Il nuovo spettacolo di Beppe Grillo è la morte definitiva della sua satira

Parlando con un qualsiasi attivista o elettore del Movimento 5 Stelle, è inevitabile che si finisca a parlare della cosmogonia grillina—ossia l’esatto istante in cui loro, accorgendosi che la realtà propinata da tutti gli altri era una menzogna, hanno scelto la pillola rossa e scoperto un nuovo, eccitante mondo. Quell’istante, di solito, coincide sempre o con la lettura del blog di Beppe Grillo, oppure con la visione di uno spettacolo.

Come noto, tra gli anni Novanta e il primo lustro dei Duemila Grillo ha battuto i palcoscenici di teatri e palazzetti portando in scena la sua satira politica, ecologista ed economica, creando così quella massa critica che—da lì a qualche anno—sarebbe diventata l’ossatura politica ed elettorale della sua creatura politica.

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Con i primi V-Day e la nascita del M5S, chiaramente, Grillo ha smesso di fare gli spettacoli. D’altronde, tra comizi di piazza e campagne elettorali, che bisogno c’era? Eppure, in questo inizio di 2016, il non-leader ha sentito il bisogno di ritornare “al mondo dell’intrattenimento e della satira” con lo spettacolo ” Grillo vs Grillo,” previsto sia a Milano (dove ci sono già state tre date) che a Roma.

In un’intervista al Corriere della Sera dello scorso 16 gennaio, Grillo ha detto che “si è creata una confusione di ruoli” e che “è la schizofrenia di milioni di persone che hanno identificato in me due ruoli, quello comico e quello politico.” Poco dopo, il comico ha affermato di voler fare “un passo di fianco” dalle faccende politiche, perché “ho voglia di riconquistare la mia libertà.”

In effetti, almeno a prima vista, questo sganciamento di Grillo dalla gestione del M5S è un processo in atto da tempo—prima con la nomina, nel 2014, del “direttorio” di cinque deputati; e poi con la recentissima rimozione del nome dal simbolo. Il marchio, però, rimane pur sempre di proprietà di Grillo; e il controllo politico-amministrativo, come testimonia la vicenda del decalogo per i candidati a Roma, è saldamente in mano al socio Gianroberto Casaleggio.

Nella figura di Beppe Grillo, dunque, rimane da sciogliere una grossa contraddizione di fondo: può il fondatore del secondo partito politico italiano continuare a fare il comico? Può, insomma, tornare alla sua vita precedente, come se niente fosse? Per vedere cosa poteva venirne fuori, ieri sera sono andato alla prima dello spettacolo al teatro Brancaccio di Roma.

Appena arrivo, intorno alle 8.30, cerco subito di capire la composizione del pubblico. Prima di lanciare lo spettacolo, infatti, Grillo sperava che in sala non ci fossero “solo i grillini,” ma anche “le persone a cui sono salito sulle scatole perché mi sono messo a fare politica.” Ecco: nella platea magari non tutti sono grillini—noto, tra gli altri, Ignazio La Russa, Roberto Giachetti, Antonio Di Pietro e Pippo Baudo—ma tra simpatizzanti, attivisti e parlamentari è presente una componente piuttosto rilevante.

A pochi posti di distanza dal mio, ad esempio, ci sono diversi deputati del M5S; e alla mia sinistra c’è la Cittadina Portavoce Paola Taverna, che proprio ieri aveva invocato “un complotto per far vincere il Movimento Cinque Stelle a Roma” riferendosi alla candidatura di Guido Bertolaso con il centrodestra. “Diciamocelo chiaramente,” aveva aggiunto Taverna, “questi stanno mettendo in campo dei nomi perché non vogliono vincere Roma, si sono già fatti i loro conti.”

Le luci del teatro, comunque, iniziano ad abbassarsi una volta passate le nove. Sullo schermo compare un “ologramma” di Grillo, vestito in giacca e cravatta, che inizia a elogiare (scherzosamente) quello che il Movimento ha fatto finora.

All’improvviso, dalla platea si alza il Grillo in carne e ossa: un faro lo illumina e lo segue mentre guadagna il palcoscenico. “Binario, 0-1, comico, politico,” esclama il comico sovrastando il suo doppio virtuale, “io voglio sapere chi sono, e chi sono lo dovete determinare stasera voi. È una seduta terapeutica per me: potevo andare da uno psichiatra, uno che non conosci e paghi; ho preferito far venire da me gente che non conosco e farmi dare qualcosina.” La coppia di fianco a me scoppia a ridere.

Nella prima parte dello spettacolo, Grillo ripercorrere la sua infanzia a Genova e la sua carriera, rievocando il periodo da cabarettista (“ho rubato anche una canzone di Pippo Franco!”) e raccontando le tappe che hanno segnato la sua evoluzione: la famosa battuta sui socialisti che l’ha fatto cacciare dalla Rai, l’approccio ai temi ambientali e il fatidico incontro con Gianroberto Casaleggio, che l’ha portato ad aprire il blog.

La rievocazione della vita di Grillo è puntellata da riflessioni politiche. “Io non volevo diventare un leader,” dice il comico mentre cammina tra il pubblico. “Mi sono sempre stati sui coglioni i leader e anche i movimenti, non ho mai avuto una tessera. Come sono diventato il capo di un movimento? Com’è stato stato possibile? Io scherzavo.”

A un certo punto Grillo si aggancia all’attualità, e in particolare alle elezioni comunali della Capitale. “Roma non è una città da perdere o prendere,” dice tra gli applausi scroscianti, “ma una città da giocarsi la vita.” Se vinceranno—butta lì Grillo—”pagheremo i buffi di questa città che sono immensi,” e sarà anche introdotta una “moneta alternativa” sul modello di quella introdotta dall’amministrazione a Cinque Stelle di Livorno.

Comunque, assicura Grillo, “non voglio parlarvi di politica.” Peccato che la seconda parte dello spettacolo a tratti sia praticamente un comizio, con molti temi—come ad esempio quello dell’autosufficienza alimentare, l’automazione del lavoro e il reddito di cittadinanza—che in questi anni ho sentito più e più volte nel corso di manifestazioni di piazza. Il comico avanza anche alcune proposte, come la “tassa sui consumi” al 50 percento, l’introduzione dei referendum propositivi e l’estrazione a sorte dei politici.

Foto di Federico Tribbioli

Per una mezz’ora buona, poi, Grillo passa in rassegna le cose “fantastiche” che si possono fare con la tecnologia del giorno d’oggi. Il comico parla dunque di “app meravigliose” che ti permettono di essere recuperato “con un aereo o un elicottero” in qualunque parte del mondo, gabinetti che ti fanno l’esame delle urine e sono collegati con il frigo, fondi di caffè da cui si ricavano funghi commestibili e imballaggi commestibili. Certo, non siamo ai livelli del leggendario zip war airganon—ma poco ci manca.

Ormai è passata un’ora e mezza e, anche a causa di questo bombardamento di reperti tecnologici presentati come se fossero delle pozioni magiche, ho la sensazione il pubblico si stia un po’ perdendo. Dopotutto, lo spazio per la comicità si è ridotto al minimo, e l’unica cosa che tiene alta l’attenzione è la straordinaria capacità da performer che Grillo dimostra ancora di possedere.

Verso la fine, quando lo spettacolo dovrebbe raggiungere il climax, il comico tira fuori due confezioni di “grilli caramellati” e inizia a mangiarne uno. Lo stesso era successo a Milano, dove lo sketch si era concluso con la frase: “mi mangio da solo”; a Roma, però, la scena è piuttosto diversa.

Con un coup de théâtre dei suoi, Grillo chiede a “qualche mio parlamentare” di raggiungerlo sotto il palco. Dalla platea una dozzina di Cittadini Portavoce risponde alla chiamata, si avvia con il sorriso verso il loro Megafono, e quest’ultimo inizia a dar loro i grilli come se fossero una particola— “il grillo entra in voi e io sono libero!”

Terminata l’eucarestia e rimandati indietro i parlamentari, il comico sostiene che i due Grillo “devono fondersi” per far nascere un “qualcosa di diverso.” Poi, come ultimo gesto della serata, il pubblico viene invitato dallo stesso Grillo a mandarlo a fanculo—cosa che viene fatta tra gli applausi e le risate.

Uscendo dal teatro, e ripensando soprattutto alle ultime scene dello spettacolo, riesco a darmi una risposta al quesito iniziale: non esiste più alcuna dicotomia nella figura di Beppe Grillo, anche perché ormai ce n’è uno solo—ed è quello politico.

Da questo punto di vista, pertanto, ha perfettamente ragione Daniele Luttazzi. Quando era stato annunciato lo spettacolo, l’autore aveva scritto un post sul suo blog per dire che, non appena un comico si mette a fare “attività partitica,” la sua satira “diventa inevitabilmente propaganda.”

Il tentativo di rifarsi una verginità satirica può funzionare a livello di marketing, come è stato nel caso di specie; tuttavia, non può nascondere il fatto che la natura della comicità di Grillo sia irrimediabilmente cambiata.

E, infatti, quello che ho visto al Brancaccio non è stata né satira, né comicità: ma pura e semplice propaganda politica intervallata da qualche battuta. Con l’unica differenza, rispetto ai comizi di piazza, che questa volta si pagava—e anche profumatamente.

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