Musica

Laurie Anderson non è solo 'la moglie di Lou Reed'

Ancor di più da quando, dopo che l'uragano Sandy le ha distrutto la casa, fa musica che racconta il delirio del presente meglio di una puntata di Black Mirror.
Simone Zagari
Milan, IT
laurie anderson
Screenshot dal video di "O Superman (For Massenet)", YouTube

Per raccontare la carriera e l’importanza di Laurie Anderson non basterebbe un’enciclopedia. Spesso trattata dai media più mainstream in quanto moglie di Lou Reed che per la sua arte visionaria, Anderson è musicista, compositrice, sperimentatrice elettronica, regista, fotografa, poetessa, artista performativa, eclettica avanguardista e molto altro ancora. Dagli albori nella New York degli anni 70 al capolavoro Big Science del 1982, dagli anni Novanta ai nostri giorni, Laurie ha sempre messo in discussione gli standard e le sicurezze del pensiero dominante per superarlo, per andare oltre qualsiasi cosa, presente compreso. Proprio per questo motivo penso sia opportuno lasciare il passato ai libri di storia (ovviamente da consultare, se non l'avete già fatto), per approcciarsi alla sua arte, e alla sua imminente performance in Italia, con uno sguardo il più contemporaneo possibile.

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E le ho guardate galleggiare, là, nell’acqua scura e brillante, dissolvendosi. Tutte le cose che avevo conservato con cura per tutta la vita stavano diventando spazzatura, nulla più. E ho pensato ‘Che bellezza, che magia, e che catastrofe’.

Con questa frase si chiudeva Landfall, lavoro della Anderson in collaborazione con il Kronos Quartet uscito nel 2018 e ispirato dai gravi danni subiti a causa dell’uragano Sandy, abbattutosi sulla sua abitazione newyorchese nel 2012. È un’epigrafe tragica, certo, ma che al tempo stesso porta alla luce una sorta di fascinazione distorta per la caducità del presente e la nostra piccolezza di fronte all'inevitabile apocalisse, per una fine che sia il ribaltamento della clessidra, la metafora di un nuovo inizio. Se dalle rovine non c’è via di scampo, insomma, l’uomo può solo provare a trarne il meglio.

laurie anderson landfall

La copertina di Landfall di Laurie Anderson insieme al Kronos Quartet, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

Il presente fa paura e il futuro, se non facciamo qualcosa, sarà anche peggio. Rabbia, odio, negazionismo e disuguaglianze sono la quotidianità con cui un pianeta morente è costretto a fare i conti. La catastrofe non fa più parte della narrazione distopica, la catastrofe è adesso. Viste e considerate la tangibilità del disastro e la sua portata, concentrarsi sul linguaggio potrebbe sembrare un’astrazione fuori luogo. In un momento storico così delicato, però, riconoscere la necessità di un alfabeto comune è il primo passo nel processo di salvataggio e ripartenza della razza umana.

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Il perché è ben esplicitato dal Comitato Invisibile, un collettivo di autori francesi che scrivono saggi politici: “Abbiamo cercato a tentoni quali passaggi, quali gesti e quali pensieri potrebbero permettere di tirarci fuori dall’impasse del presente. Non c’è movimento rivoluzionario senza un linguaggio capace di esprimere allo stesso tempo la nostra condizione e il possibile che la incrina”. Terraforma, il festival ecosostenibile di musica sperimentale che avrà luogo dal 5 al 7 luglio in Villa Arconati, alle porte di Milano, sta per mettere in pratica questo concetto in molteplici forme, prima fra tutte la scelta del tema principale di questa edizione del 2019: il linguaggio, appunto.

“In linea con l’estetica che ha finora caratterizzato Terraforma, anche il linguaggio verrà trattato come un medium: parole, immagini, vocalismi e codici creeranno una conversazione diretta e in continua evoluzione con la comunità che si ritrova a Villa Arconati dal 2014“, e ancora “Il tema di questa sesta edizione, il linguaggio, credo sia la dimostrazione di come crescono i progetti, rispetto al contesto “sociale” in cui viviamo anche noi con Terraforma sentiamo la necessità di prendere più posizione”, affermano gli organizzatori.

A questo punto sembra impossibile trovare un contesto migliore di Terraforma per la (ri)messa in scena di “The Language of the Future”, spettacolo di Laurie Anderson presentato nel 2017 al Transmediale. Un’opera che è stata descritta come un insieme di avanguardia musicale, arte visiva, stand-up e spoken word che mescola aneddoti personali ai temi più caldi dell’oggi: macchine, progresso e onnipresenza della tecnologia, sovraccarico informativo, politica.

Su ambienti inquietanti tratteggiati dal fido violino e dai sintetizzatori, Anderson si interfaccia direttamente con il suo pubblico. Indaga il presente nei suoi infiniti strati e mette a dura prova gli standard della comunicazione usando dei software (tra cui uno creato ad hoc che sincronizza le sue parole con frasi random proiettate alle sue spalle). Amore, storia e linguaggio relazionale si intrecciano in un percorso alla ricerca delle conseguenze che la contemporaneità ha sull’uomo, e viceversa.

Per stessa ammissione dell’artista, però, lo scopo che muove la sua creatività non è la volontà di cambiare il mondo, bensì lasciare che il pubblico venga naturalmente influenzato da ciò che accade sul palco. “The Language of the Future” è arte nella sua forma più pura: quella che a risposte preconfezionate preferisce lo stimolo di una coscienza critica.

“Language Is A Virus (From Outer Space)” cantava Laurie nel 1986 e oggi, a più di trent’anni di distanza, aggiunge: “Amo fare cose con il linguaggio perché è così impreciso. Molte cose che noi conosciamo in qualità di umani non possono essere espresse a parole”. Venerdì 5 luglio il linguaggio arriverà a Terraforma, direttamente dallo spazio profondo, per mettere in scena un’esperienza imperdibile. Sarà meglio viverla, perché le parole non saranno abbastanza per raccontarla.

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