Protesters in Tel Aviv
Tutte le foto di Chris Bethell.
Eurovision

A Tel Aviv, per l'Eurovision più politico di sempre

Secondo chi si oppone alla manifestazione, Israele sta usando l'Eurovision per stendere una bandiera arcobaleno sull'occupazione dei territori palestinesi e le violazioni dei diritti umani.

Mi ero dimenticato di quanto Tel Aviv possa sembrare un paradiso. È lunedì, e sul lungomare l'Eurovillage è aperto per accogliere l'Eurovision—che quest'anno si terrà in Israele, vincitore uscente della competizione. Tra gli stand gastronomici, bar, giostre, installazioni e attività c’è parecchia sicurezza, ma non è invadente; decine di migliaia di abitanti e visitatori entrano ed escono dall'area a ritmo di musica.

Pubblicità

Non sorprende, quindi, che un gruppo di cinque anonimi giovani, appena fuori dalla recinzione perimetrale, passi inosservato. Li raggiungo e chiedo se una di loro si chiama Ronja, e quando ricevo una risposta affermativa, mi siedo mentre lei mi spiega cosa sta per succedere.

"Vogliamo mandare un video nel bel mezzo del concerto,” dice. “È un messaggio dai palestinesi per l'Eurovision, e avremo anche uno striscione con scritto ‘Liberate il ghetto di Gaza’.” L'intenzione della loro protesta è chiara: l'Eurovision in Israele non può far dimenticare cosa succede ogni giorno nei territori occupati.

Ronja ha ventiquattro anni e vive in Svizzera. Venendo da una famiglia ebrea, sente un legame con il paese e ciò che sta accadendo qui. E nonostante l'impegno del governo israeliano per tenere alla larga chi si rechi nel paese nel con l'intenzione di interrompere e protestare contro l'Eurovision Song Contest, fa parte di un piccolo ma determinato gruppo di attivisti internazionali arrivati a Tel Aviv.

1557997935035-ChristopherBethell_MainStory-33
1557999830331-ChristopherBethell_MainStory-27

“Vogliamo manifestare contro questo insabbiamento culturale e dimostrare che Israele usa la musica e i diritti LGBTQ per distrarre l’attenzione dall'occupazione militare,” mi dice.

Qualche istante dopo lei e il suo gruppo si muovono. Un famoso musicista israeliano sta saltando sul palco su un terribile remix di “I Want To Break Free” dei Queen—la colonna sonora perfetta per il momento in cui gli attivisti spiegano il loro striscione e proiettano il video sullo schermo bianco dietro le casse. Il pubblico non ci mette molto a rendersene conto. Qualcuno scatta delle foto, altri cercano di capire cosa stia succedendo. Nel giro di pochi minuti, un israeliano indignato afferra lo striscione e urla a uno degli attivisti: “Vai a Gaza se ti piace così tanto.” Poi sputa e rilancia, “Coccola-arabi!”

Pubblicità
1557998539135-ChristopherBethell_MainStory-19
1557999182930-ChristopherBethell_MainStory-17

Guardandosi intorno durante i festeggiamenti per l'Eurovision, non è subito così ovvio capire perché un evento come questo sia stato preso di mira. Tuttavia, secondo i molti attivisti di tutto il mondo che hanno firmato petizioni per esprimere il loro malcontento e chiedere a musicisti e fan di boicottare l’edizione del 2019 a Tel Aviv, attività come questa rappresentano qualcosa di molto più sinistro. La città potrebbe sembrare un paradiso, dicono, ma c’è un prezzo da pagare.

È martedì e in piazza Habima, sede di diverse importanti istituzioni culturali israeliane, ci sono qualche centinaio di persone. “Prima di tutto, la protesta di oggi non riguarda solo l’Eurovision,” dice Shahaf Weisbei, 27 anni, una degli organizzatori della settimana di manifestazioni. “Ma molti qui hanno una percezione della realtà distorta. Le persone che vivono a Tel Aviv e nell’Israele ricco, non subiscono ogni giorno le conseguenze dell'occupazione [dei territori palestinesi].”

Dall'altro lato della strada, qualcuno fischia contro i manifestanti pro-Palestina. Un ragazzo con un cappellino "Make American Great Again" afferra una bandiera palestinese per toglierla a chi protesta, ma poco dopo viene allontanato dagli agenti. La maggior parte dei passanti non presta attenzione.

1557998755293-ChristopherBethell_MainStory-15
1557998605178-ChristopherBethell_MainStory-28

Shahaf Weisbei.

Un’espressione che è stata usata più e più volte in relazione a Israele e all’Eurovision è ‘pinkwashing’, l’idea che il paese, in un cinico atto di distrazione, usi la manifestazione per stendere una bandiera arcobaleno sulla sua scarsa tutela in fatto i diritti umani.

Pubblicità

Questo è un modo di vedere le cose, ma di certo il fatto che le persone LGBTQ+ non siano emarginate in Israele è una buona cosa, no? Vestita con un cappellino e una maglietta rosa, la 30enne israeliana Si Berrebi mi dice di non esserne così convinta. “Dire che il governo israeliano è dalla parte delle persone LGBT è in realtà fuorviante su due fronti,” spiega. “Il governo israeliano non protegge davvero la comunità LGBTQ,” sostiene Si, portando ad esempio il fatto che coppie dello stesso sesso non possono adottare o sposarsi, e la forte discriminazione nei confronti delle persone trans. “C'è anche, naturalmente, la violazione dei diritti umani in Cisgiordania e Gaza—che è in effetti l'opposto di qualsiasi cosa si possa definire progressista. Le persone queer che vengono qui questa settimana [per l'Eurovision] devono saperlo.”

1557998091881-ChristopherBethell_MainStory-30

Si Berrebi.

1557998146637-ChristopherBethell_MainStory-9

Edo Konrad.

In un bar lontano dalla confusione, l'Albi, il giornalista israelo-americano Edo Konrad è seduto al suo computer. Lavora per +972, un magazine israeliano di sinistra che raccoglie storie sull'occupazione e sui diritti umani in Israele e in Palestina. Mi spiega il concetto di Hasbara: “Pubbliche relazioni e propaganda a trazione governativa.”

Non è un segreto che ospitare l'Eurovision sia un’ottima opportunità per farsi belli, sia per i cultori che per i turisti che partecipano ogni anno, e ovviamente per i 200 milioni di persone che si metteranno comodi a guardare la finale da casa.

Pubblicità

Quei brevi video che mostrano paesaggi bellissimi, meraviglie storiche, città vivaci e in fermento che vanno in onda tra le varie esibizioni non sono altro che vere e proprie pubblicità. Spiego a Edo che dopo aver passato la mattinata nella città di Hebron, occupata dagli israeliani, tutta questa propaganda sull'Eurovision inizia a farmi sentire a disagio. “È esattamente questo il punto,” dice. “Durante gli ultimi 15 anni, Israele ha cercato attivamente di rivendersi e aprirsi al mondo, di mostrare un volto diverso,” dice Edo. “L'Hasbara c'è sempre stata, ma col crescere delle critiche internazionali sulle violazioni dei diritti umani nei territori occupati, ha cercato altri modi per presentarsi come una democrazia che rispetta lo stato di diritto e i diritti umani.”

In seguito agli attacchi a Gaza avvenuti una settimana prima, nel corso dei quali ci sono stati 25 morti, e a racconti su come gli attacchi siano stati fermati perché le autorità erano preoccupate di avere troppi occhi addosso, questa particolare mossa sembra più sinistra del solito. “Lo scontro con Gaza sarebbe potuto durare più a lungo, ma il bisogno di dare una buona immagine, la necessità di essere rappresentati come un'oasi di fratellanza tra le nazioni era molto più forte,” conclude Edo.

1557998926769-ChristopherBethell_MainStory-23

Jean Philip De Tender.

1557999986767-ChristopherBethell_MainStory-24

Mercoledì mattina l’Expo Centre di Tel Aviv è tranquillo. I volontari sono sparsi per il complesso a offrire consigli e indicazioni, alcuni blogger sono in attesa al ‘parcheggio delle delegazioni’ nella speranza di intravedere qualcuno degli artisti che arrivano per la prova generale della semifinale del giorno. Seduto a uno dei tanti banchi deserti c'è Jean Philip De Tender, il media director dell'EBU—l'organizzazione che gestisce Eurovision. “L'Eurovision rappresenta i nostri valori: raggiungere tutti, non escludere nessuno,” afferma. “Si tratta di diversità—il rispetto per tutti gli aspetti della vita.”

Con questo in mente, chiedo che cosa pensi degli inviti al boicottaggio e delle polemiche che hanno circondato l'edizione di quest'anno. Gli organizzatori hanno mai pensato di piegarsi alla pressione dell'opinione pubblica? Jean riconosce che l'evento possa avere un impatto politico, ma la responsabilità dell'EBU, aggiunge prima di andarsene, è di creare un grande evento. “È responsabilità dei giornalisti riferire cosa sta succedendo, e qui ce ne sono più di mille. La nostra manifestazione deve rimanere di per sé apolitica.”

Contestatori e attivisti anti-occupazione hanno ottenuto qualche successo. Il primo ministro israeliano Netanyahu voleva assolutamente che l'evento si tenesse a Gerusalemme per aiutarlo a legittimare la città come la capitale di Israele agli occhi del mondo, ma non ci è riuscito. L’associazione alberghiera Tel Aviv Hotel Association ha affermato che il concorso ha attirato molti meno visitatori stranieri del previsto. Ci sono altre proteste e azioni dirette programmate fino a sabato, e chissà che qualche artista non decida di fare una dichiarazione politica sul palcoscenico della finale.

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla newsletter di VICE per avere accesso a contenuti esclusivi, anteprime e tante cose belle. Ogni sabato mattina nella tua inbox. CLICCA QUI .

@MikeSegalov / @CBethell_Photo