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reportage

Una giornata con i volontari che aiutano i migranti bloccati in Ungheria

Ci sono ancora migliaia di profughi bloccati in Ungheria, in condizioni precarie. Ho seguito un convoglio di attivisti partito da Vienna per portare aiuti e aiutare più persone possibile a passare la frontiera.

Ci sono ancora migliaia di profughi bloccati in Ungheria. Ecco perché, lo scorso sabato, un gruppo di attivisti ha organizzato un convoglio per fornire loro aiuto e assistenza. Il convoglio è partito da Vienna ed era diretto a Debrecen, una delle città più orientali dell'Ungheria. Sono le otto di sabato mattina. Alla stazione di Vienna – il luogo dove migliaia di profughi siriani in fuga dalla guerra sono stati accolti con una dimostrazione di solidarietà senza precedenti dal popolo austriaco. Uno ad uno, gli attivisti arrivano nel parcheggio. La maggior parte di loro ha tra i 20 e i 30 anni. Alla fine, ci sono circa 25 persone con un paio di camion e macchine. Nei giorni precedenti, gli attivisti avevano deciso di attraversare il confine ed aiutare i rifugiati bloccati in Ungheria per passare in Austria. Tuttavia, venerdì la situazione era già cambiata. Quando centinaia di profughi hanno iniziato a prendere in mano la situazione e a partire a piedi dalla stazione di Budapest diretti a Vienna, anche il governo Ungherese si è accorto di quanto si fosse vicini a una catastrofe umanitaria. I rifugiati avevano paura di essere deportati, da quando giovedì l'Ungheria aveva fatto false promesse ad alcuni di loro, convincendoli a salire su dei treni e poi portandoli in dei campi profughi vicini invece che oltre il confine. Venerdì, degli estremisti di destra cominciavano a fare la loro comparsa fuori dalla stazione. La marcia a piedi era l'ultima risorsa, un grido di disperazione.

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Dopo 23 ore, il governo austriaco ha annunciato che avrebbe aperto le frontiere e lasciato passare i rifugiati diretti in Germania. Da quel momento in poi, l'obiettivo degli attivisti è cambiato. Il convoglio ora puntava ad aiutare la parte orientale dell'Ungheria—dove non c'è stata molta solidarietà né altri tipi di iniziative, per non parlare della totale assenza di iniziative ufficiali per i rifugiati.

Il gruppo di attivisti è composto da molti ragazzi provenienti dalla piccola città di St. Pölten. Uno di loro, Dominik Paireder, dice che ha diffuso l' iniziativa nella sua cerchia di amici e che in meno di un giorno aveva già un seguito enorme.

Ako Pire, un altro attivista di sinistra che faceva parte del convoglio, ha detto che era anche era furioso per come la situazione era stata gestita dal governo. "Il governo avrebbe potuto agire molto prima e fare molto di più," ha detto. Infatti il governo austriaco non si è attivato finché la situazione non ha rischiato di degenerare. Solo in quel momento ha aperto le frontiere, e l'ha fatto a malincuore.

I ragazzi del convoglio caricano acqua, cibo e sacchi a pelo su camion e macchine. Altri portano cibo per bambini, vestiti e medicine. Il tutto sta andando per le lunghe ma per un buon motivo: ci sono così tante persone che vogliono dare una mano che si trovano a dover fare la fila per consegnare le donazioni.

Partiamo da Vienna alle 10 del mattino. Parlo con Maria Fraißler e Marla Berger, due ragazze del convoglio, che mi spiegano le loro motivazioni, "il tempo dei accendere ceri, dei minuti di silenzio delle petizioni online è passato," mi dicono, "Per noi, adesso, è importante fornire un aiuto concreto." La nostra prima sosta è a Budapest, dove scarichiamo delle donazioni fatte dagli attivisti della ONG "Age of Hope". Ákos Tóth, un ragazzo del convoglio, mi spiega che lo scopo della ONG è aiutare le famiglie dei migranti. "Le notti sono già piuttosto fredde e ci sono migliaia di profughi che non hanno alcun modo di ripararsi."

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Parliamo anche dei problemi con gli estremisti di destra. Tóth mi dice che ci sono stati numerosi scontri tra loro e gli attivisti, l'ultimo dei quali risale solo alla settimana prima. Tuttavia, i neonazisti non sembrano preoccuparlo troppo. "Fanno i duri solo online, sono forti solo quando qualcuno li guarda."

L'autore con Ákos Tóth

Secondo lui, il problema vero è nella discriminazione di ogni giorno. "Non ho alcuna fiducia né nel governo ungherese né nell'Unione Europea. La mia unica speranza è nelle persone qui fuori."

Dopo di che, ci spingiamo ancor più a est. Per strada incontriamo alcune difficoltà tecniche—un camion è troppo pieno e il suo carico va distribuito, una macchina si rompe e deve essere rimandata indietro, a Vienna.

È tarda sera quando arriviamo a Debrecen. È una città di confine, vicina alla Romania e non lontana dall'Ucraina. È buio e fa freddo, ma anche qui come a Budapest le persone fanno la fila per accoglierci e aiutarci. Ci incontriamo con i nostri contatti di Migration Aid Debrecen. La gente scarica i camion e distribuisce il cibo. Alla stazione c'è un grandissimo numero di rifugiati che dormono o aspettano. Gran parte di loro viene dall'Afghanistan.

Un bambino di forse cinque anni riceve un peluche da parte di qualche volontario. Sorride e lo poggia delicatamente per terra, vicino a dove dormono le sue sorelle.

Quando parliamo con alcuni profughi, questi ci dicono che è abbastanza comune essere derubati dalla polizia bulgara. All'inizio penso di non aver capito bene, che si sia perso qualcosa nella traduzione. Ma mi confermano che ho capito benissimo. La polizia bulgara deruba, picchia e chiede tangenti ai rifugiati. I rifugiati sono disperati, ma anche ora che le frontiere sono aperte non possono salire sui treni perché i poliziotti li hanno derubati dei soldi per il biglietto.

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Un uomo afghano mi dice di esser stato fatto scendere dal treno quattro volte. Aveva sempre il biglietto, ma ogni volta gli scadeva perché i funzionari gli ritardavano il permesso di partire. I profughi non possono nemmeno salire sugli autobus, perché le aziende di trasporto si rifiutano di prenderli a bordo.

Alla stazione, non c'è abbastanza cibo per tutti. I bagni chiudono alle 9 di sera. I rifugiati hanno paura di entrare nei campi profughi locali per paura di rimanerci bloccati. E una volta rimasti bloccati lì, hanno paura di quello che gli farà la polizia.

Aida Elsaghi è una dottoressa che è stata alla stazione ogni giorno da quando sono arrivati i primi rifugiati. "Da parte del governo non c'è nessun aiuto," mi dice. "Siamo circa una ventina di persone e veniamo qui tutta la settimana per fare quello che possiamo. Ci sono persone che non mangiano da giorni, ci sono donne e bambini. Quando vengono presi dalle forze dell'ordine, vengono solo trasportati nei campi profughi, senza acqua, cibo né assistenza medica."

Alcuni degli attivisti locali ci raccontano delle minacce ricevute dai gruppi di estrema desta, ma anche della generosità di parte della comunità. Un panettiere locale, lui stesso un ex profugo proveniente dal Kossovo, tutte le sere cuoce e regala del pane ai migranti. Anche gli studenti della facoltà di medicina locale offrono il loro aiuto.

Ci dirigiamo al campo e scarichiamo le ultime merci dai camion. Ako Pire mi racconta di quanto per lui tutto questo sia importante. "Sono iniziative internazionali come questa ciò che serve per abbattere la fortezza che è diventata l'Europa"

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Sulla via del ritorno verso Vienna, parliamo con altri attivisti che ci informano quali siano i valichi di confine liberi e dove si può far salire a bordo dei rifugiati senza problemi. La nostra macchine è pienissima, ma altri che hanno un po' di spazio lo offrono a queste persone, che vogliono disperatamente entrare in Austria.

Per Maria Fraißler, i confini nazionali non dovrebbero essere un problema in questi casi. "Se una legge è ingiusta, dal punto di vista morale è lecito violarla."

Alle due di notte siamo di nuovo alla stazione di Vienna. Qui, i volontari non hanno mai smesso di lavorare.

Solo una settimana fa, le principali testate austriache erano piene di articoli su aggressioni razziste e su quanto fosse insostenibile la situazione nel campo profughi di Traiskirchen—che ha portato anche a una protesta di Amnesty International, che ha definito la situazione "un completo fallimento dell'umanità." Come sempre, alcune testate hanno sostenuto che Amnesty non sapesse di cosa stesse parlando e che i rifugiati siano degli ingrati.

Ma adesso non è più così. Da lunedì scorso, la situazione si è capovolta. Oltre 25 mila persone hanno manifestato contro l'atteggiamento riluttante del governo ad aiutare i rifugiati. Nelle stazioni ferroviarie di Vienna, Salisburgo e altre città, la gente fa la fila per dare una mano. Anche in Ungheria, il cui governo è famoso per le sue posizioni estremamente rigide in materia di immigrazione, i cittadini si mostrano sempre più solidali e hanno iniziato ad aiutare i profughi siriani e afghani a passare la frontiera. C'è qualcosa nell'aria, e non parlo dei sassi che i neonazisti ungheresi tirano contro i profughi accampati alla stazione.

Segui Michael su Twitter: @michaelbonvalot.