Una cosa è dover sottoporre la propria vita privata al microscopio dell’opinione pubblica, un’altra è offrirla volontariamente. Celebrità e politici sono costantemente sotto lo sguardo del pubblico senza troppe possibilità di scelta, ma il canadese Guillaume Simoneau non è una celebrità, né un politico. Guillaume è un fotografo e di recente ha pubblicato un libro intitolato Love and War, sulla sua relazione con Caroline Annandale (anche lei non è una celebrità).
Il libro di Guillaume esamina la relazione attraverso una serie di scatti non disposti in ordine cronologico, mentre le poche parole aiutano a dare un contesto agli eventi. La storia è raccontata dal punto di vista del fotografo: anni di gioia prima dell’11 settembre, il successivo arruolamento di Caroline nell’esercito, la rottura, il matrimonio di lei con un altro soldato, il servizio in Iraq, il divorzio e infine il breve periodo in cui il fotografo e il suo soggetto sono tornati insieme.
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La storia è incredibilmente intima, ma sottile nell’approccio—un po’ come introdursi nella camera da letto dei due ex innamorati, leggerne i messaggi e osservare le foto sui loro computer.
L’idea del libro si è sviluppata per caso, dopo che Guillaume aveva ricevuto dei fondi per lavorare a un progetto sul reinserimento di Caroline nella vita civile da veterana di guerra. Quando si sono definitivamente lasciati, Guillaume è stato costretto a rivedere le sue opzioni. Si è ritrovato a guardare vecchie foto e messaggi salvati dalla sua ex e quel che ha messo insieme da allora, dice, era troppo forte per non essere condiviso col pubblico.
Ho chiamato Guillaume dopo che è tornato dal lancio del libro ad Arles, in Francia, e abbiamo parlato di Love and War, della relazione con Caroline e dell’uso di diversi mezzi di comunicazione nel progetto.
VICE: Ciao Guillaume. Cosa hai provato quando hai visto il prodotto finito?
Guillaume Simoneau: Sono tornato nei miei archivi e ho scavato e tirato fuori questo lavoro completo. All’inizio ero sconvolto. Non me l’aspettavo. I sentimenti che ho avuto sul momento erano troppo forti. Mi dicevo tipo, ok, dovrai fare i conti con tutta questa roba. Quello che hai davanti ora andrà mostrato alla gente, perché è troppo potente. È la tua vita privata che dovrai mettere davanti al pubblico e dovrai farlo, perché è una storia che deve essere raccontata.
Per me il lavoro è un riflesso nella memoria. Molte persone proveranno sentimenti contrastanti per non essere al centro della storia, ma ai margini. Accumuli visioni; accumuli suoni; accumuli memorie che poi restano con te. Sono interamente parziali e oggettive. Essere in grado di raccontare questa storia d’amore attraverso una ricostruzione imparziale e oggettiva è stato molto avvincente. Se andassi a chiedere a Caroline di questo libro, o le domandassi di raccontarti la sua parte di storia, sarebbe qualcosa di completamente diverso, probabilmente con tonnellate di contraddizioni.
Anche Caroline ha visto il lavoro?
Sì. Doveva acconsentire alla pubblicazione perché io potessi andare avanti.
Ti ha detto cosa ne pensava?
Le andava bene, ma voleva essere sicura che il materiale, l’introduzione, e tutto il resto non contenessero nulla di diffamatorio nei confronti dell’esercito e dei soldati. Per lei era importante che io avessi rispetto per questo aspetto, e io non avevo nessun problema a riguardo. Non sarebbe stato un lavoro contro la guerra o i soldati. Da quel che capisco mi sembra che Caroline rispetti il mio lavoro; in un certo senso è anche piuttosto lusinghiero (ma anche questa è solo una mia impressione) che qualcuno crei una cosa del genere sulla tua vita.
Certo. Deve essere interessante, per il soggetto, capire come ti vede come il fotografo. È cambiata la tua percezione della guerra durante la vostra relazione?
Ah, drasticamente. E non solo per Caroline. L’oceano di materiale sulla guerra che ci arriva tutti i giorni dai media è quello che mi ha fatto cambiare maggiormente il mio punto di vista. Fare avanti indietro da Atlanta e passare tempo coi soldati, con i civili, conoscere la periferia di Atlanta e capire cosa significhi stare nell’esercito, il fatto che sia una via più che accettabile per chi cresce e diventa maggiorenne da quelle parti… E una volta che si arruolano e tornano a casa sono trattati come re dalla comunità. Ti dà una struttura; ti dà denaro; ti dà uno scopo; e alla fine ti dà un sacco di rispetto e attenzione.
Questa esperienza mi ha fatto riconciliare con le idee che avevo, perché ovviamente quando ho sentito che Caroline sarebbe entrata nell’esercito la giudicavo, come fanno in tanti. Il problema sono quelli che prendono le decisioni, non chi sta dall’altra parte della barricata.
Ci tieni a specificare che le foto non sono in ordine cronologico. Come hai scelto l’ordine?
Era importante non procedere cronologicamente. Ho provato a a vedere cosa sarebbe succeso ed era davvero poco interessante. Credo, fondamentalmente, che quando una persona legge una storia non vuole che le venga servito il piatto pieno. Piace il mistero, piace dover mettere insieme i pezzi. Allo stesso modo, facendo un parallelo con la nostra relazione, non fai vedere tutte le tue carte all’inizio, è un gioco di mistero—un po’ ne dai, ma alcune le tieni.
Nel libro i titoli sono molto calcolati, nel senso di ciò che dico e ciò che invece tengo per me. Do solamente quelle informazioni che servono a mettere insieme il puzzle, ma bisogna fare uno sforzo per capire.
A me hanno colpito soprattutto i due messaggi di testo. Come hai deciso di inserirli? Era un’idea che avevi fin dall’inizio?
In realtà no. Quando avevo quel telefono (quello nelle immagini)—e visto che sono uno stupido romantico—salvavo le conversazioni tra me e Caroline. Lavorando al materiale ho messo insieme tutte le immagini, prendendo anche foto dal mio telefono. Stavo passando in rassegna tutto quello che c’era sopra, ho trovato i messaggi e mi sono detto, aspetta… avrei potuto fare una foto dei messaggi e usarli. Quindi li ho aggiunti e sono diventati cruciali ai fini del ritmo e il modo in cui è raccontata questa storia.
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