Foto delle stanze delle donne scomparse di Ciudad Juárez

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Foto delle stanze delle donne scomparse di Ciudad Juárez

Mayra Martell fotografa le stanze delle donne che scompaiono a Ciudad Juárez, in Messico, conservate intatte dalle loro famiglie.

A luglio del 2013, la stampa internazionale è rimasta sconvolta sentendo le dichiarazioni di José Luis Soberanes, l'attuale presidente della Commissione per i Diritti Umani. Secondo Soberanes a Ciudad Juárez, nello stato messicano del Chihuahua, sarebbero scomparse circa mille donne. Dare un numero esatto è impossibile. A oggi, è ancora così: il numero rimane aperto e nessuna organizzazione né organo governativo sa esattamente quante siano le donne scomparse.

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Io sono nata a Ciudad Juárez. Fin da bambina, ho sentito dire moltissime cose sull'argomento, e la cosa mi ha ovviamente segnato. Mia madre era molto apprensiva e non mi lasciava mai stare a casa di parenti o amici; è come se fin da piccola la città mi avesse insegnato a sentirmi costantemente in pericolo quando camminavo per strada, quando andavo al bar e quando andavo a una festa, anche se organizzata da persone che conoscevo. Ho lasciato la città a 18 anni, per andare a studiare a Città del Messico, e sono tornata a Ciudad Juárez a 24.

Al mio ritorno sono andata a vivere vicino al centro della città e quando uscivo mi trovavo di fronte centinaia di cartelli e di manifesti di donne scomparse. Mi fermavo a lungo a osservarli, notavo i tratti salienti come la statura, i capelli, gli occhi e i vestiti indossavano al momento della scomparsa. Continuavo a pensarci per ore, finché un giorno mi sono decisa a chiamare uno dei numeri di telefono scritti a penna su quei cartelli. Era il numero di casa di una ragazza, Yesenia. Chiamare quel numero era stata una mossa azzardata, perché non sapevo che dire; così mi sono inventata che stavo facendo delle ricerche e mi sarebbe piaciuto intervistare la madre, che ha accettato. La mia intenzione era di scoprire più cose possibile su Yesenia, arrivare a conoscere i suoi spazi privati. Così, nel marzo del 2005 ho iniziato questo progetto fotografico, e da quel momento non ho mai smesso di lavorarci. Con il tempo tutte quelle informazioni si sono trasformate in uno studio sulla violenza e sugli atti di terrore compiuti nella società.

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Finora ho visitato 78 famiglie di donne scomparse e 27 famiglie di vittime di femminicidio. Fin dal primo caso, ho sempre trovato qualcosa che mi legava a queste donne: la strada in cui erano state viste l'ultima volta, la scuola che frequentavano… Ho vissuto tutto da molto vicino e credo che senza il supporto e l'affetto ricevuto dalle loro madri non avrei potuto continuare.

La maggioranza delle famiglie conserva intatte le camere delle loro figlie: il ricordo è l'unica cosa che resta. Le madri mi mostravano le foto, i vestiti e in alcuni casi ho potuto sentire l'odore di quelle donne nei loro indumenti. Non ho mai visto tanto dolore come in quelle donne: è come se la scomparsa delle figlie avesse trasformato il presente in passato, rendendo quello l'unico modo di conservare intatto il loro amore. Con il passare del tempo, la memoria si rivela l'unica soluzione per il dolore dell'assenza.