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Com’è la nuova bakery del Noma appena aperta a Copenaghen

Ci sono tantissime persone in fila fuori dal negozio, ma incredibilmente non stanno aspettando di poter acquistare l’ultimo modello di Yeezy, osserva René Redzepi passando davanti ad Hart Bageri di Copenaghen. Non sono le sneakers di Kanye a richiamare qui i cittadini della capitale danese una domenica mattina, bensì il pane buonissimo fatto da Hart con il lievito madre.

Anche a Copenaghen è arrivata la mania del pane a lievitazione naturale e l’inaugurazione di Hart Bageri, tra i parchi di Frederiksberg, è solo uno dei tanti esempi di questa nuova tendenza dilagante in città. Richard Hart è lo chef e fornaio britannico che ha aperto l’omonima bakery in città, in collaborazione con Redzepi e il Noma. Dopo aver lavorato come responsabile da Tartine a San Francisco, il forno famosissimo per le sua deliziose pagnotte fatte con lievito madre, Hart ha deciso di aprire qui una bakery a tre piani.

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“Quando siamo arrivati a Copenaghen, non conoscevamo il mercato, e così abbiamo iniziato visitando le panetterie e le pasticcerie della città,” racconta Hart. “Volevo aprire un panificio per la città, ma prima dovevo capire cosa mangiavano e cosa cercavano i danesi.”

Lasciata la California, Hart avrebbe voluto aprire un locale a Londra, per reinventare i grandi classici della panetteria e pasticceria inglese, come iced finger e Chelsea bun. Quando però ha scoperto che il Noma voleva aprire una bakery, non ci ha pensato due volte, e si è trasferito a Copenaghen con la moglie e i quattro figli. Ha trascorso buona parte del primo anno a esplorare il mercato dei prodotti da forno danesi, i dolci più conosciuti, e la passione sfrenata per la segale.

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Il pane di lievito madre di Richard Hart. Foto per gentile concessione di Jason Loucas.

“In America tutti sono ossessionati dalla lievitazione naturale, ma René [Redzepi] mi aveva detto che per conquistare il cuore dei danesi, avrei dovuto puntare sul pane di segale. Se fai scegliere a un danese tra una fetta di pane bianco con lievito madre e il pane di segale, 80 percento di loro sceglierà il pane di segale. Quindi dobbiamo lavorare su questo nuovo prodotto.”

Ho visitato la Hart Bageri quattro giorni prima dell’apertura e prima delle code in strada. Non c’è una singola fetta di pane di segale in tutto il negozio. Non c’è nemmeno l’ombra di un croissant. Solo mixer ancora confezionati e un gruppo di operai che si danno da fare per terminare i lavori in tempo per l’inaugurazione.

Al tasting, partecipa anche Aris Albinana, fornaio americano che ha lavorato con Hart per circa dieci anni e che l’ha seguito anche qui, a Copenaghen. Tutti i presenti sono incuriositi da una fetta di pane ricoperta di marzapane, kaffestang (“faremo una cosa simile,” dice Hart, “ovviamente meglio di così”) e guardano con stupore e curiosità una torta a forma di rana, con un rivestimento verde acceso.

Non poteva mancare il Tebirkes—una sorta di croissant danese a base di burro, zucchero e decorato con semi di papavero—qui riadattato per la selezione di Hart Bageri.

“I migliori tebirkes hanno un delizioso ripieno croccante al caramello che viene fuori, ed è la cosa che adoro di più,” spiega Hart.

Nell’offerta di Hart Bageri, ci sono anche croissant alle mandorle, e un cinnamon roll con sopra una fetta di prosciutto. La “salad bowl” è una sorta di vol-au-vent con crema di funghi e guarnizione di foglie di insalata. Il nome è ingannevole, come confessa Hart: “Non è per niente salutare, ma sembra sano e leggero per via delle foglie di insalata.”

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“Salad bowl” servito da Hart Bageri. Foto per gentile concessione di Jason Loucas.

Prima di diventare panificatore, Hart lavorava come chef in ristoranti di lusso. Un giorno, mentre passeggiava nella cittadina di Petaluma, in California, dove è nata sua moglie, vide qualcosa che cambiò del tutto la sua carriera.

“C’era questo fornaio enorme che sembrava una specie di fattoria,” ricorda Hart. “Non assomigliava per niente a un panificio, ma quando entravi, c’erano due enormi forni a legna in funzione e io rimasi folgorato. È così che si faceva il pane 1000 anni fa? Il posto mi ha conquistato immediatamente, i fornai erano pieni di tatuaggi e ascoltavano musica rock. Io, invece, venivo dall’ambiente raffinato della ristorazione gourmet, non potevo credere ai miei occhi: Ma chi sono questi pirati che fanno un pane che è la fine del mondo?

Uno di questi era Albinana, che dall’accoglienza in sala era passato in cucina e qui aveva scoperto la sua passione per la panificazione. Da Petaluma, si trasferirono entrambi a San Francisco, da Tartine. Hart aveva letteralmente pregato il proprietario per lavorare lì. Avrebbe lavorato anche gratis. “Non avevano bisogno di un’altra persona. Ma io ho tormentato il proprietario fino allo sfinimento, o mi uccideva o mi assumeva. Alla fine mi ha assunto, e non mi ha ucciso.”

Perché quel posto era così importante per te e per la tua carriera?

“Da Tartine, tutto si faceva con passione e seguendo l’istinto, l’intuizione. In altre bakery, si seguono gli schemi e ci sono tempistiche molto severe per lavorare l’impasto e per lasciarlo riposare, ma da Tartine era il pane a dettare le regole.”

Quando Hart e Albinana parlano di lievitazione naturale e lievito madre, tra loro scatta qualcosa. È diverso rispetto a quando discutono di dolci o segale. La conversazione si anima, i loro occhi diventano più grandi e Hart inizia a battere freneticamente con la gamba destra a terra.

“Le persone che ci guardano lavorare l’impasto rimangono sorprese, io non calcolo mai la temperatura, né so esattamente quanta acqua c’è nell’impasto,” dice. “Unisco gli ingredienti seguendo l’istinto. È come quando uno chef professionista prepara un sugo, non pesa meticolosamente gli ingredienti come farebbe un cuoco amatoriale. Un vero chef crea, e con l’impasto è la stessa cosa. Non è solo un mix di ingredienti, è molto di più.”

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Richard Hart, fondatore di Hart Bageri, insieme al suo collaboratore Aris Albinana a Copenaghen. Foto per gentile concessione di Hedda Rysstad.

La vera sfida, poi, è riuscire a trasmettere questa conoscenza innata allo staff. Non è una cosa che si impara in sei mesi, dice Hart. Servono molti anni, e molta pazienza.

La ripetizione è il modo migliore per imparare, perché tutto cambia ogni giorno quando prepari qualcosa al forno. Le condizioni atmosferiche cambiano, la farina viene da campi diversi, l’aria è più o meno umida. È così che si impara ad ascoltare i propri sensi. Se ho caldo, anche il lievito sentirà caldo…”

Hart si ferma un attimo a contemplare quest’ultima frase, che effettivamente potrebbe sembrare molto bizzarra. Poi si mette a ridere e indica la torta a forma di rana: “Che cosa diavolo c’è lì dentro? Acidi?”

Albinana spiega che la panificazione e il lievito madre sono compiti estremamente umili; i grandi chef si emozionano quando utilizzano le loro capacità tecniche e sfoderano piatti imprevedibili, ma la gioia negli occhi di un panificatore che osserva l’unione tra acqua, farina e sale è davvero impagabile.

“Cerchiamo di fare pane perfetto ogni giorno della nostra vita,” dice Hart. “Ci riusciamo forse solo quattro o cinque volte all’anno, ma quando succede, ti senti davvero un mito.”

Come fai a stabilire quando è il pane perfetto?
“Te ne faccio assaggiare una fetta, così capirai. Non riesco a spiegarlo a parole.”

Ecco, nemmeno io so spiegarvelo a parole. Concedetevi qualche minuto di fila a Frederiksberg, perché quell’attesa potrebbe portarvi inaspettatamente in un angolo di paradiso.

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Questo post è apparso originariamente su Munchies Danimarca