La nostra cultura e la nostra arte sono molto più antiche della religione, come qui in Italia. Dire che le mie canzoni sembrano preghiere mostra una mentalità davvero chiusa, è stupido perché dimostra solo quanta ignoranza ci sia sulla nostra cultura: è come se l'unico collegamento mentale che hanno con la nostra cultura fosse quello religioso. Il nostro progetto non è religioso perché nessuno dei due lo è. Infatti volevo chiedervi qual è il vostro rapporto con Dio.
Sono un ateo convinto, reputo religione qualsiasi cosa mi circondi: il cibo è religione, l'alcool è religione, la musica è religione. Per me definire la religione o Dio è piuttosto stupido. La mia visione di religione è legata all'ossessione: dalla musica, l'arte, il cinema, la letteratura, siamo ossessionati praticamente da tutto. Personalmente è così che la vedo, non so cosa ne pensi Charles. Dobbiamo distruggere i limiti che stabiliscono il significato della religione: non significa Gesù, Maria o Allah. Sono gli uomini a definirne il senso. Siete stati in tour anche a Beirut, avete trovato delle differenze fra esibirvi lì e qui?
Sì, siamo stati in tour lì insieme. La prima differenza è che lì capiscono i testi. Mettiamo qui a Perugia, ovviamente nessuno parla l'arabo, per la maggior parte del progetto noi comunichiamo con persone che non capiscono il nostro messaggio quindi diventa più una forma concettuale di comunicazione. Per questo noi usiamo anche altri metodi comunicativi come le proiezioni che creano un tutt'uno astratto fra le immagini e le parole che io sto usando. Questo la rende in qualche modo "musica astratta". Noi abbiamo emozioni e sentimenti che vogliamo trasmettere e le persone li percepiscono anche se non capiscono il significato delle parole. Ed è questo il progetto: far arrivare il macro-messaggio al pubblico. Quando le persone dopo i concerti mi dicono "non ho capito cosa hai detto, ma ho capito cosa volevi dire" significa che ho centrato l'obiettivo. Comunicare per me è anche superare la distanza che c'è fra Europa, Nord America e il posto da cui vengo. Hai scelto di creare una sorta di ponte fra la tradizione araba e l'elettronica occidentale. È forse una trasposizione della tua vita?
Non riesco a vedere una distanza, piuttosto percepisco una certa "contemporaneità" fra le due cose. Non credo di creare un ponte, semmai di esplorare temi e stili che sono già presenti e riarrangiarli per renderli fruibili. Charles, ho una domanda per te. Con che criterio scegli film e immagini da inserire nelle tue proiezioni?
Charles-André Coderre: Tutto quello che proietto è girato o scattato da me. Tutto. Sono tutte pellicole da 60 mm. La maggior parte sono state create appositamente per questo progetto. Mi porto la macchina ovunque e giro tutto ciò che mi colpisce, poi vedo cosa posso farci e se può essere utile al progetto.
Radwan: Tutto quello che si vede nei live non solo è girato da lui, ma anche post-prodotto manualmente da lui sin dalla stampa nel suo laboratorio. Tutto è artigianale al 100%. Spessissimo la gente ci chiede dove abbiamo trovato quel materiale: non l'abbiamo trovato, l'ha creato interamente Charles così che potesse legarsi perfettamente al live. Sembra essere un aspetto di secondo piano ma in realtà spesso è assolutamente fondamentale, perché fa la differenza. Dove io e Charles ci incontriamo in toto è l'approccio che abbiamo verso la nostra "disciplina". La linea che divide un regista da un musicista sta lentamente scomparendo perché, ad esempio, in una porzione centrale del live di stasera, la musica è creata da Charles mettendo in loop pezzi delle pellicole, unendo la traccia video a quella audio. Ascoltando l'album If He Dies, If If If If If If, ho trovato la traccia "Lau Ridyou Bil Hijaz" diversa dalle altre. Lo è? Perché?
Sì, sono assolutamente d'accordo che sia diversa dal resto dell'album [ride]. Sembra la più strana e non si capisce da dove venga fuori. Prima di te, mi sono già posto da solo questa domanda. A Charles non piace suonarla durante i live e quindi abbiamo smesso di farlo, perché è davvero difficile inserirla all'interno del resto del set. Il pezzo è una sorta di omaggio ad alcune zone del Nord Africa, come l'Algeria, musicalmente e nei testi rappresenta una sorta di tributo alla violenza avvenuta in Algeria nei primi anni Novanta durante la Guerra Civile. In quell'occasione furono esiliati diversi artisti e cantanti che poi mossero verso la Francia. Molti altri furono uccisi. La politica e l'estremizzazione della religione islamica anche in quel caso erano state la causa. In merito a questo. Come vivi la situazione in Medio Oriente, cosa ne pensi?
È un po' come chiedere qual è la tua posizione sul colonialismo o sul neoliberismo! Non è una situazione su cui qualcuno può avere un'opinione a riguardo perché a sua volta richiama così tanti altri argomenti. Il pensiero sull'ISIS è così complesso, così contorto, l'Iran, sono cose talmente complicate e riguarda così tanti paesi… Anche l'Italia.
Certamente, anche l'Italia così come il Canada, dove sono presenti molti rappresentanti degli Stati Arabi, ma anche per lo Yemen, la Libia. Quindi è molto difficile farsi un'opinione. Te l'ho chiesto perché provieni da quell'ambiente e pensavo potessi avere una visione diversa rispetto a quella esterna.
No, credo che la risposta sia quella che pensi che sia. È fuori dalla mia portata, dalla tua portata, come dalla portata di tutti quelli non immischiati in politica. Perché la politica è business e business vuol dire denaro, e più il tempo passa e più ti rendi conto che tutta la violenza cui assisti è il risultato di un vortice di avidità, capitalismo e denaro. L'essenza sta in questo, l'ideologia non esiste, l'ideologia è solo una delle maschere dell'avidità.

Tornando alla musica, uno dei miei pezzi preferiti è "Ink From The Eyes" e il testo parla di un fantomatico "Lui" ma è un "Lui" che si ripete in gran parte dei pezzi. Di chi si tratta?
Wow, sei la prima persona in due anni che mi chiede questa cosa. È una cosa molto personale, apprezzo molto che tu me l'abbia chiesto perché tutto l'album verte su questo "Lui". Dunque, il fantomatico Lui è un riferimento all'elemento della mascolinità e del patriarcato, quindi mi riferisco a un uomo invisibile, che è l'unica vera presenza e che è conscio di tutto ciò che accade, il che è un quadro della realtà così com'è, ossia un mondo dominato da un senso patriarcale. Quella canzone parla in particolare di una persona che ha uno scambio con questa presenza maschile.

Ma poi parla in prima persona…
Sì perché la canzone vede un cambio di prospettive: c'è una persona che parla con un'altra riguardo a un'esperienza che entrambe hanno avuto con questa presenza maschile, quindi è come se, ad esempio, io parlassi con qualcuno di un'esperienza che ho avuto con questa presenza, quindi sono tre i soggetti coinvolti. E lavorare con i Suuns invece, com'è stato?
I ragazzi sono amici molto stretti, come dei fratelli, e l'idea di fare un disco con loro è venuta dopo anni di tour insieme. Ci siamo chiusi in sala prove e abbiamo fatto un disco, dopodiché siamo andati in tour, cosa per cui ho voluto coinvolgere anche Charles. Abbiamo fatto due tour insieme nell'autunno del 2015, in totale un mese passato insieme. È stato fantastico, veramente bello. Un po' diverso da JIMH, più elettronico, più rock… non proprio quel tipo di coinvolgimento emotivo da montagne russe, più un'esperienza musicale viscerale e sensuale.

Bene, ultima domanda, poi non ti scoccio più e ordiniamo altro da bere. La foto di copertina di If He Dies, If If If If If If da dove viene? Mi piace un sacco.
La foto originale è stata scattata da un mio amico libanese, l'ho data a Charles che ci ha aggiunto qualcosa di proprio. È una fricchettonata!
Charles: Sì, dà un effetto molto potente, molto scolorito, molto lisergico. La foto era stata scattata in 16mm, tutto quello che vedi non è frutto di Photoshop ma di reazioni chimiche, anche se dal primo impatto può sembrare fatta in digitale. Le sfumature rosse dipendono dall'inizio del rullino.
Radwan: Il progetto iniziale mi vedeva abbracciare un asino, che nella cultura popolare è visto come un animale inferiore, un po' stupido e cocciuto, e volevo instaurare un'empatia tra me e questo animale. Perché alla fine un animale è un animale, non si parla né di superiorità né di inferiorità, è una creatura con un'anima. Quindi dovresti essere vegetariano.
[Ride] Dovrei. A Montréal non mangio carne, ma in tour sei pigro e inizi a chiudere un occhio per cose del genere. Foto di Joseph Yarmush, per gentile concessione di Constellation Records.
Leon sta ancora smaltendo la sbronza su Twitter @letweetbenz. Segui Noisey su Facebook e Twitter.