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'Twin Peaks' e la vita senza senso dell'impiegato modello

Il messaggio di David Lynch è che nella società massificata sopravvivi solo se fai parte di un flusso impersonale.

Dougie Jones è un uomo mediocre che vive a Las Vegas, fa un lavoro d'ufficio non particolarmente interessante, ha una famiglia ordinaria con una bella moglie e un figlioletto. Ha la passione per il gioco d'azzardo e per le belle donne—ogni tanto si concede infatti un giretto con Jade, una prostituta che per lui ha un occhio di riguardo. La vita di Dougie Jones — trasgressioni illusorie comprese — procede idilliaca come il Sogno Americano prevede.

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Dougie Jones, in realtà, è un personaggio introdotto nella terza stagione di Twin Peaks — il cui finale andrà in onda in Italia l'8 settembre su Sky Atlantic — e che, come David Lynch ci insegna, nella serie culto nessuno vive una vita davvero scevra di misteri. Dougie, infatti, è un tulpa: una copia creata ad arte per ingannare l'agente dell'FBI Dale Cooper che, uscito dalla Loggia Nera dopo 25 anni, si trova però catapultato a vivere proprio la vita di Dougie Jones, prendendone il posto.

Ma lo shock del ritorno al mondo reale rende Cooper-Dougie semi catatonico. Il suo cervello va totalmente in black-out. Parla solo per ripetere quello che gli dicono gli altri, deambula in modo non del tutto autonomo, spinto soprattutto da tre cose: il caffè, la torta di ciliegie e le apparizioni di Mike, l'uomo con un braccio solo che abita nella Loggia Nera.

La noiosa vita di Dougie Jones è una routine che molti conoscono: un lavoro d'ufficio, il figlio da accompagnare a scuola, la mogliettina a casa che prepara la cena, le frizioni sul mondo del lavoro, gli straordinari da portarsi via…

David Lynch sta semplicemente giocando con l'attesa del pubblico che vuole rivedere in azione l'agente Cooper o forse ci sta raccontando altro?

Quando Cooper diventa Dougie Jones comincia a subire passivamente la vita. Nonostante non sia in grado di lavorare, di avere rapporti umani di alcun tipo, perfino di andare in bagno senza che qualcuno lo accompagni, nessuno sembra accorgersi del cambiamento. Nessun collega, né il capo, nemmeno sua moglie o suo figlio: tutti si comportano come se Dougie fosse sempre stato così. Ogni giorno viene accompagnato al lavoro dalla moglie, deambula fino all'ufficio alla ricerca di caffè, se ne torna a casa dove si ingozza di torta guardando la TV e poi va a dormire. D'altronde, come potrebbero mai accorgersi che la sua vita è cambiata, dato che non è cambiata affatto?

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La trasformazione di Dougie finisce per avere — paradossalmente — un'influenza positiva sulla sua vita. La completa passività con cui affronta la routine giornaliera sembra giovare ai suoi rapporti umani. Quando il capo lo rimprovera di non aver lavorato abbastanza e lo riempie di lavoro da portarsi a casa, lui lo accetta senza dire una parola. Durante le riunioni ascolta, non alza mai un'obiezione. A casa pende dalle labbra di sua moglie e con lei ritrova anche un'intesa sessuale quando viene ridotto a mero giocattolo erotico. Le persone che parlano con lui lo prendono per un ottimo ascoltatore; Dougie non fa che ripetere le loro parole e questo li fa sentire sicuri, compresi. Nessuno si domanda cos'è successo a Dougie Jones; questa sua versione, in fondo, piace a tutti di più.

Venticinque anni di esilio dalla scena televisiva hanno permesso a David Lynch di raccontare un mondo profondamente diverso da quello degli anni Novanta

Facile capire perché: basta dare un'occhiata a uno dei tantissimi vademecum del perfetto impiegato d'ufficio. Uno di quegli elenchi puntati in cui una fonte "autorevole" cerca di spiegare al dipendente insicuro come farsi amare da capo e colleghi. Ne prendo uno del Telegraph ma potete trovare gli stessi concetti ripetuti in lungo e largo in ogni altro articolo di questo tipo. Nove punti da seguire pedissequamente per farvi amare in ufficio. Nove punti che Dougie Jones, in effetti, rappresenta perfettamente. Porta a casa dei risultati (guidato dallo spirito di Mike), è ottimista ed entusiasta (con un caffè in mano non nega mai un sorriso a nessuno) ed è di certo un ottimo ascoltatore. Arriva presto al mattino e resta fino a tardi la sera. Fino a quando la polizia non lo riporta a casa o sua moglie non va a prenderlo.

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Dougie Jones è, insomma, il perfetto lavoratore d'ufficio: non contesta le decisioni dall'alto, non fa il furbo — e non copre i colleghi che fanno i furbi —, non esprime mai un pensiero indipendente. In cambio chiede solo del buon caffè. Svuotato, catatonico, rimbecillito: gli resta solo quel briciolo di umanità sopita che lo rende cosciente del mondo che ha attorno. E questo è quanto, perché non ha bisogno di altro per piacere agli altri.

Dougie è quindi di certo un doppelgänger, un tulpa, un riflesso per tornare a un concetto caro a Twin Peaks dell'uomo qualunque che incarna lo zeitgeist del tempo come l'uomo qualunque di Musil. Una metamorfosi che, come quella di Kafka (autore che ha influenzato infinitamente la visione di David Lynch), si incastra perfettamente nel puzzle di una società massificata e capitalista, dove fare parte di un flusso impersonale è la chiave della sopravvivenza.

Il vero Dougie Jones, nella Loggia Nera. Screenshot via YouTube

Dougie vive la propria vita senza porsi domande e rappresenta un archetipo narrativo tramite cui Lynch giudica, in qualche modo, la nostra intera società. Dougie-Cooper svela l'aspetto più surreale e snervante di una vita spesa in modo meccanico e, nell'apparire così funzionale pur essendo palesemente rimbecillito, ci costringe a riflettere sul valore ultimo dell'essere un impiegato modello.

Venticinque anni di esilio dalla scena televisiva hanno permesso a David Lynch di raccontare un mondo profondamente diverso da quello degli anni Novanta, quando le prime stagioni di Twin Peaks raggiunsero gli schermi.

Il pubblico ora è ipnotizzato dalla pratica del binge watching — raccontata dalla splendida metafora della scatola di vetro dei primi episodi: un cubo trasparente, un divano e una vita consumata aspettando che appaia qualcosa di significativo — intrappolato in una vita routinaria fatta di passività e mancanza d'iniziativa. Una platea di maschere, tutte con la stessa faccia: quella di Dougie Jones.