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Cosa sta succedendo a Michael Madsen?

Madsen era perfetto. Ma a differenza di Cagney, Bogart o De Niro, non è diventato una leggenda. Né ha seguito la via di Rourke. Ha semplicemente continuato a fare film terribili e a prendere decisioni altrettanto terribili.

Madsen ne Le iene (1992)

In ogni era del cinema americano c'è stato un attore laconico e con l'aria da duro la cui immagine sembrava riflettere il suo tempo: Cagney, Bogart, Mitchum, Eastwood, De Niro, Rourke. Attori che probabilmente in gioventù erano troppo occupati a osservare la dura fine dell'esistenza umana per perdere tempo in audizioni per gli spot delle creme anti-brufoli. Giovani uomini duri e violenti i cui volti raccontavano storie, storie utili, perché in realtà quegli uomini non avevano troppa voglia di parlare di sé. Attori le cui personalità apparivano così in conflitto col lavoro che facevano da dare l'impressione che fosse tutta una pena per chissà quale crimine commesso. Se non fosse stato per il cinema, probabilmente sarebbero finiti in prigione, a fare i gigolò o al seguito di un rodeo itinerante.

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Negli anni Novanta—un'era definita da attori come Keanu Reeves e David Schwimmer, che indossavano dolcevita arancioni e usavano la schiuma per capelli—un attore stava portando avanti la tradizione meglio di chiunque altro: Michael Madsen, la star de Le Iene, Donnie Brasco e Free Willy.

Anche all'apice, Madsen non ha mai fatto grandi film, ma la sua prova come Mr Blonde in Le Iene ha rovinato così tanti appuntamenti da trasformarlo in uno degli attori simbolo della sua epoca. Alto un metro e 87 e con la stazza di un lottatore anni Quaranta, si adattava perfettamente ai bastardi terrificanti e pieni di fascino che interpretava. Bello, ma non nel senso dei testimonial, sembrava sempre uscito dalla cella di custodia di una prigione dimenticata, ancora sbronzo e con gli stessi stivali che aveva ai piedi al momento dell'arresto. Se Tom Hanks è l'attore che ha catturato il senso morale dell'americano ordinario, Madsen ha personificato la follia che incontri sugli ultimi sedili di un autobus della Greyhound, nei diner a notte fonda, negli scritti di Raymond Chandler e le canzoni di Warren Zevon.

Madsen nel suo momento più celebre.

Dopo Le Iene, Madsen è diventato un punto di riferimento. L'uomo a cui rivolgerti se eri un regista e cercavi poliziotti corrotti, motociclisti, fidanzati fannulloni o cowboy annoiati. La sua carriera stava seguendo la stessa traiettoria di tanti attori che l'avevano preceduto; sarebbe potuto diventare uno dei grandi.

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Ma a differenza di Cagney, Bogart, De Niro e altri, Madsen non è diventato una leggenda. Né ha chiuso una carriera con i modi spettacolari e romantici di Mickey Rourke o Dennis Hopper. Ha semplicemente continuato a fare film terribili e a prendere decisioni altrettanto terribili. Mentre i suoi avi sono riusciti a stare in equilibrio, muovendosi tra quei film che vendono solo negli autogrill e quelli che vincono gli Oscar, gli ultimi lavori di Madsen non sono mai riusciti a uscire dal cestone delle offerte della cultura popolare americana.

Quanto in basso è arrivato? Poco tempo fa è comparso nel nuovo video di Iggy Azalea e Rita Ora, dove si aggira per il set con l'aria confusa e interpreta un insieme dei ruoli della sua carriera in quella che definirei la collaborazione più scellerata fin dai tempi del governo di Vichy.

Ma questa è solo la punta dell'iceberg. Secondo IMDb, Madsen ha recitato in 25 film usciti negli ultimi 12 mesi o di prossima uscita. L'anno scorso erano 14, incluso un film montenegrino e Piranhaconda (con Rachel Hunter), una produzione che si presenta come il sequel di un mockbuster di una parodia. Il 2011 è stato un anno relativamente tranquillo per Michael, con soli dieci film capeggiati da Not Another Not Another Movie. Il  trend sembra comprensibile: da dieci anni, Madsen si attesta su circa 15 film l'anno. Su IMDb, il conteggio totale è di 238 pellicole.

Per darvi un'idea, De Niro è a 101. Harry Dean Stanton, la cui carriera è iniziata a metà anni Cinquanta, a 189. Madsen ha girato oltre 200 film in più di Daniel Day Lewis, la maggior parte dei quali negli ultimi 15 anni. E dei quali dopo Sin City—dove fa una gran parte, per tre minuti—non avete probabilmente sentito parlare.

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Il trailer di

A Matter Of Justice

(2011)

Oggi Madsen, un tempo emblema dell'America spietata, fa film che sembrano pensati esclusivamente per approfittare di qualche sgravio fiscale. Recita in film in lingua russa dove il nome di "Makyl Medsen" è associato a quello di "Agente"; film con Vinnie Jones e Jamelia; film in cui recita le parti di "Leo Ibiza" e "Colonel JT Colt"; film che non credevate nemmeno venissero ancora prodotti. È comparso nel videogioco di The Walking Dead, ma non nella serie TV. Nel 2012 è stato a Celebrity Big Brother, e l'unico episodio degno di nota per cui lo si ricorda in quel contesto è un breve esaurimento nervoso a base di body e competizioni con Denise Welch. La sua carriera è profondamente deprimente, e ancora più della fine di Tony Blair ci ricorda quanto sono lontani gli anni Novanta.

Non ho visto nessuno di questi film, ma sarei molto sorpreso se a un certo punto lo ritrovassimo in produzioni con un po' più di profondità del "Mr Blonde, ma in versione spia!" o "Mr Blonde, ma russo!". È un soldato della nostalgia che veleggia sui canali minori per ricordare ai fattoni di quel pezzo di Donnie Brasco in cui pestano il cameriere.

Cosa gli è successo? C'erano sicuramente una serie di errori dentro e fuori lo schermo. Doveva essere il John Travolta di Pulp Fiction, ma era troppo occupato in Wyatt Earp con Kevin Costner. Si è fatto centinaia di migliaia di dollari di debiti, è andato in riabilitazione per un problema con l'alcol e si è fatto prestare soldi da Quentin Tarantino. Ha picchiato il figlio perché quest'ultimo aveva fumato erba; secondo alcuni avrebbe consegnato alla stampa l'ultimo script di Tarantino e ha scritto diversi libri di poesie. La sua carriera è una guida donchisciottesca alla cattiva gestione della fama.

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Madsen al

Celebrity Big Brother

(2012)

Di solito, quando i nostri attori preferiti cadono in disgrazia, iniziamo a chiederci cosa è andato storto mentre ci aggrappiamo alle loro comparsate su TMZ. Nel caso di Madsen, la vera domanda è, "Cosa è andato nel verso giusto?" Gli ultimi vent'anni della sua vita appaiono poco meno che miseria distillata. E lui sembra esserne consapevole: "Fai una roba orribile, in presa diretta, ti pagano pure poco, poi vai a Cannes e ti ritrovi un poster con la tua faccia, alto 12 metri, nel film peggiore del mondo. E ti viene da dire, 'Oddio, togliete quel coso!'," spiegava DIECI ANNI FA un uomo che in questo esatto momento potrebbe benissimo essere sul punto di firmare un altro contratto per uno di questi film.

Non è troppo difficile farsi scappare una risata pensando a Mike nel cast di Dirty Dealing 3D, ma per me è uno di quegli attori che dovremmo rimpiangere. È una figura di cui il cinema americano moderno potrebbe avere ancora bisogno. È ancora vivo, e lavora ancora. Ma in una cultura cinematografica in cui i duri sono impersonati da ventunenni che si chiamano Taylor, Chad o Zach—tipi muscolosi che sembrano usciti da Abercrombie—Madsen ha quella durezza pre-Friends di qualcuno che sarebbe perfettamente capace di tagliare via l'orecchio di un poliziotto.

Anche se i suoi meriti artistici post-Sin City potrebbero sembrare un nonnulla di fronte a quelli di un Dennis Rodman o un Pauly Shore, c'è qualcosa di profondamente ammirevole nel modo in cui affronta la carriera. Completa film con un ritmo invidiabile. E per tutto il fascino da Tarantino per le grindhouse, lui è essenzialmente qualcuno che diluisce quell'impianto per il mainstream, uno di passaggio, un fan. In realtà però è Madsen che fa quella vita, e dorme nei motel e aiuta i rapper a comporre i pezzi.

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Madsen in A Sierra Nevada Gunfight (2013)

Forse bisognerebbe metter in conto che Madsen è una sorta di artista outsider, un attore relegato nella sua Siberia di professionalità e spiritualità, che lavora con giovani registi e vecchi attori mentre lotta con i suoi problemi finanziari. Eppure sembra che non abbia molto tempo per la professionalità. “Se sfama la tua famiglia, vuol dire davvero essere un venduto?” ha detto.

Per questo forse Madsen è davvero l'incarnazione dell'ideale americano, quell'idea di duro lavoro e sogni onesti che tanti attori provano e hanno provato a essere. Lui, forse, è l'attore americano definitivo, non perché sia il migliore, ma perché crede che recitare sia un modo per portare a casa la pagnotta, non per costruirsi una carriera d'oro o trovare una sorta di verità artistica, anche se ciò equivale ad accettare un assegno per delle parti in film di merda.

Solo col tempo sapremo se il vero Madsen tornerà. Dovrebbe ancora comparire nel prossimo film di Tarantino, ma probabilmente ha già interpretato quel ruolo altre dieci volte solo nel corso dell'ultimo anno. Sarebbe anche riuscito a uscire dai debiti, ma ciò non gli ha impedito di comparire in una cosa del genere.

Mi piacerebbe che anche Madsen avesse il suo The Wrestler. Ma il problema non è il suo ultimo grande film. A differenza di buona parte delle star al tramonto, lui non è mai stato così impegnato. E se vincerà un Oscar, probabilmente una settimana dopo lo vedremo in un film con Sisqo e Danny Trejo, che sbuca fuori da un'auto con i suoi stivali da cowboy pronto a reinterpretare ancora una volta Mr Blonde, come il trovatore triste e solo del cinema americano che è.

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