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Cibo

Vivere come una mucca può farci diventare vegani?

I ricercatori sperano che, mettendoci nei panni di una mucca, potremo sperimentare un senso di empatia e consumare meno carne.

Foto realizzata dall'autore.

Il ricercatore di Stanford Jeremy Bailenson e i suoi colleghi del Virtual Human Interaction Lab (VHIL) stanno trasformando le persone in mucche. Chi partecipa al loro programma di immersione nella realtà virtuale non solo si vede mucca in uno specchio virtuale, ma viene persino pungolato con uno sperone per bestiame e condotto, senza poter reagire, in un mattatoio virtuale.

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Detto così può sembrare un po’ strano, ma l'operazione ha uno scopo ben preciso: Bailenson spera che, mettendosi nei panni di una mucca, i partecipanti potranno sperimentare un senso di empatia nei confronti di questi animali. Le implicazioni, dal suo punto di vista, sono molto rilevanti: l’empatia potrebbe tradursi in un minor consumo di carne, e quindi di energia. Di fronte al cambiamento climatico, e grazie a esperimenti volti a modificare il comportamento umano, un processo normalmente “lento, graduale e irregolare” potrebbe così diventare più immediato e consequenziale.

Del resto, esperimenti simili hanno già dato risultati positivi. Ad esempio, soggetti su cui sono state fatte ricerche e che hanno virtualmente abbattuto alberi hanno poi riflettuto sull’esperienza e modificato le proprie abitudini riguardo l’uso della carta.

Il VHIL spera di sfruttare il potere emotivo dell’empatia, riprendendo le strategie utilizzate dagli animalisti.

Tra le tecniche adottate tradizionalmente dai gruppi animalisti per creare una sorta di legame tra gli esseri umani e gli animali di cui i primi si nutrono ci sono il volantinaggio e l'uso di cartelloni. Pieni zeppi di fatti e immagini che possono causare disagio, ogni volantino ha uno scopo preciso. Alcuni vogliono scioccare, altri educare. Ma è difficile creare connessioni durature tramite immagini statiche.

Il miglior strumento nelle mani degli animalisti, al momento, potrebbe consistere nei rifugi per animali da allevamento, un concetto diffusosi negli ultimi trent’anni. A parte l’ovvio soccorso agli animali, una delle motivazioni principali dell’esistenza di molti rifugi è offrire alle persone un luogo in cui interagire con animali altrimenti sottratti alla vista del pubblico.

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Questo principio chiave della connessione empatica è evidente nel vocabolario utilizzato in queste strutture. Gli animali sono “ambasciatori”. Sono “qualcuno, non qualcosa”. Interagendo con la vita degli animali da allevamento, la speranza è che le persone possano riconoscerli come individui, non più come prodotti, e cambiare di conseguenza atteggiamento.

Diventare in tutto e per tutto animali, attraverso un’immersione nella realtà virtuale, è l’estensione tecnologicamente avanzata di questo processo. Nonostante gli obiettivi ultimi del VHIL possono riguardare i problemi generali legati all’ambiente piuttosto che gli animali in sé, la filosofia di base è la stessa.

Il risultato dell’esperimento del VHIL non è ancora stato analizzato. Ma come ex-volontario in un rifugio, sarei stupito se non producesse almeno qualche riflessione sulle abitudini alimentari di chi vi si è sottoposto. Forse la realtà virtuale potrebbe addirittura farci diventare vegani.

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