In 'Californium' parti per un viaggio psichedelico nel mondo di Philip K. Dick

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In 'Californium' parti per un viaggio psichedelico nel mondo di Philip K. Dick

Californium, il videogioco ispirato da Philip K. Dick, è un viaggio psichedelico nella mente dell'autore.

Vi siete mai chiesti dove finisca la realtà e dove cominci l'allucinazione collettiva? Avete mai pensato che ci sia qualcuno o qualcosa che ci tiene nascosti da realtà troppo spaventose per essere comprese appieno? La vita che vi eravate immaginati è radicalmente diversa dalla quotidianità svogliata e ammorbante scritta in qualche codice binario in cui vi sentite rinchiusi?

Se vi capitano queste cose — e non sentite il bisogno di condividere link improbabili su Facebook per dimostrare che un'improbabile verità sia là fuori, dietro una coltre di scie chimiche — probabilmente avete più di una cosa in comune con Philip K. Dick.

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Non si tratta necessariamente di un bene, considerando che in cinquantaquattro anni di vita il buon Phil ha sì contribuito a plasmare la fantascienza e la narrazione distopica per come la conosciamo ancora adesso, ma ha anche passato gran parte della sua esistenza a consumare anfetamine a scopo terapeutico (pratica diffusa e che potrebbe finalmente spiegare perché negli anni '50 si facesse un gran parlare di sogno americano) nella speranza di lenire una forma di schizofrenia e i conseguenti stati depressivi che l'hanno tormentato fin da giovane.

Ma da grandi paranoie derivano grandi poteri, evidentemente, e PKD ha saputo esprimerli producendo alcuni capolavori della narrazione fantascientifica moderna, da Il cacciatore di androidiDo Androids Dream of Electric Sheep?, arrivato nelle sale cinematografiche grazie a Blade Runner di Ridley Scott quando però Dick era già defunto — a Ubik, passando per La svastica sul sole, Ricordiamo per voi — arrivato nelle sale nel 1990 come Atto di forza grazie a un altro fenomeno del disagio e della distopia, Paul Verhoeven — , e Rapporto di minoranza — trasposto invece dal più accomodante Steven Spielberg, che con il Minority Report del 2002 tirò fuori un thrillerone evidentemente ispirato ma abbastanza scolastico e lontano dalle atmosfere Dickiane.

Il problema di Californium, in effetti, è che si tratta di un walking simulator.

L'opera di Dick è profondissima, soprattutto considerando che nel frattempo riuscì a sposarsi cinque volte e ad avere tre figli, e la sua visione del mondo (o dei mondi) viene illustrata in maniera esaustiva attraverso romanzi, racconti, raccolte di epistolari e tutto il resto della sua produzione, anche postuma. Ogni singolo pezzo compone un enorme puzzle fatto di paranoie, poteri occulti, realtà alternative e mondi costruiti a tavolino per illuderci che la nostra vita sia qualcosa di più di un teatrino cosmico, in cui ricopriamo il ruolo di piccole marionette inconsapevoli.

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Come spesso accade nelle opere narrative più riuscite e significative, sotto lo strato più affascinante e immediato (in questo caso quello fantascientifico) di ogni singola opera si annida un messaggio profondo, un pensiero disturbante che rimane lì, dopo la lettura/visione, e ci trascina ulteriormente nel mondo, nelle idee e nelle ossessioni del suo autore, portandoci a fare domande di cui nessuno, probabilmente, conoscerà mai la vera risposta.

Vogliosi di trasportarci in questo mondo di disagio lisergico, e intenzionati a raccontarci una storia che sapesse esteriorizzare al meglio i lancinanti dubbi esistenziali e ontologici dell'opera omnia Dickiana, Darjeeling e Nova Productions hanno sviluppato Californium, una "lettera d'amore a Philip K. Dick" sotto forma di videogioco.

Il progetto, per altro, vanta il supporto e la produzione di Arte, rete televisiva franco-tedesca che, almeno idealmente, dovrebbe attestare la bontà culturale dell'opera in termini di aderenza con un autore di questo livello, e che sicuramente ha aiutato a spingere il lavoro dei due studi francesi in diverse rassegne e festival in cui Californium è apparso, raccogliendo premi e riconoscimenti di vario genere. Il fatto che questi premi e riconoscimenti siano arrivati in contesti che non hanno nulla a che vedere con i videogiochi, tuttavia, potrebbe già darci un'idea che non sia proprio tutto oro quello che luccica.

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Arrivato sui vari store digitali da un giorno all'altro e senza uno straccio di comunicato stampa che dicesse "preparate le anfetamine per il viaggio", Californium ha preso alla sprovvista un po' tutti, tanto che anche i più curiosi e gli irriducibili di PKD si sono ritrovati ad attendere le tanto vituperate recensioni di Steam per capire se valesse o meno la pena di imbarcarsi e spendere la decina di euro necessaria per prendersi male. Sì, perché OK i riconoscimenti ma — forse, eh! — il premio "best new media" al Philip K. Dick Film Festival è un po' troppo meta-referenziale per fidarsi a scatola chiusa.

Il problema (se così vogliamo chiamarlo) di Californium, in effetti, è che si tratta di un walking simulator, ovvero uno di quei giochi in cui si cammina per la maggior parte del tempo mentre la storia ci viene raccontata in maniera diegetica. Il genere, data la sua natura poco interattiva, ha diviso il pubblico sin dalla sua nascita: c'è chi apprezza la natura sperimentale e riconosce la profondità del messaggio dell'autore, spesso pensato per essere veicolato solo ed esclusivamente attraverso il medium videoludico — basti pensare a The Stanley Parable, della coppia Davey Wreden/William Pugh, e di The Beginner's Guide, interamente realizzato da Wreden — ; e c'è chi ovviamente bolla il tutto come un modo pigro e svogliato per propinare testi ampollosi che "servono solo per far eccitare quelli che vogliono fare gli snob e elevarsi dalla massa appoggiando prodotti che sembrano innovatissimi (sic) e invece sono quasi il nulla cosmico" (me lo hanno detto sul serio, eh!).

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Philip K. Dick, no?

Credo che la verità stia nel mezzo, e per tante opere riuscite in grado di lanciare un trend ci sono anche dei titoli pessimi che quel trend cercano di cavalcarlo, sperando di essere la next big thing, senza accorgersi che non sempre si può essere il fenomeno del momento — e se vogliamo lo dimostra anche il fatto che lo stesso William Pugh, incassata la partenza di Wreden, abbia realizzato Dr. Langeskov, The Tiger, and The Terribly Cursed Emerald: A Whirlwind Heist, un walking simulator di venti minuti in cui la cosa più entusiasmante credo sia il titolo.

Succede in tutti i medium di intrattenimento, e trovo sia inevitabile che accada anche con i videogiochi, un mondo che ha cominciato solo recentemente a sperimentare davvero con la narrazione, tanto che ancora non gli ha trovato una vera "dimensione ludica" propriamente detta — anche a causa di un insensato e inspiegabile accostamento che da sempre viene fatto col cinema, che però vive di regole e tempi completamente diversi).

Consapevole quindi che gli utenti di Steam continueranno a combattere un'eterna battaglia tra presunti marchesi della narrazione e sottoproletari arcade (al momento siamo a 67 recensioni per una valutazione "mixed"), ho acquistato Californium cosciente che il negozio digitale di Valve sarebbe stato lieto di rimborsarmi in caso il trip d'acido fosse risultato particolarmente turbolento.

Attraversato lo specchio, quel che vi ho trovato mi ha lasciato piuttosto freddino: nei panni di uno scrittore che ha perso la figlia, l'amore della moglie e la capacità di tirare giù quattro parole che non siano una filastrocca, mi ritrovo a battere a macchina (letteralmente: la prima cosa da fare è scrivere sulla tastiera quello che appare su schermo) fino a quando qualcuno non bussa alla porta. Il motion blur mi fa capire che sto patendo i postumi del sempre caro mix alcool/droga e, in generale, lo stile grafico a metà tra The Legend of Zelda: Wind Waker sotto acidi e il film A Scanner Darkly - Un oscuro scrutare (non a caso tratto dall'omonima opera di Dick) mi fa capire che, almeno nelle intenzioni, Californium sembra averci provato forte a trasporre PKD e il suo mondo. O i suoi mondi.

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La famosa macchina da scrivere su cui, be', scrivere cose.

Sì, perché è proprio quando la stanza si ferma che comincia il viaggio: dalla televisione arriva inesorabile la voce fuori campo, cliché immancabile di ogni buon walking simulator che si rispetti, a metterci il sospetto che non è tutto come sembra. Rovistando per la stanza del nostro alter ego risulteranno infatti evidenti degli squarci su un altro universo, che starà a noi aprire per dipanare cosa si nasconde dietro il sipario sgualcito della nostra vita.

Tuttavia, il primo simulacro a crollare è il più grande, ed è proprio Californium stesso. L'opera di Darjeeling/Nova Productions si rivela troppo presto una di quelle esperienze le cui buone intenzioni — tra cui quella eccessivamente gravosa di voler trasporre un'esperienza Dickiana in un videogioco già alla prima produzione indipendente — sono sepolte dietro un videogioco che non sa cosa vuole essere, trasformandosi fin dalle prime battute da trip d'acido a un'overdose di Travelgum per farsi passare la voglia di vomitare.

Anche volendo chiudere un occhio sui dialoghi colpevolmente poco intriganti e sulle situazioni fin troppo risapute (anche tenendo conto della natura di omaggio), Californium è innanzitutto un'opera estremamente povera a livello estetico e visionario, incapace di sfruttare l'apparenza lisergica per mascherare asset scadenti nonché di immergerci davvero in un mondo che dovrebbe svelarsi intorno al giocatore. Ma, forse, è ancora più grave che la meccanica ludica dietro alla scoperta del mondo "vero" sia affidata, piuttosto che alla narrazione, a un'interazione dolorosa con gli ambienti, tra un pixel hunting delirante in cui l'angolazione della telecamera può determinare l'apertura o meno di uno squarcio dimensionale, o l'apertura stessa dei portali, che finisce spesso e volentieri per farci incastrare nelle aree del gioco costringendoci a riavviare completamente la partita. Sì, perché non esiste modo di salvare i propri progressi se non attraverso il salvataggio automatico, che avviene solo in concomitanza con la fine di ognuno dei cinque capitoli del gioco.

Per quanto potrei apprezzare la trollata di aver sviluppato un gioco distopico e pieno di disagio per raccontare proprio la distopia e il disagio stessi, mi trovo comunque a pensare che se Philip K. Dick avesse ricevuto questo tipo di lettera d'amore non l'avrebbe esattamente apprezzata, neanche con tutte le anfetamine terapeutiche del mondo.

Segui Stefano su Twitter: @Nabucodorozor