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Italia

Cosa succede se sei una donna soldato dell'Esercito Italiano e aspetti un bambino

Abbiamo cercato di capire perché diventare madre da soldato rischia troppo spesso di trasformarsi un inferno lavorativo, economico e burocratico.
Immagine via pagina Facebook dell'Esercito Italiano

Conciliare il lavoro e la famiglia spesso non è facile, specie se di mestiere fai il soldato. Se sei una donna, poi, le cose diventano ancora più complicate.

Giulia ha 33 anni, è caporal maggiore dell'Esercito Italiano, ed è madre di due bambini. Per cinque ha combattuto a suon di sentenze e ricorsi per poter stare vicino al suo secondogenito, con gravi patologie psichiatriche.

"La ricorrente ha consapevolmente intrapreso il proprio cammino familiare e materno quando era già a conoscenza dei potenziali vincoli posti dal proprio peculiare e stringente status di militare," affermava il ministero della Difesa nel controricorso presentato al TAR dell'Emilia Romagna nel 2011.

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Giulia, di stanza a Bologna, si era rivolta al tribunale amministrativo per essere trasferita a Bari in modo da prendersi cura del figlio disabile.

Nonostante il TAR le avesse dato ragione, il Ministero non aveva permesso alla soldatessa di lasciare la sede a cui era stata destinata. Fino a che, nel 2012, il tribunale non aveva disposto l'assegnazione temporanea di Giulia nel capoluogo pugliese.

Ma il Ministero non era disposto a cedere. Si appellò al Consiglio di Stato, che – al contrario delle previsioni del governo – condannò la Difesa a un risarcimento di 10.000 euro nei confronti di Giulia.

Era il 2013. Per la prima volta, si stabilì che l'articolo 42 bis del D. Lgs. 151/2001 – che prevede la possibilità per i dipendenti pubblici con figli minori di tre anni di essere assegnati per un triennio a una sede di servizio nella stessa provincia o regione in cui lavora il coniuge – può essere applicato anche in ambito militare.

Da allora per Giulia le difficoltà sono aumentate: si è separata dal marito, e la salute di sua madre - affetta da un carcinoma - e quella di suo figlio sono peggiorate.

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Così il TAR della Puglia nel 2015 ha ordinato il trasferimento definitivo della donna a Bari per gravi motivi famigliari — si vocifera che, in seguito alla sentenza, uno dei vertici dello Stato Maggiore della Difesa abbia preso un aereo da Roma per andare a parlare con il presidente del tribunale.

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Giulia - che nel tentativo di smuovere il Ministero si è persino rivolta a Nadia Toffa, inviata de Le Iene - ha dovuto pagare a caro prezzo la propria battaglia. Come racconta lei stessa, ha ricevuto minacce, pressioni e insulti di vario genere. "Sto vivendo un inferno per avere tutelato i miei figli e i figli di tutti," lamenta a VICE News.

Al momento la donna è in malattia: l'ospedale militare le ha diagnosticato uno stato ansioso derivante dal mobbing subito da parte dei suoi superiori.

Ma quando dovrà tornare al lavoro, Giulia rischia di essere trasferita da un ente logistico a un ente operativo che potrebbe coinvolgerla in missioni all'estero, lontano dai suoi due bambini. Proprio per evitare ulteriori ritorsioni, ha deciso di non rivelare la propria vera identità — Giulia è solo un nome di fantasia.

Di casi come il suo ce ne sono e ce ne sono stati diversi, tra cui quello che nel 2011 coinvolse il caporal maggiore dell'Esercito Giuseppina Cristallo, trasferita da Bari a Bologna poco tempo dopo aver partorito e contro il parere del TAR della Puglia.

Nel 2010 Valentina Fabri - allora giovane precaria caporal maggiore dell'Esercito - fu esclusa dal concorso di stabilizzazione perché incinta, salvo poi essere riammessa al test grazie a una sentenza del TAR del Lazio.

Il ricongiungimento familiare: che cosa manca

"La gravidanza rappresenta un problema, per il Ministero," spiega a VICE News Adriano Garofalo, l'avvocato che ha difeso Giulia e molte altre soldatesse dopo di lei. "L'atteggiamento in caserma cambia quando le donne si sposano e fanno figli."

Tra i rimproveri rivolti a Giulia dal ministero della Difesa, c'è quello di non avere seguito il 'fenomeno' dell'unione tra militari. "Se sei sposato con un collega ti tutelano," afferma il caporal maggiore — nonostante la storia di Luca e Marta (nomi di fantasia), marito e moglie impiegati nella stessa caserma dell'Esercito a Gorizia e vittime di continui dispetti e ripicche, metta in forte dubbio quest'ultima affermazione.

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Inoltre, anche se - come spiega Garofalo - "l'istanza di ricongiungimento presentata da coniugi che fanno entrambi parte delle Forze Armate è sempre accolta," il problema è che non è possibile specificare dove si desidera essere trasferiti.

"Così quando una coppia di militari - lei residente a Barletta con i figli e una casa di proprietà, lui a Pordenone - ha chiesto il ricongiungimento familiare, il Ministero ha optato inspiegabilmente per il trasferimento della donna a Pordenone," prosegue Garofalo.

Il disegno di un bambino per augurare buon Natale ai soldati, nel 2012 (via pagina Facebook del ministero della Difesa)

In ogni caso, le difficoltà maggiori le riscontrano i militari sposati con un lavoratore nel settore privato. Infatti, mentre i dipendenti pubblici coniugi di un militare trasferito d'autorità hanno diritto al ricongiungimento familiare (in accordo all'articolo 17 della legge n. 266/1999), i lavoratori nel settore privato non possono usufruire di questo tipo di tutela.

Per cercare di risolvere tale situazione, il Club Uomini e Donne della Sicurezza (Club U.D.S.) ha lanciato su Change.org una petizione rivolta al ministero della Difesa affinché esamini il disegno di legge sul ricongiungimento familiare delle Forze Armate, redatto dal Club stesso.

"Al ministero della Difesa non importa nulla dei bambini, li considera solo degli incidenti," dice a VICE News l'avvocato Garofalo. "A differenza di quanto era previsto nel Testo Unico sulle procedure per l'impiego del personale militare, nella direttiva P-001 (che lo ha sostituito) tra le situazioni di particolari gravità per cui è possibile fare istanza di trasferimento non viene più menzionata la tutela dell'intesse dei minori."

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L'unica norma a cui tutti i militari si possono appellare per stare vicino ai propri figli continua a essere l'articolo 42 bis del D. Lgs. 151/2001, esteso ai soldati in seguito alla sentenza del Consiglio di Stato del 2013 sul caso di Giulia.

Ma, come spiega a VICE News Massimiliano Strampelli, avvocato militare, la Difesa ha ampia discrezionalità in materia, e "può negare tale beneficio adducendo ragioni di interesse delle Forze Armate."

Lo Stato nello Stato: la vicenda di Massimiliano Manca

"Il ministero della Difesa vuole totale libertà nelle proprie decisioni, anche se con l'ingresso delle donne nelle componenti militari, parte di questa libertà l'ha persa," sostiene Garofalo. "Al posto dei procedimenti amministrativi, fa ricorso a direttive interne, con lo scopo di eliminare il controllo da parte dei giudici."

I militari, per esempio, non possono presentare direttamente la domanda di trasferimento, ma devono rivolgersi - tramite un colloquio di persona - al proprio comandante di corpo, che poi decide a propria discrezione se sottoporre il caso allo Stato Maggiore della forza armata.

"In caso di mobbing, denunciare la situazione può addirittura avere come conseguenza un'emarginazione ulteriore, con l'apertura di un provvedimento disciplinare per avere disonorato la forza armata," dice Strampelli a VICE News. Per questo motivo, sono poche le donne che decidono di esporsi.

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"Nessuno ha i dati reali relativi al mobbing nelle Forze Armate, che già di per sé rappresentano un ambiente mobbizzante," ci spiega Antonio Vento, presidente dell'Osservatorio Nazionale Mobbing. Anche se, mette in guardia Fernando Cecchini, responsabile dello Sportello di ascolto sul disagio lavorativo della Cisl, "Bisogna fare attenzione a non confondere la gerarchia con il mobbing."

"Per le soldatesse, che mirano alla parità con il maschio, la maternità rischia in alcuni casi di innescare processi di svalutazione e della messa in crisi della propria identità nel corpo [militare]," aggiunge Vento.

D'altra parte - laddove le denunce ai propri superiori cadano nel vuoto - fare ricorso al tribunale amministrativo è, oltre che dispendioso, anche rischioso. "Andare a processo comporta spese sui 5.000 o 6.000 euro," afferma l'avvocato Garofalo. "Chi si appella al TAR, inoltre, non è visto di buon occhio."

Massimiliano Manca, 41 anni, sergente dell'Esercito nella caserma degli Alpini a Cuneo, lo ha provato sulla propria pelle. Nel 2014 denunciò il furto di 13 chilogrammi di tritolo e di 55 detonatori. La sua segnalazione venne ignorata, e così la vicenda andò a finire in tribunale.

Nel giro di breve tempo, Manca fu trasferito a Padova "per incompatibilità ambientale." "Mi volevano eliminare perché 'mi ero permesso di lavare i panni sporchi fuori dal reggimento'," spiega il sergente a VICE News.

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La decisione dei vertici militari "non tenne minimamente conto" del fatto che Manca e la moglie avessero allora in affidamento due bambini.

"Il generale che ha firmato il mio trasferimento è lo stesso che ha chiesto di incontrare il presidente del TAR della Puglia dopo la sentenza sul caso di Giulia è sempre lo stesso che ha emesso una circolare che dice che la famiglia va tutelata," racconta il sergente.

Manca sostiene che il Ministero si sia accanito contro di lui in quanto rappresentante sindacale: è infatti membro dell'UNAC (Unione Nazionale Arma Carabinieri), il sindacato dell'Esercito e dell'Arma dei Carabinieri, che si occupa di fornire supporto morale e legale ai propri associati.

"I trasferimenti sono ordini, spesso a discapito della famiglia e dei bambini," dice a VICE News il maresciallo Antonio Savino, presidente dell'UNAC. "Nei confronti delle soldatesse non c'è alcuna solidarietà."

Cosa prevede il Codice dell'ordinamento militare

L'Italia - ultimo fra i paesi membri della Nato - ammise per la prima volta le donne nelle Forze Armate nel 2000. Oggi le donne delle quattro componenti militari italiane sono oltre 11.000, circa il 4 per cento del totale.

Nel corso degli ultimi anni il ministero della Difesa ha comunque prodotto sforzi significativi per tutelare i propri dipendenti, per quanto riguarda la maternità e la paternità.

Il Codice dell'Ordinamento Militare ha esteso al personale militare la normativa vigente per quello della Pubblica Amministrazione. Il che significa permessi retribuiti per le visite mediche di controllo prima del parto e per l'allattamento, cinque mesi di licenza per maternità, e sei mesi di licenza parentale per ciascun genitore.

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Lo stesso codice - che sancisce, tra l'altro, il principio di non discriminazione - stabilisce che durante il periodo di gestazione e fino a sette mesi successivi al parto le soldatesse non possono svolgere incarichi pericolosi, faticosi e insalubri.

Inoltre, lo Stato Maggiore della Difesa ha emanato delle Linee guida in materia di tutela della maternità in continuo aggiornamento, valide per tutte le Forze Armate.

"I problemi sono esclusivamente di natura culturale," dice a VICE News l'avvocato Strampelli. "Ancora oggi resistono retaggi maschilisti. Il problema è quale tutela offre l'ordinamento al militare che voglia rivendicare i propri diritti senza andare innanzi al giudice."

Pari opportunità e asili nido in caserma

Nel 2012 è stato costituito il Consiglio interforze sulle prospettive di genere, che ha sostituito il Comitato consultivo del Capo di Stato Maggiore della Difesa. Due anni più tardi, nelle Forze Armate italiane è comparsa la figura del cosiddetto gender advisor.

"Lo scopo del gender advisor è implementare la sicurezza delle donne locali nelle missioni all'estero, ma anche fornire sostegno sulle tematiche di genere ai comandanti in patria," spiega a VICE News il maggiore Rosa Vinciguerra.

Capo della sezione 'Prospettiva di genere e pari opportunità' dello Stato Maggiore della Difesa e vicepresidente del Consiglio interforze sulle prospettive di genere, Vinciguerra si occupa di formare i gender advisor, figura voluta dal NATO Committee on Gender Perspectives, nel cui comitato esecutivo l'Italia ha da poco ottenuto un proprio rappresentante.

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"La policy delle Forze Armate italiane per quanto riguarda la tutela del minore è molto avanzata," prosegue Vinciguerra. "Per esempio, le coppie di militari con figli minori non possono andare in missione insieme. In generale, si cerca sempre di andare incontro alla famiglia, senza che l'organizzazione perda però la propria efficienza. Se non hai tranquillità a casa, non puoi affrontare i rischi che comporta un lavoro come il nostro."

Come spiega il maggiore Vinciguerra, l'Esercito è dotato di un Osservatorio per l'analisi organizzativa e la ricerca sociale, che verifica i problemi presenti in ogni caserma, e persino di un ufficio che organizza 'soggiorni militari' a prezzi ridotti per i propri dipendenti.

La novità forse più importante a sostegno della genitorialità riguarda però l'istituzione di asili nido all'interno delle strutture militari — in sostituzione alla quale il Codice dell'Ordinamento Militare prevede la possibilità di concedere un rimborso, anche parziale, delle spese sostenute dal personale per il pagamento delle rette degli asili nido.

Nell'ottobre 2015, nel corso di una visita all'asilo dell'aeroporto militare 'Mario de Bernardi', vicino a Roma, il ministro della Difesa Roberta Pinotti parlò dell'esistenza di uno specifico fondo di 12 milioni di euro per realizzare, nell'arco di un triennio, 17 asili nido all'interno di strutture militari, da sommarsi ai 15 già esistenti.

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Il primo asilo nido in una struttura militare italiana fu istituito già nel 2008 nell'aeroporto militare 'Francesco Baracca', nei pressi di Pordenone. Fu su impulso della stessa Pinotti, allora ministro della Difesa nel "governo ombra" del Partito Democratico, che vennero stanziati a questo scopo tre milioni di euro in Finanziaria.

"I soldati più di altri hanno bisogno di asili, perché in prevalenza sono meridionali e non hanno la fortuna di poter affidare i propri figli ai nonni, che restano al sud," disse Pinotti durante l'inaugurazione della struttura.

Ma nonostante gli aspetti positivi a cui si è fatto cenno, il presidente dell'UNAC si dice deluso. "Ci aspettavamo qualcosa di più con l'arrivo di una donna alla guida del Ministero," afferma il maresciallo Savino. "Le Forze Armate continuano a essere pervase dalla forma mentis maschilista dei dirigenti militari."


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