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La mia settimana con l'estrema destra ungherese

Dopo settant'anni, a Budapest, sfilano di nuovo le insegne del Partito delle Croci Frecciate.

Membri del Magyar Nemzeti Garda, milizia nazionalista ungherese.

L’Ungheria ha uno dei movimenti di estrema destra più organizzato in Europa. Lo Jobbik Magyarországért Mozgalom [Movimento per un’Ungheria Migliore], o più semplicemente Jobbik—appoggiato da chi ne ha abbastanza della corruzione del governo, additato dagli oppositori come un gruppo di omofobi anti-rom, antisemiti e neonazisti—promette di diventare il secondo partito, quanto a presenza in parlamento, alle elezioni del 2014. Ho trascorso una settimana con lo Jobbik cercando di capire i motivi del loro odio.

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Uno spettro si aggira per l’Europa. In Bulgaria, Grecia, Polonia, Francia, Spagna e Ucraina, il supporto al nazionalismo cresce, e i partiti che rappresentano interessi nazionalisti stanno facendo progressi tangibili. Lo Jobbik predica la restituzione dell’Ungheria alla sua antica gloria, idea che—piuttosto vaga e probabilmente condivisa nelle intenzioni da quasi tutti gli altri partiti—diventa più tangibile e credibile quando sono gli zingari a essere presi come capro espiatorio. Questa ideologia ha fruttato agli alleati del BNP un enorme successo ai ballottaggi, e le loro milizie in uniforme pattugliano le strade indisturbate.

A novembre ho assistito inorridito mentre 10.000 nazionalisti di estrema destra sciamavano per le vie di Varsavia. Stavo girando un documentario sull’ascesa dell’estrema destra in Polonia e ho visto fascisti in passamontagna aggredire i fotografi e lanciare cose sulla polizia.

Il Primo Maggio, a Budapest, mi sono trovato in mezzo a una folla di 8.000 sostenitori dello Jobbik, spettatori di un concerto rock nazionalista dei Karpathia, che suonavano orribili canzoni patriottiche. La folla era uno strano mix di skinhead a braccio teso, vecchi nazionalisti e giovani ungheresi qualunque. Ero lì con la troupe di Channel 4 News a girare un documentario sull’ascesa dell’estrema destra e, dato che gli altri erano occupati a riprendere gli stand di fruste e scuri e i castelli gonfiabili e i recinti di animaletti gestiti da skinheads, sono riuscito a ritrovarmi da solo in mezzo alla folla nel momento in cui è iniziato l’inno nazionale.

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Non avevo mai sentito l’inno nazionale ungherese, ma l’intera folla era lì in piedi, completamente catturata, con lo sguardo reverenzialmente perso nel vuoto. E così anch’io, in piedi tra loro, mugugnavo qualcosa tra me e me e speravo di non dare nell’occhio. In una folla del genere è chiaro che le cose possono prendere una brutta piega da un momento all’altro, se scoprono che fai parte dei “media liberali”. Sì, avevo il mio pass Jobbik, ma non credo sarebbe servito a molto, nel tenere a bada un branco di fascisti incazzati. Probabilmente, a niente.

All’imbrunire, la maschera di rispettabilità è scivolata via. Mentre un ufficiale dello Jobbik stava lì a guardare, mi sono preso una sberla in testa da un ubriacone infastidito dal fatto che degli “ebrei” fossero presenti al suo festival. Dopodiché mi ha rovesciato la birra in testa. Anche se era irritante e appiccicaticcio, poteva andarmi peggio—ero pur sempre in una foresta, di notte, circondato da migliaia di nazionalisti e stand che vendevano fruste e asce. Detto questo, è stato anche stranamente confortante: hanno lasciato cadere la loro facciata di decenza e si sono trasformati negli estremisti di destra a cui sono abituato—ubriachi, molesti e con una gran voglia di alzare le mani su tutti quelli diversi da loro

Avevo trascorso la mattina ad assistere a un’esercitazione del Magyar Nemzeti Garda (una milizia nazionalista legata allo Jobbik). Il capogruppo mi ha spiegato le loro motivazioni politiche: “Ci sono due grossi problemi. Quello della criminalità rom all’interno del Paese e, all’esterno, l’espansione territoriale degli ebrei.” Zingari ed ebrei—retorica riciclata dagli inizi del Ventesimo secolo che sembra tornare in grande stile in Ungheria.

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Ma persino con la loro ideologia fascista riciclata, con le loro uniformi e i saluti alla bandiera come le reclute alla prima sessione di addestramento, sembrano abbastanza innocui. Mi hanno spiegato che donano il sangue, aiutano i senzatetto e si occupano di varie attività patriottiche—il che stona con il loro inquadramento militare, con le uniformi e con quello che ho sentito raccontare su di loro.

Comunque, è in cittadine come Gyongyospata—o qualunque altra area abbia una popolazione rom numerosa—che risalta il vero ruolo delle milizie. Nel 2011 le tensioni tra lo Jobbik e la popolazione rom locale sono arrivate al punto di rottura e centinaia di nazionalisti in uniforme sono arrivati per pattugliare come vigilantes il ghetto desolato che i rom chiamano casa.

Lo Jobbik ha marciato, torce in mano, fuori dalle case dei rom, e ci sono stati scontri tra i rom e un gruppo neonazista. Da quel momento, la città è diventata una roccaforte dello Jobbik. La notte prima che arrivassi, ci sono stati dei nuovi scontri tra gli abitanti e i rom—il sindaco Jobbik si è lamentato del fatto che avessero rifiutato di stare calmi durante l’esecuzione dell’inno nazionale al festival cittadino, costringendolo a interrompere l’intero evento.

Una bambina rom a Gyongyospata.

I rom non hanno parole gentili per il sindaco, e non è sorprendente. Nonostante le strade ordinate e asfaltate intorno a lui, sembra che non ci siano abbastanza soldi per asfaltare le strade nelle aree zingare, mentre ce ne sono molti da spendere in telecamere a circuito chiuso fuori dalle loro case. Una famiglia che ci ha invitato a prendere il tè ci ha detto che da 600 anni i rom vivono in quel paese, ma che ora loro, e con loro molti altri, stanno per andarsene in Canada per paura di altri attacchi dei nazionalisti.

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Nel 2009 sono stati assassinati sei rom in un pogrom di estrema destra; le loro case sono state incendiate e loro sono freddati a colpi d’arma da fuoco mentre cercavano di fuggire. Si stima che circa un milione di rom vivano in Ungheria, ma il tasso di disoccupazione nella comunità è al 60 percento—sei volte il tasso nazionale, e un dato molto comodo per gli attacchi dei nazionalisti. Lo Jobbik promette che darà lavoro ai rom disoccupati, ma non è chiaro come intenda creare posti per loro.

Emarginata e devastata dalla povertà, la comunità rom è diventata un capro espiatorio per la destra. Un attivista dello Jobbik mi ha detto che “il 60 percento dei rom sono criminali; se pensi che io sia razzista vieni tu a vivere vicino a loro.” Stranamente, però, tutti quelli con cui parliamo conoscono qualcuno che è stato vittima di un crimine rom, ma nessuno lo è stato personalmente.

Membri del Magyar Nemzeti Garda.

Di ritorno a Budapest, a un raduno dello Jobbik contro il Congresso Ebraico Mondiale, le milizie sono schierate in ranghi militari. Il Congresso Ebraico si è spostato qui da Gerusalemme per evidenziare la crescita dell’antisemitismo in Ungheria, e far capire allo Jobbik che non se ne staranno con le mani in mano mentre la loro religione viene usata come scappatoia per i problemi di una nazione. I nazionalisti non amano che gli ebrei esprimano liberamente le proprie opinioni, e hanno quindi mandato a pareggiare i conti l’amichevole gruppo del Garda insieme a un manipolo di persone vestite di nero con caschi e maschere antigas.

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Lo Jobbik vorrebbe che i servizi segreti indagassero sugli ungheresi con doppia cittadinanza, ungherese e israeliana, perché temono che sia in atto una cospirazione ebrea volta a comprare l’Ungheria intera—un ridicolo caso di paranoia basato su un’uscita un po’ avventata del Presidente israeliano Shimon Peres qualche anno fa.

Un vecchio manifestante, solo, mostra un cartello con una svastica, contro l’imminente Congresso Ebraico. Viene portato via in sordina, e la sicurezza dello Jobbik lo porta alla polizia, che prende i suoi dati. Dall’altra parte della strada, uomini in tenuta paramilitare fanno un’esercitazione, e nessuno fa una piega.

Più tardi, mi unisco a una crociera sul Danubio organizzata per i delegati ebrei provenienti da tutto il mondo e gli chiedo perché siano venuti qui. “Perché non vogliamo che accada di nuovo,” è la risposta unanime. La polizia è schierata sulle banchine, terrorizzata che possa succedere qualche incidente.

Il monumento di Pauer Gyula in memoria dell'Olocausto.

Passiamo accanto alle scarpe, il monumento sul Danubio in corrispondenza del punto in cui le Croci Frecciate ungheresi uccidevano gli ebrei facendo cadere i loro corpi direttamente nel fiume, dopo averli costretti a togliersi le scarpe. Il monumento ha un forte impatto su tutti, sulla nave; le famiglie di molti dei presenti sono scappate dall’Europa negli anni Quaranta per sfuggire all’antisemitismo. Settant’anni più tardi, dopo decadi in cui gli ebrei ungheresi hanno cercato di superare la sofferenza delle persecuzioni, altri ungheresi si divertono, di nuovo, a marciare per la città sotto le insegne del Partito delle Croci Frecciate.