Il 21 febbraio è successo quello che non doveva succedere: Enzo Carella ci ha lasciati. Qualcuno potrebbe dire: e chi cazzo è? E io risponderei: brutto stronzo, la morte di Carella è una sconfitta per tutti. In primis per me, perché per circa tre anni ho cercato di spingere un'intervista esclusiva con lui, che aveva dato l'assenso, ma pare che questa cosa non avesse, secondo i piani alti delle linee editoriali, lo stesso appeal dell'intervistare, che so, la Bertè. Rimandata all'infinito, come se Enzo si desse per scontato, come se fosse eterno, in panchina ad attendere una chiamata.
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Sarebbe stata l'occasione per far parlare un pezzo importantissimo della storia della musica italiana, che purtroppo non è mai riuscito a fare del tutto breccia, nonostante sia stato uno di quelli che hanno traghettato il Bel Paese fuori dall'età della pietra musicale. Ma lui, romano de Roma, aveva un seguito cospicuo d'irriducibili appassionati in ogni parte d'Italia: io e tanti miei amici e non amici musicisti gli siamo stati dietro per anni, proponendoci di incidere come session man a titolo gratuito i brani inediti che voleva realizzare e di cui dava spesso notizia su Facebook. Ma lui no, pensava ancora ai suoi vecchi compagni d'avventura, i Goblin. Sperava di potergli pagare l'onorario, sperava di realizzare un disco in tutta tranquillità con loro, con la gente con cui era abituato a lavorare e di cui si fidava ciecamente.Gente come Pasquale Panella, che non l'ha mai abbandonato: il paroliere perfetto per lui, di rottura, assolutamente lontano dalla retorica cantautorale, un poeta assurdista che accettava la sfida di sovvertire definitivamente i canoni fra testo e musica. Grazie a Carella ebbe la possibilità di lavorare anche con Battisti, uno dei tanti che ha scippato qualcosa a Enzo, chiaramente illuminati dalla sua rivoluzionaria visione della musica italiana. Perché Panella viveva con Carella una simbiosi unica: nascono insieme, pensano come una sola entità. Battisti fa fatica a cantare i testi di Pasquale, diventa a volte meccanico ed è costretto spesso a imitare le piroette melodiche di Enzo, proprio perché la sinergia Carella/Panella va liscia come l'olio, anche nelle metriche più ardite.
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Fra gli altri "scippatori" pensiamo a Venditti, che si accaparrò subito i Goblin a suonare nei suoi dischi, inaugurando questa relazione con l'LP Buona Domenica, che sarà l'inizio di un ammodernamento generale della sua musica nel tiro armonico melodico e negli arrangiamenti (vedi coretti, gestione delle risorse sui brani di due accordi tipo "Modena" e gli inserimenti jazzati/wave), mentre Enzo nel 1977 già se ne serviva bellamente. Pensiamo a Minghi, la cui "Vattene amore", risuona in un certo senso demodé già ai tempi della sua uscita se paragonata ai doppi sensi surreali di "Barbara": stesso autore dei testi, Panella, ma la suddetta "Barbara" nel 79 arrivò seconda al festival di Sanremo, non certo terza. Pensiamo a Daniele Silvestri, che con "L'uomo col megafono" senza dubbio cita più Carella che Dylan nella perfomance con i cartelli.Ma Carella era l'allucinazione del pop italiano, era una svolta brusca e innovativa in territori fatti di precisione certosina negli arrangiamenti, nella produzione, in tutto. Spendendo fino all'ultima lira e fino all'ultima goccia di sudore, senza timore di suicidi commerciali, pur di ottenere il prodotto perfetto, anche a costo di stordire l'ascoltatore, portandolo in zone di luce e ombra inedite. Zone fra il romantico, il sensuale, l'estremo, fra il sacro e il profano, fra il nulla e il tutto, in un crossover di stili musicali che elencarli è troppo arduo. Ma all'industria musicale, e al pubblico, è mancato il coraggio.
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Vero è che il nostro fosse un personaggio particolare, uno che quando incontrò Dalla nel backstage durante il programma di Carlo Conti "I migliori anni", nel quale fu invitato a esibirsi con l'onnipresente "Barbara", non gli strinse la mano per motivi "di coerenza". Vero è che fosse un completo dropout per molti versi, uno che finì arrestato per aver dimenticato aperta l'acqua d'irrigazione delle sue numerose piantine di marijuana, con conseguente arrivo dei pompieri e quello che poi potete immaginare. Insomma, un eroe. I Masoko raccontano di averlo invitato per un featuring e che lui, a studio pronto e microfono acceso, all'ultimo momento si sia rifiutato di cantare.Questo era Carella, ineffabile inventore del "post-pop" italiano: dove psichedelia e realtà s'incontrano, dove la finzione è già canzone stessa ed è fondamentalmente la vita, un cilindro con più doppifondi. Perché siamo tutti attori impazziti in un teatro le cui travi sono sempre sul punto di spezzarsi. A questo punto, dunque, lascio parlare la musica, gli album di Enzo. Perché il lamento è inutile e, quando la storia parla da sé, non c'è piagnisteo postumo che tenga.Un esordio folgorante dentro il quale il magico duo mette tutta la sua sapienza poetico-musicale. Quadretti psichedelici surreali, controcorrente, sensuali, a doppio senso, assolutamente atipici. C'è di tutto: dal Brasile alla musica popolare a 360 gradi, al funk, al jazz, alla disco, al prog rock e finanche alla new wave prima che questa avesse un nome. Ma tutte queste influenze e intuizioni non si avvertono se non in superficie: si avverte invece in modo fortissimo che questa è la musica di Carella e nulla più, non c'è genere che tenga.
Vocazione, 1977
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Tutto viene filtrato dalla voce maliziosa di Enzo, quasi un Raul Seixas del pop italiano, completamente inaudita anche oggi. Ispirazione per alcuni act indie come Colapesce, ma se questi avessero davvero ascoltato la lezione di Enzo oggi forse non staremmo qui a rimpiangerlo. Vocazione, infatti, è il miglior disco indie del 2017. Agli strumenti, fra gli altri, Pignatelli dei Goblin, alle tastiere Paolo Rustichelli, per una qualità estrema ancora oggi imbattibile. Basti ascoltare "Malamore" per capire che non è stata e non sarà più la stessa cosa.Enzo si accaparra buona parte dei Goblin (Pignatelli, Marangolo, Guarini) mettendosi egregiamente alla chitarra. Lima il tiro sintetizzando le intuizioni più scoppiate del disco precedente in perfetti gioiellini pop: uno dei dischi che hanno influenzato molto il songwriting di Calcutta (suo grande fan) in maniera in parte inconscia (come non pensare a "Foto" quando si ascolta "Natalios"?). Inaugura l'entrata di Carella nel mondo della "musica italiana che conta". In maniera repentina si ritrova al secondo posto del festival di Sanremo, con quella "Barbara" che diventa immediatamente sua croce e delizia.Nonostante il successo, Carella rimane infatti completamente distaccato dai facili entusiasmi del mondo dorato della canzonetta. Il mondo dorato di cui sopra invece è sconvolto dalla sua penna, tanto che le spruzzate di pop jazz con finale a schitarrate acide verranno più tardi risucchiate dai Pooh del 1984, così come le intrusioni hard blues/psichedeliche poi saranno saccheggiate da Zucchero, o il funk tiratissimo di "Oh Rai!", nato prima del celeberrimo "Viva la Rai" di Zero. "Nel cielo mucche/nelle stalle tutte stelle": un manifesto surrealista ma anche molto concreto attacco allo star system, come fu la "Scuola romana di musicalità" del disco precedente, in cui si rivelava che Roma aveva finalmente il suo nuovo paladino a trascinare tutta una scena che, del vecchio cantautorato, faceva poltiglia.
Barbara e altri, 1979
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Sfinge, 1981
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Carella De Carellis, 1992
Se non cantassi non sarei nessuno (l'Odissea di Panella e Carella), 1995
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Carella sembra prendere tutto questo materiale e mescolarlo fino a dargli una dignità che buca il muro della "Fininvest muzak", prendendosi gioco di modi e generi e soprattutto della musica pop di maniera. Si riprende insomma quello che l'industria ha tolto alle orecchie della gente: da qui l'odissea del titolo, i proci vanno fatti tutti fuori."La superficie sarà / domani profondità". Il singolo "Oggi non è domani" è un manifesto assoluto di genialità che rasenta il classico. Carella e Panella, insieme dopo quelli che sembrano milioni di anni, costruiscono un disco che seppellisce quasi tutto quel "pop cantautorale" che oggi spopola in Italia, non si sa bene per quale ragione.Senza più un Battisti da superare, senza più niente da dimostrare a nessuno, quest'ultimo lavoro è forse il capolavoro di Carella nel non dare punti di riferimento se non quelli contenuti in questi versi, versi di un Panella passato nel frattempo indenne anche attraverso esperienze come l'adattare il libretto del Notre dame de Paris di Cocciante, esperienza che lo avvicinerà ancora di più al suo vecchio compare. Come a dire: attenti, che un giorno capirete cosa vi siete persi; sbrigatevi, svegliatevi, prendete quello che ancora c'è di Carella prima che si dissolva."La mia incredulità, un pentimento sarà / Il mio continuo fottio, domani la castità / Il mio silenzio sarà, domani loquacità / La mia spietata idiozia, intelligenza sarà". Queste parole bastano a descrivere i nostri rimpianti più del nodo in gola. Ciao Enzo, e perdonaci, se puoi, da lassù.Demented è su Twitter: @DementedThement.Segui Noisey su Twitter e Facebook.