Martino Lombezzi ha fotografato la sinistra italiana che non c'è più

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Contrasto

Martino Lombezzi ha fotografato la sinistra italiana che non c'è più

Nel 2007, Martino Lombezzi ha girato per le feste de l'Unità dell'Emilia per ritrarre i luoghi e i partecipanti che hanno vissuto il momento di passaggio dai DS al PD.

Tutte le foto di Martino Lombezzi/Contrasto.

Zola Predosa (Bologna), maggio 2007. Un cameriere volontario posa in sala da pranzo.

Contrasto è il punto di riferimento per il fotogiornalismo in Italia. Da 30 anni rappresenta alcuni dei migliori fotografi e fotoreporter italiani ed esteri, oltre a diverse agenzie internazionali come la Magnum. Quella che state leggendo è la rubrica in collaborazione tra Contrasto e VICE Italia, in cui intervisteremo alcuni dei nostri fotogiornalisti italiani preferiti per farci raccontare le storie e le scelte dietro il loro lavoro. In questa puntata abbiamo parlato con Martino Lombezzi, classe 1977.

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Se esiste un'atmosfera politica e sociale dell'Italia che negli ultimi anni è stata avvolta dalla nostalgia è sicuramente quella della sinistra, principalmente a causa dei cambiamenti radicali che sta vivendo quell'area. Un'atmosfera che si legava in modo quasi inscindibile con alcune regioni e territori, come l'Emilia Romagna, e che riesce ad accomunare la nostalgia di chi all'epoca aveva vent'anni e di chi vent'anni li ha adesso.

Feste de L'Unità, di Martino Lombezzi, descrive proprio questo sentimento: si tratta di un progetto che nell'estate del 2007 ha portato il fotografo a visitare diverse feste de l'Unità sparse per tutta l'Emilia, per ritrarre i luoghi e i partecipanti che hanno vissuto il momento di passaggio dai DS al PD.

Lombezzi è uno storico "prestato" alla fotografia, i cui lavori sono spesso legati da due fili conduttori—il ricordo e il legame con il territorio. Negli anni si è occupato anche di progetti come The Gulf War Memories, una serie di scatti sull'eredità della guerra del Golfo, e Blue Line, che esplora i due lati del confine fra Libano e Israele. L'ho contattato per parlare di nostalgia, della provincia emiliana, e dell'importanza del ricordo.

Sala Bolognese (Bologna), aprile 2007. Il ristorante.

VICE: Nel tuo progetto Feste de l'Unità hai scelto di ritrarre i luoghi e le persone della festa de l'Unità e specialmente le feste del 2007, che è un anno un po' particolare: l'ultimo dei DS, poi confluiti nel Partito Democratico. Come mai proprio quell'anno?
Martino Lombezzi: [Per me] era significativo raccontare un momento di passaggio, anche se in realtà parliamo di situazioni che io ho sempre un po' frequentato. Mi hanno sempre affascinato, anche visivamente, proprio perché sembrava che il tempo si fosse fermato; in realtà questo è anche perché le persone che poi di fatto lavorano e fanno i volontari alle feste de l'Unità sono per la maggior parte anziani. Insomma, mi interessava l'immagine di qualcosa che va verso il tramonto, che ben rappresentava quel momento di passaggio.

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Zola Predosa (Bologna), maggio 2007. Due volontari puliscono il piazzale.

Anche la scelta del luogo è specifica, trattandosi della provincia emiliana.
Sì, in parte perché lì c'è una tradizione che prescinde anche dalla politica, e anzi si svuota un po' del suo significato politico: al di là dei simboli e delle bandiere ci sono pochi momenti di approfondimento politico, per cui c'è un'ambivalenza. Questa realtà l'ho scoperta quando mi sono trasferito a Bologna per l'Università: sono dei luoghi e delle situazioni in cui queste feste si fanno da anni, e l'impressione che hai quando arrivi è che sia una cosa che avviene da sempre.

Allo stesso tempo c'è anche una cosa che a me affascina sempre molto: mi piacciono le situazioni che trasmettono un senso di nostalgia e sicuramente in una festa de l'Unità di questo tipo si avverte questa cosa.

Molinella (Bologna), maggio 2007. Due volontari nelle cucine.

Ti capisco perfettamente, condivido con te questa sorta di "passione". Infatti ho apprezzato molto la scelta dei soggetti: volevo capire come li avessi selezionati e organizzati. Come mai sono in posa?
A livello pratico ho seguito il calendario piuttosto fitto di feste: sono andato a cercare le feste più piccole, che fossero di quartiere, o di comuni di campagna e devo dire che spesso si replicavano un po' le stesse situazioni. Io magari sono andato un po' fuori dagli orari di punta, per cui ho avuto anche modo di incontrare e chiedere alle persone di posare per me. In più devo dire che c'era una sorta di complicità, per cui è un po' venuta da sé questa scelta di mettere in posa le persone.

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La cosa poi buffa, ma anche importante, forse, è che c'era anche un certo orgoglio nel mettersi in posa. Il fatto di essere lì, di stare facendo quella cosa, di essere dei volontari e tenere in piedi quella tradizione e questo momento era—ed è credo ancora adesso—un qualcosa che ha molto valore per le persone che ci stanno dentro. Un valore profondo anche politico, a dir la verità, qualcosa che forse per la nostra generazione non c'è più. Il mio è anche uno sguardo verso questo mondo di ideali che noi abbiamo un po' dimenticato.

Argenta (Ferrara), maggio 2007 - Oasi di Campotto. Due volontarie, madre e figlia, posano nelle cucine.

A proposito di questo: al di là del tuo lavoro da fotografo, hai più frequentato una festa dell'Unità dopo questi scatti? Se sì cosa è cambiato?
Continuo ad andarci e ne fanno una abbastanza storica, dove ho anche fatto delle foto, qua vicino al quartiere un po' periferico di Bologna dove vivo. Quelle piccole, di quartiere, continuano a rimanere sostanzialmente uguali: sono cambiate le bandiere ma il resto dell'apparato sembra essere appunto eterno. Invece a quella grande, quella principale, chiaramente si vede un po' il nuovo corso, infatti sarebbe interessante probabilmente a fare una sorta di lavoro speculare.

Lì è diventata un po' una fiera: ci sono gli stand con le automobili, i condizionatori, quelli che vendono i pannelli solari, mille ristoranti di tutte le nazionalità… è sostanzialmente un grosso evento, chiaramente ci sono anche dei dibattiti a sfondo politico anche con personaggi di primo piano, però ecco è molto più simile fiera.

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Bentivoglio (Bologna), aprile 2007. Il palco e la pista da ballo.

C'è una foto del progetto a cui sei più legato, sia per la riuscita che per il simbolismo?
Ce n'è una che avevo scelto come foto di apertura quando ho messo in sequenza queste immagini: è l'immagine del palco vuoto, perché c'è questo rosso che galleggia in questo sfondo chiaro, ci sono le sedie messe un po' da parte, per cui mi riporta un po' questa sensazione di cosa che non c'è più o che è rimasta in sospeso. Non si capisce se lo spettacolo è terminato o se debba cominciare, se mai comincerà.

Si tratta ovviamente di un lavoro che ho fatto molti anni fa, e con il tempo il mio modo di fotografare è cambiato—non in maniera radicale, ma è cambiato. Nonostante questo ci sono delle immagini che rimangono molto importanti, questo è un lavoro a cui sono molto legato, forse questa è una delle immagini a cui sono più affezionato.

Bologna, maggio 2007 - Quartiere Dozza. Un volontario posa davanti alla sezione, che conserva ancora lo stemma del PDS.

Volendo contestualizzare Feste de l'Unità rispetto ad altri progetti di cui ti sei occupato, si potrebbe dire che il tuo è un lavoro fotografico sul passato. Se nel primo c'è la nostalgia, in Blue Line o The Gulf War Memories c'è più un obiettivo di conservazione della memoria storica.
Io di formazione sono uno storico, quindi mi ha sempre interessato il tema della memoria. Di conseguenza, per me fotografare spesso è rivolgere uno sguardo al passato, andare a cercare di inserire il passato delle tracce o qualcosa che dal passato persiste ancora oggi. Può essere un filo conduttore dei lavori che ho fatto: me ne sono occupato in maniera se vuoi ironica nel lavoro sulla festa de l'Unità—anche in quello sulla Guerra del Golfo c'è uno sguardo un po' "ironico"—e in maniera più seria e profonda in progetti come quello sulle stragi.

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Che differenza c'è nella nascita tra un progetto più serio e uno più ironico?
Quando ho lavorato sulla politica mi piaceva affrontare il tutto in una maniera più ironica perché è il modo in cui guardo io solitamente quel mondo, uno sguardo che potesse essere anche leggero, con una nota di maggiore profondità in alcune immagini e nostaglia. È anche un po' la ricerca della lunga durata dei fenomeni, quello che la storia crea fino a oggi: usanze, strutture sociali, o anche appunto luoghi e tracce.

Di queste tracce mi interessa innanzitutto il fatto che siano tracce, quindi che sono qualcosa di non ben definito, sull'orlo della sparizione, qualcosa che è sbiadito. È qualcosa che mi affascina molto.

Bologna, aprile 2007 - Quartiere Savena, area Due Madonne.

Hai altri progetti in cantiere?
Nell'ultimo anno e mezzo ho lavorato a un documentario, quindi un progetto video, sulla strage del rapido 904: si tratta della prima strage di mafia in Italia, una bomba messa su un treno che andava da Napoli a Milano, il 23 dicembre del 1984. Nel 2014—quando ho iniziato il lavoro—ricorreva il trentesimo anniversario, ed è anche quando è iniziato il processo a Totò Riina, accusato di essere il mandante. Ho seguito il processo e parallelamente ho fatto una serie di interviste ad alcuni dei sopravvissuti alla strage, molti dei quali non avevano mai parlato prima. L'ho terminato da un mese e ora sto iniziando a pensare alla distribuzione.

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In ambito fotografico c'è invece Blue Line, a cui sto lavorando da diversi anni. È un progetto sul confine tra Libano e Israele, che più che futuro è in itinere. Quest'anno è dedicato a promuovere il documentario e chiudere Blue Line.

Per vedere altre foto di Martino, vai sul suo portfolio sul sito di Contrasto.

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