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Combattere i populisti a casa loro funziona davvero?

L'abbiamo chiesto a Christian Raimo, che è andato in televisione a "trollare" la trasmissione Dalla Vostra Parte.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Questo agosto è stato un mese contrassegnato da molti episodi di razzismo, omofobia e intolleranza generalizzata, e scosso da infinite polemiche sull'immigrazione, sugli sgomberi violenti, e su gravi fatti di cronaca.

Ed è proprio su tutti i crimini degli immigrati che—chi l'avrebbe mai detto!—è ripartita la nuova stagione di Dalla Vostra Parte, il programma di Maurizio Belpietro in onda su Rete 4. Non serve che riepiloghi la puntata di lunedì 28 agosto; si tratta dell'ennesima variazione sul canovaccio di sempre, che schematizzo così:

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Servizio angosciante sugli immigrati che delinquono > Dibattito in studio: di chi è la responsabilità? (Risposta: della Boldrini e dei radical-chic) > Servizio strappalacrime sugli italiani "dimenticati" > Dibattito in studio: è colpa dalla sinistra "buonista" > Altro servizio agghiacciante su qualche situazione di degrado causata dagli immigrati > Dibattito in studio: e ora sentiamo cos'ha dirci l'ospite che non la pensa come noi.

Di solito, questo ospite assolve alla funzione di sacco da boxe—cioè di dire "aspettate, forse non è proprio così," per poi prendersi una selva di legnate da tutti gli altri ospiti e dalla gente inferocita in collegamento. Ma a volte, pochissime per a dir la verità, questo oliato meccanismo si inceppa. Qualche mese fa l'aveva fatto Bello Figo, dabbando in faccia ad Alessandra Mussolini e incarnandosi nel peggiore incubo di tutti i razzisti che guardano la trasmissione: il nero che reclama soldi e wi-fi, e che nel farlo ti prende pure per il culo.

Due giorni fa è toccato invece a Christian Raimo—giornalista che scrive per Internazionale, nonché editor e autore di diversi libri. Nel corso della puntata Raimo si è scontrato ripetutamente con il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti, e ha mostrato diversi cartelli con frasi come "Fate una televisione razzista e islamofoba" , infastidendo non poco Belpietro.

Ieri sera lo scrittore ha fatto alcune riflessioni sul suo profilo Facebook, con un post che è diventato virale e che—per un breve lasso di tempo—è stato anche rimosso.

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Le reazioni sono state le più varie: da un lato un'ondata di solidarietà, e dall'altro un'infinita caterva di insulti. Stamattina, inoltre, Il Giornalegli ha dedicato un articolo in cui lo definisce "il nuovo provocatore che agita i talk show e vede fascisti ovunque," un "solone di estrema sinistra" e un "aspirante profeta dell'umanitarismo."

Al netto delle amorevoli attenzioni a cui è stato sottoposto Raimo in queste ore, quell'ospitatata televisiva mi ha lasciato con molte domande in sospeso: far saltare il banco in questo modo è il modo giusto di contrapporsi a quello che dicono e, soprattutto, rappresentano Belpietro e Sallusti? È un qualcosa che serve a far passare certi messaggi anche alla parte opposta? Si riesce a sensibilizzare una parte dell'opinione pubblica su determinati temi? Insomma: è una strategia che può funzionare, se non sul lungo termine almeno sul breve?

Per cercare di rispondere a queste domande, ho quindi chiamato Christian Raimo e le ho girate direttamente a lui.

VICE: Ciao Christian. Dimmi la verità: non è che volevi emulare Bello Figo?
Christian Raimo: Guarda, ci ho pure pensato. Lui è molto bravo e di fatto si è trovato anche in un contesto diverso—io non l'avevo pensata questa cosa, probabilmente mi è venuta spontanea, perché non sono uno che fa televisione.

Nel momento in cui ti trovi di fronte a un prodotto talmente disastroso e ridicolo, però, l'unica cosa che puoi fare è ridere. Dopo un po' non stai neanche a pensare qual è il tuo ruolo o cosa devi fare: ti viene solo da ridere. Quando mi sono alzato, a un certo punto, e ho detto a Sallusti, "Vado a cena," non è che l'avevo pensata. È come se mi fossi trovato al bar con uno che mi attaccava un pippone sul razzismo, sul Corano e altro; ecco, mi sarei comportato così.

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Il vero problema è la sudditanza nei confronti del mezzo televisivo, la sudditanza nei confronti di chi non ha autorevolezza e invece pensa di averla. Belpietro e Sallusti per me non sono da criticare dal punto di vista politico, ma dal punto di vista giornalistico. A un certo punto Belpietro farfugliava che non sapeva i dati sull'emergenza abitativa, non se li era preparati, come Sallusti farfugliava non aveva i dati sull'immigrazione.

Guardando la puntata, non ho potuto fare a meno di pensare che se vai in quel contesto, per forza di cose rientri in un frame che quella trasmissione ha già creato—e non da ieri, ma da anni.
Certo, però ci vado anche perché nessuno che va lì lo svela. Non ci vuole molto a dire che il re è nudo, a riconoscere la costruzione di un frame, a rompere e invertire quel frame. Sono stato invitato di nuovo da Telese a In onda [una trasmissione su La7] a parlare di questa cosa ma ho detto di no, perché altrimenti non è più un gesto che rivela il codice: sono io a diventare l'oggetto all'interno di un frame che è sempre lo stesso.

Continuando a "problematizzare," non ti sei chiesto se andando lì, una parte di pubblico avrebbe riconosciuto il "disvelamento" dell'atrocità di quella trasmissione, e l'altra parte avrebbe trovato una specie di conferma ai soliti triti cliché del "buonista" e del "radical-chic"?
Io non sono "buonista." A me Sallusti e Belpietro stanno profondamente sulle balle, ho un odio profondo nei confronti del fascismo e di chi in qualche modo è comodamente fascista. Mi viene in mente una battuta di Lercio sull'istituzione del "pugilato fascista" che si combatte in 15 contro 1: per me il fascismo è quello. È la codardia di creare una trasmissione tutta costruita sull'odio nei confronti dei neri, fondamentalmente, dal primo all'ultimo minuto, e poi dare la parola a una qualunque persona che sia meno feroce e abbia meno bile.

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È ovvio che quella persona lì farà la figura del cretino. Allora, siccome uno ce l'ha presente questa cosa, per me il frame va completamente ribaltato. Le contraddizioni del "buonismo" le aveva già svelate Giovanni Maria Bellu in un articolo del 2005. Cioè le abbiamo pensate, le abbiamo capite. Ripeto: non sono "buonista," ed è giusto essere molto stronzi nei confronti di certe persone—non essendo insultanti ma usando altre armi: l'ironia, il sarcasmo, il dileggio.

Quindi secondo te andare a presidiare i loro spazi—andare a casa loro, a casa di chi fomenta l'odio e la xenofobia—è una strategia che può funzionare?
Secondo me bisogna occupare sempre gli spazi della propaganda. È una cosa che, ad esempio, dice Judith Butler in Parole che provocano: bisogna andare nei posti dove il potere della repressione si autorappresenta fintamente come cornice. Bisogna andarci sempre, presidiare questi spazi e farlo con grande ironia, ma anche con grande durezza.

Però non è che andando lì, dico a trasmissioni come Dalla Vostra Parte, fai il loro gioco? Nel senso: c'è il rischio di alimentare una polarizzazione tra chi dice che sei un coglione, e chi dice che sei un "eroe". Rimanendo così impigliati nella dialettica contrapposta tra il Coglione e l'Eroe.
Esiste questo rischio. Ma dipende soprattutto da quello che fai nel resto della tua vita: se fai il lavoro di giornalista, vai a scuola, studi, quindi accompagni una forza comunicativa di un momento a un lavoro comunicativo di un altro tipo, più profondo e più lungo, questa cosa può avere senso. Altrimenti diventa un automatismo e viene metabolizzato. Come diceva Adorno, il giovane ribelle con il ciuffo storto è una cosa che serve alla macchina dell'industria culturale.

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Per me può essere interessante dal punto di vista della comunicazione provare a tradurre un pensiero complesso in una modalità più semplice; ma la televisione com'è fatta oggi, in certi contesti, non lo consente per niente. Bisogna prendersi altri spazi, cercare di fare un lavoro diverso. Ma quando si va in televisione—perché si va in televisione—bisogna dire delle cose molto semplici, e magari tentare di creare un'altra televisione.

Un meme su Raimo, via Facebook.

Un'altra tattica, comunque, potrebbe essere quella di dire: "Dalla Vostra Parte è una trasmissione ben connotata, e quindi è da evitare come la peste." Quasi far finta che non esista, insomma, perché comunque certi messaggi lì non passano per forza di cose.
Il senatore Luigi Manconi ad esempio fa così, e io con lui discuto di questo. Quando c'è una persona di destra in trasmissione, lui non ci va. Per me non è così: bisogna presidiare. Non è che queste cose sono estemporanee, c'è un pensiero dietro su cosa vuol dire poi fare pratica politica pubblica, sul capire come funziona la pratica politica pubblica.

A proposito di pratica politica pubblica, un intellettuale—o un giornalista, un comunicatore, o semplicemente una persona che si definisce di sinistra—cosa dovrebbe fare?
Secondo me gli assi entro cui muoversi sono quattro: culturale, politico, giornalistico e comunicativo. Serve un giornalismo migliore, anzitutto. Poi, il problema grosso dal punto vista politico è che di fatto a sinistra manca una rappresentanza, e di conseguenza una vasta area di fascismo o quasi-fascismo è iperrapresentata di fronte al deserto che c'è.

L'asse culturale è il piano complicato ma anche il più importante, perché è chiaro che questo fascismo viene da lontano, non è nato adesso: è nato da tempo, ed è stato sottovalutato negli anni del berlusconismo. La grande colpa della cultura politica a sinistra è stata quella di non aver saputo cogliere, all'interno di quel falso frame berlusconismo-antiberlusconismo, la rinascita di una forma di fascismo, che oggi raggiunge anche persone impensabili.

E per finire, per me a livello comunicativo c'è più bisogno di azioni del genere, più situazionismo, più allegria, più piazza. Il fascismo è ridicolo, è una parodia—lo è sempre stato. E rispetto alla parodia, uno ride e se ne fa beffe.

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