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Secondo la Digos i baci gay in pubblico lasciano i passanti disgustati

Il 29 marzo, a Perugia, due attivisti LGBT si sono baciati per protestare contro le Sentinelle in Piedi. A distanza di mesi, è stato pubblicato il verbale della polizia su quanto accaduto quel giorno, e quel bacio è descritto come "prolungato e...
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Sentinelle in piedi a Milano. Foto di Zoe Casati.

Se vi è mai capitato di leggere un verbale scritto da un poliziotto, sicuramente vi sarete accorti che la lingua usata in quelle carte è quanto di più lontano possa esserci dall’italiano.

Italo Calvino, in un famoso articolo del 1965, la chiamava “antilingua”; altri lo definiscono “poliziese,” ossia un “linguaggio che sovrabbonda di frasi fatte, oscuro per imprecisione lessicale, per imperizia sintattica, per i goffi tentativi volti a conseguire la magniloquenza.”

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Nonostante la società sia (in teoria) entrata nel terzo millennio, il “poliziese” continua a spadroneggiare nelle questure e nei commissariati—e gli esiti, non solo linguistici, rimangono assolutamente grotteschi.

Ieri, ad esempio, L'Espresso ha pubblicato un verbale redatto dagli agenti della Digos a seguito di una contestazione alle Sentinelle in Piedi avvenuta a Perugia lo scorso 29 marzo, nel corso della quale due uomini si erano baciati tra di loro per protesta. Prima di descriverne il contenuto, tuttavia, è bene ricostruire tutto il contesto.

In quel giorno degli attivisti di sinistra e per i diritti LGBT, tra cui alcuni membri delle associazioni locali Omphalos e Bella Queer, avevano deciso di portare in piazza il loro dissenso contro la silenziosa omofobia delle Sentinelle.

In realtà però, come mi racconta Stefano Bucaioni—che da dieci anni è un attivista di Omphalos ed era in piazza quel giorno—“non c’è stata nessuna contromanifestazione. Semplicemente alcuni di noi, essendo la prima manifestazione delle Sentinelle a Perugia, sono andati in piazza per vedere cosa stesse succedendo, senza nessuna organizzazione. C’era chi aveva una maglietta colorata, chi un boa di piume di struzzo: ognuno ha deciso di contestare a modo suo.”

Il video della contestazione del 29 marzo 2014 a Perugia.

Gli attivisti non si sono preoccupati più di tanto nemmeno quanto gli agenti della Digos (in borghese) li hanno identificati. Anche perché “nessuno di noi,” prosegue Bucaioni, “avrebbe pensato che a distanza di sei mesi arrivassero delle denunce per quello che era successo quel giorno.”

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E infatti il 7 ottobre—che curiosamente è lo stesso giorno in cui Alfano ha inviato la circolare per chiedere ai comuni di cancellare la trascrizione delle nozze gay celebrate all’estero—sei attivisti (tra cui Stefano) si vedono notificare l’avviso di conclusione delle indagini della procura di Perugia. Le accuse che vengono contestate a tutti sono di disturbo della quiete pubblica e manifestazione non autorizzata.

Tra le carte spunta fuori anche il famigerato verbale della Digos—sei pagine in "poliziese" fitto che sembrano essere uscite da Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto.

I manifestanti anti-Sentinelle (“in numero di 30 unità”) vengono descritti dagli agenti come “elementi già noti a questo Ufficio, ed aderenti a varie organizzazioni e movimenti appartenenti alla sinistra antagonista e anarchica.”

Durante la loro “contromanifestazione estemporanea e non autorizzata” i manifestanti intonano “slogans,” utilizzano “ombrelli colorati ed accessori di abbigliamento multicolore” e si avvalgono addirittura “dell’ausilio di un tamburello di grosse dimensioni.” Alcuni attivisti, inoltre, iniziano a “girare tra le fila cantando, danzando e scandendo sempre slogans” con l’obiettivo di “provocare una reazione.” Le Sentinelle stanno però immobili, e gli agenti iniziano a chiedere i documenti a chi protesta.

Al termine dell’identificazione gli agenti chiedono agli attivisti di allontanarsi. “Alla richiesta," scrivono i verbalizzanti, "gli stessi non si allontanavano, ma mitigavano la loro azione di disturbo con dei brevi momenti di acclamazione.” Ed è qui che avviene il fattaccio.

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A un certo punto gli agenti vedono che Stefano, “avvicinandosi a un altro individuo di sesso maschile” (cioè suo marito), “si esibiva in un prolungato e concupiscente bacio sulla bocca con lo stesso [in grassetto nell’originale], nel bezzo mezzo di Corso Vannucci ed in presenza di numerose famiglie con bambini e ragazzi, molti dei quali minorenni, […] lasciando i passanti disgustati da tale dimostrazione.”

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Pubblicazione di Stefano Bucaioni.

Se non fosse già abbastanza agghiacciante parlare in un verbale di polizia di “passanti disgustati” di fronte a un bacio in piazza, mi sono andato a guardare l’esatto significato del lemma “concupiscenza.” Secondo la definizione che ne dà la Treccani, la parola significa “brama ardente, desiderio appassionato, soprattutto di piaceri fisici, corporali.” Nella morale cristiana, aggiunge la voce, vuol dire “passione intemperante, intesa come predominio della materia sullo spirito.”

Insomma, usare un simile aggettivo per riferirsi a un bacio tra persone dello stesso sesso è tutt’altro che neutro asettico o distaccato. E per Bucaioni, infatti, quel verbale è “ai limiti dell’assurdo”: “Non è una descrizione solamente di ciò che è accaduto ma entra proprio nel merito, perché parla di bacio che ha creato disgusto a minorenni. È una descrizione molto pesante, una cosa che non dovrebbe mai succedere, soprattutto se viene da organi di polizia.”

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Ad ogni modo, l’attivista non è minimimanente preoccupato del versante giudiziario. Quello che gli preme, sottolinea, è “far capire a chi lavora nelle forze dell’ordine che non possono permettersi di utilizzare determinate terminologie, o comunque di utilizzare la loro personale visione per mettere a giudizio delle persone.”

Il caso è arrivato anche a Montecitorio, con due interrogazioni parlamentari rivolte ad Angelino Alfano. Nella prima Alessandro Zan, eletto con SEL e poi passato al gruppo misto, ha parlato di “comportamento sia da parte delle forze dell’ordine che della magistratura requirente che spaventa e sembra ricalcare quello della polizia politica segreta di sessant’anni fa.”

La seconda è stata fatta dal deputato di SEL Nicola Fratoianni, che ha definito il verbale “intriso di razzismo.” Nella sua replica, Alfano ha ripetuto i capi d'imputazione (descrivendo erroneamente l’associazione Omphalos come un covo di antagonisti) e puntualizzato che “alle persone individuate non sono contestate accuse che hanno attinenza con presunti atti osceni a cui fa riferimento l'organo verbalizzante.”

Secondo Alfano, quindi, il bacio non c’entra nulla. Ma come mi dice Bucaioni, “se il bacio non c’entrasse veramente niente, allora non doveva essere né scritto né verbalizzato, soprattutto in quel modo. È chiaro che c’è qualcosa che non va.”

Che in questa incredibile vicenda ci sia qualcosa che non torna lo ha notato anche l’Ong Human Rights Watch. In un comunicato di ieri, la ricercatrice esperta sull’Europa occidentale Judith Sunderland ha chiesto alla procura di ritirare le accuse, dichiarando anche che “protestare con un bacio non è un crimine” e che “le imputazioni sarebbero risibili, se non riflettessero esattamente il sentimento anti-gay contro cui questi attivisti si battono.”

E alla fine il rovesciamento della realtà è il modo migliore di descrivere quello che è accaduto: degli attivisti per i diritti gay non solo sono finiti sotto indagine per aver protestato contro degli omofobi conclamati, ma hanno anche dovuto subire l’umiliazione di essere descritti come dei depravati in un verbale a dir poco retrogrado.

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