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reportage

Depressione stagionale a Vilnius

Le donne lituane sono di gran lunga tra le più belle che abbia mai visto. C'è qualcosa nella rigidità del clima che le rende estremamente attraenti, dotate di un fascino in cui raramente mi sono imbattuto.

Le donne lituane sono di gran lunga tra le più belle che abbia mai visto. C'è qualcosa nella rigidità del clima che le rende estremamente attraenti, dotate di un fascino particolare in cui mi sono imbattuto soltanto in alcune zone del nord degli Stati Uniti, in Minnesota. A Minneapolis, il termometro scende sotto lo zero con la stessa facilità con cui accade a Vilnius, ma mentre nel primo caso il freddo ti colpisce al volto e si insidia nelle case, a Vilnius è immobile, come sospeso nella calma vuota di uno schermo cinematografico.

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D'inverno le ore di luce sono poche e il sole compare raramente. I pomeriggi arrivano in fretta, mentre il tedio del clima contamina l'aria e circonda la testa in maniera simile a un'emicrania. A Vilnius la depressione stagionale non è un disturbo, ma uno stile di vita.

La città è tagliata in due dal fiume Neris, un corso d'acqua serpeggiante che arriva dalla campagna e percorre il centro medievale, dividendo la zona tra sud e nord, vechio e nuovo. Il fiume Vilnia incontra il Neris alla base della Torre di Gediminas, ciò che resta del castello edificato nel Quindicesimo secolo. A est del Vilnia sorge Uzupis, quartiere che ospita una nutrita comunità artistica, e a ovest svettano le cattedrali della città vecchia, testimonianza della storica fusione tra Ortodossia russa, Cattolicesimo ed Ebraismo.

Il risultato è un'architettura ibrida, che con l'arrivo di Napoleone valse alla città la denominazione di "Gerusalemme del Nord." Oggi, la città nuova è popolata da grattacieli e palazzoni in stile sovietico, di frequente ricoperti di graffiti.

La maggioranza delle statue di Lenin e Stalin sono scomparse negli anni Novanta, ma a un'ora da Vilnius, vicino al confine con la Bielorussia, c'è un giardino di statue dove è ancora possibile trovare qualche pezzo eredità del Comunismo. In un museo, altri busti sono lasciati a prendere polvere, simili a oggetti di scena ormai di disuso provenienti da un film di Wes Anderson.

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Per comprendere la Lituania di oggi, come e più di ogni altro luogo, è inevitabile inserirla nel contesto storico. Un tempo era il più grande stato d'Europa, e Vilnius è passata attraverso varie occupazioni, dai polacchi, ai tedeschi, ai russi.

In un tentativo estremo di mantenere il controllo, il 13 gennaio 1991, le truppe sovietiche entrarono a Vilnius coi carri armati, causando vittime e centinaia feriti tra i manifestanti. Gli Eventi di Gennaio, come verranno poi ricordati, arrivarono poco dopo la dichiarazione di indipendenza dell'ex Repubblica sovietica, nel 1990, 72 anni dopo la precedente dichiarazione. L'indipendenza venne riconosciuta nel settembre 1991, mentre l'ultimo battaglione sovietico lasciò il Paese due anni più tardi.

Servono intere generazioni perché le conseguenze di un singolo atto vengano completamente assorbite, e la resistenza non violenta del gennaio 1991 continua ad avere un peso nella cultura lituana. Oggi Vilnius è il silenzio della neve che cade in una palla di vetro rimasta intatta da quel passato. In attesa che cada l'altro capo del velo, le conseguenze decisive devono ancora fare la loro comparsa.

Dopo così tanta miseria, il Paese si sta facendo strada, e l'entusiasmo è palpabile. Lo scorso gennaio si è celebrato il ventunesimo anno dell'indipendenza; prima di ciò, dal 1918 al 1940, la Lituania aveva assistito a un'altra stagione di indipendenza.

Tempo fa, una giovane donna che ho conosciuto a Vilnius mi aveva detto di essere ben decisa a non sposare un lituano. Voleva uno spagnolo, e l'ultima volta che ho controllato la sua pagina Facebook mi è sembrato fosse riuscita nell'intento. Lei e il fidanzato dividono un piccolo appartamento e a breve dovrebbero sposarsi. Ironia ha voluto che rimanessero a vivere a Vilnius, e—anche se posso solo immaginarlo—il fidanzato dovrà acclimatarsi al meglio possibile.