Cultura

'Midsommar' è l’horror più bello che possa esserci

Il nuovo film di Ari Aster è sorprendente, oltre che un degno successore di Hereditary.
Midsommar Review
Foto di Gabor Kotschy, per gentile concessione di A24.

Attenzione: l'articolo contiene spoiler su Midsommar.

Midsommar, il nuovo film del regista di Hereditary Ari Aster, può risultare tremendamente raccapricciante. A un certo punto, in un primo piano estremo, un uomo anziano si vede ridurre in polvere il volto da un martello gigante. Più tardi, ci troviamo a guardare a bocca aperta un personaggio che è stato macellato vivo, privato di intere parti del corpo lasciate a penzolare a un uncino, con i polmoni di fuori, che ancora si gonfiano e sgonfiano. Di solito sono queste immagini, fantasiose e sconvolgenti, a rimanere impresse quando dopo un film dell'orrore.

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Ma Aster e il suo direttore della fotografia Pawel Pogorzelski non sono interessati soltanto a quei momenti. Più spesso, si soffermano sulle piccole gioie dell’ambientazione rurale scandinava: il luccichio dell'erba nelle prime ore del mattino, i fiori selvatici sulle colline, la quiete della campagna mentre i protagonisti del film se ne stanno sdraiati a pancia in su durante un trip di funghetti, scrutando il cielo e la natura che li circonda. La maggior parte del film si svolge di giorno, un fatto con il quale la telecamera sembra essere particolarmente in sintonia. Non c'è nulla che attende nell'oscurità. L'orrore è alla luce del sole, circondato da bellezze naturali—ed è questo che rende il film così inquietante, questo ricordare agli spettatori che la violenza è sempre lì, in bella vista.

Il film si apre con un'inspiegabile tragedia. Dani, interpretata da Florence Pugh, chiama il suo ragazzo Christian dopo aver ricevuto un'inquietante e-mail dalla sorella. Lui la calma, ma è inutile—la sorella ha già dirottato i gas di scarico all’interno della casa d'infanzia, uccidendo se stessa e i genitori. È un evento decisivo, per un film che riflette sul ruolo che la violenza e il dolore hanno nella vita quotidiana. Il fatto che accada senza preavviso all'inizio del film sembra voler dire che la morte è casuale, che il male può arrivare da qualsiasi posto, che il dolore e la perdita sono inevitabili.

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Christian stava per rompere con Dani, ma la tragedia li tiene legati. Per una sorta di senso del dovere, la invita a unirsi a lui in un viaggio nel paesino svedese di cui è originario il suo compagno d’università Pelle. A loro si uniscono gli amici di Christian, Josh—che sta preparando una tesi sui festival scandinavi di origini pagane di mezza estate—e Mark, un tale che non la smette mai di svapare e che sembra essere partito solo per ricordare l'insensibilità edonistica degli americani in vacanza fuori dai propri confini.

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Foto di Csaba Aknay, per gentile concessione di A24.

L'ambientazione è idilliaca e dolce, ma c’è qualcosa che non va. I compaesani di Pelle—che lui chiama “famiglia”—si vestono tutte di bianco, suonano nenie inquietanti con strumenti tradizionali e nelle oro abitazioni e nelle piazze espongono disegni grotteschi. Il festival inizia con un banchetto, ma poi due anziani incontrano la morte buttandosi da una scogliera. Tutti tentano di rassicurare i nuovi arrivati: è così che vanno le cose, e la gente del posto crede nell'idea che la natura sia un ciclo.

Ciò che colpisce maggiormente della scena della scogliera e delle altre raffigurazioni di terribile violenza è il modo in cui vengono ripresi quei momenti sconvolgenti. Le morti si verificano in pieno giorno e la telecamera non le evita mai, offrendo riprese ravvicinate anche dei passaggi più nauseabondi. Gli ospiti piangono e gemono o rimangono con lo sguardo fisso, scioccati e in silenzio, ma la gente del posto guarda stoicamente, come si farebbe durante una cerimonia religiosa. La tensione si attenua, e si torna agli scatti di bambini che giocano e persone che raccolgono fiori o lavorano nei giardini.

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Non che te lo aspetteresti da Aster, dati i ritmi magistrali di Hereditary, ma qui non c'è nessun trucchetto horror—nessun salto sulla sedia, nessuna violenza pornografica. Il film è diretto ed esplicito con gli orrori che cela il paesino, descrivendoli nei pittogrammi all'interno della baita in cui dormono tutti i giovani. Ti dice, questa è la violenza che accadrà, e poi accade.

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Foto di Merie Weismiller Wallace, per gentile concessione di A24.

Questo colpo espressivo si estende alla colonna sonora, composta dal produttore britannico Bobby Krlic, conosciuto per la sua insidiosa musica drone che crea come Haxan Cloak. Qui, Krlic usa la voce umana e i tradizionali strumenti nordici per creare pezzi dal movimento lento, tra melodie cadenzate e caos atonale. Un pezzo, verso la fine del film, parte con una sequenza ascendente che non suonerebbe fuori posto in un disco dei Sigur Ros, solo per trascendere in una stridente caduta libera mentre sullo schermo ha luogo il totale finimondo. La bellezza e il caos si intrecciano. Uno può sempre cedere all'altro in qualsiasi momento.

È quella la sensazione che rende Midsommar un film così sorprendente e degno successore di Hereditary. La possessione demoniaca del suo predecessore potrebbe piacere di più ai fan della retorica horror tradizionale, ma Midsommar cattura qualcosa di più profondo sull'esistenza. Col suo sguardo inflessibile, ricorda che l'orrore non accade nelle tenebre, lontano dalla realtà mondana. È una cosa di tutti i giorni.

Come il film del 1973 The Wicker Man, anche questo con rituali pagani orgiastici, Midsommar sembra concentrarsi sulle parti della natura umana che sono più oscure di quanto ci piaccia ammettere. Suggerisce che solo le convenzioni sociali ci impediscono di farci letteralmente a pezzi arto per arto, di mettere a ferro e fuoco il mondo intero. Ma il fatto è che lo facciamo comunque. I tassi di omicidio per violenza domestica sono in aumento. Nei lunghi e asciutti mesi estivi, dobbiamo confrontarci col fatto che presto, il nostro mondo sarà letteralmente di nuovo in fiamme. Ecco come stanno le cose adesso. Siamo sempre sul baratro della violenza, della morte e del caos. La domanda è: siamo anche complici?

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