Il 25 luglio del 2022 un uomo di 36 anni, affetto da sordità, è precipitato per nove metri dalla finestra della sua stanza nel quartiere Primavalle a Roma, durante un intervento della polizia eseguito da quattro agenti in borghese.
Da quel giorno Hasib Omerovic, questo il suo nome completo, è ricoverato al Policlinico Gemelli: non è più in pericolo di vita, ma il quadro clinico rimane molto complesso—sia per le ferite riportate, sia per i tre grossi interventi chirurgici a cui è stato sottoposto.
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La sua famiglia, invece, chiede pubblicamente che venga accertata la verità e sia fatta giustizia. La procura di Roma ha messo sotto indagine i quattro agenti per tentato omicidio e falso ideologico.
Il caso è stato reso noto durante una conferenza stampa alla Camera convocata il 12 settembre del 2022 dal deputato di +Europa Riccardo Magi, a cui hanno partecipato Fatima Sejdovic (la madre dell’uomo), l’avvocata Susanna Zorzi e l’avvocato Arturo Salerni, e Carlo Stasolla, portavoce dell’Associazione 21 Luglio che si occupa dei diritti delle persone rom e sta supportando la famiglia.
Quest’ultimo ha parlato di una “vicenda dai lati oscuri e inquietanti.” In base a quanto emerso finora, gli agenti che hanno effettuato il controllo erano privi di un mandato di perquisizione. La famiglia inoltre non è stata subito informata della situazione, né del motivo del controllo.
Anche la dinamica dell’accaduto è incerta: le forze dell’ordine sostengono che Hasib si sia buttato giù da solo; la sorella Sonita, unica testimone oculare oltre agli agenti, sostiene invece che il fratello sia stato picchiato in maniera brutale.
Per cercare di ricostruire cos’è accaduto ho seguito la conferenza stampa, consultato l’esposto fatto dalla famiglia Omerovic il 5 agosto del 2022 e sentito al telefono Carlo Stasolla.
“Siamo venuti a conoscenza del caso i primi di agosto,” mi dice, “quando la famiglia ci ha chiesto un appuntamento. Li ho accolti personalmente: mi hanno narrato la vicenda, ed ero sinceramente incredulo vista la gravità di quanto accaduto.” Il portavoce aggiunge di aver fatto “diversi accertamenti” trovando “pieno riscontro a quello che mi avevano detto.”
Partiamo dunque dal contesto. I coniugi Mehmedalija Omerovic e Fatima Sejdovic, di origine rom, sono arrivati in Italia nel 1992 fuggendo dalla Bosnia sconvolta dalla guerra civile jugoslava. Come mi spiega Stasolla, hanno passato diverso tempo in vari campi allestiti nella Capitale: prima a Tor di Valle, poi a Tor de Cenci e infine a La Barbuta.
La loro domanda per un alloggio popolare è stata accolta circa quattro anni fa, e da allora vivono in via Gerolamo Aleandro. Il nucleo familiare è composto da sei persone: il padre, la madre, Hasib, la sorella Sonita (affetta da disturbi cognitivi) di 31 anni, un fratello di 14 e una sorella di 16.
La mattina del 25 luglio Mehmedalija, Fatima e la figlia sedicenne sono fuori casa per sbrigare alcune commissioni dal meccanico. Nell’appartamento rimangono Sonita e Hasib. Verso l’una e un quarto, la ragazza di 16 anni riceve una chiamata allarmante da una vicina: il fratello ha avuto un “incidente” e loro devono tornare immediatamente.
A quel punto la telefonata, racconta la legale Susanna Zorzi durante la conferenza stampa, prosegue con un poliziotto (di cui non si conosce il nome) che cerca di rassicurare i familiari: “Non vi preoccupate, Hasib si è soltanto rotto un braccio e sta già all’ospedale. Però tornate a casa.”
I tre accorrono sul posto, dove ci sono alcuni agenti di polizia che ripetono la stessa storia: Hasib è ricoverato al Gemelli ma sta bene. Alla richiesta di chiarimenti, continua Zorzi, i poliziotti accennano al fatto che l’uomo si sarebbe buttato dalla finestra della sua camera, che pur essendo un primo piano è a quasi nove metri da terra.
Hanno chiesto i documenti di mio fratello, hanno fatto le foto, lo hanno picchiato con un bastone.
Sonita è però sotto choc. Stando all’esposto, la figlia riferisce ai genitori che quella mattina—intorno alle 12.30—sono entrati quattro agenti in borghese (“una donna con degli uomini vestiti normalmente”) per identificare il fratello.
All’improvviso la situazione è degenerata. “Hanno chiesto i documenti di mio fratello, hanno fatto le foto, lo hanno picchiato con un bastone,” prosegue Sonita, “Hasib è caduto e hanno iniziato a dargli calci. È scappato in camera e si è chiuso dentro: loro hanno rotto la porta, gli hanno dato calci e pugni, poi lo hanno preso per i piedi e lo hanno buttato giù.”
Secondo la testimonianza di una vicina, raccolta da Repubblica dietro garanzia dell’anonimato, in tutto sarebbero intervenuti otto agenti: quattro nell’appartamento, e altri quattro nel cortile sopraggiunti poco dopo. “Stavo innaffiando le piante sul balcone,” ha raccontato, “a un certo punto ho visto Hasib cadere dalla finestra. A terra si lamentava, i poliziotti erano già lì e lo hanno soccorso. Ho ancora i brividi.”
A ogni modo, la famiglia si reca al policlinico Gemelli e scopre che Hasib non ha un solo braccio rotto: è ricoverato in rianimazione (in coma) con segni di colluttazione, fratture multiple e un’emorragia interna. Finita la visita in ospedale, i familiari vanno al commissariato Primavalle per chiedere delucidazioni.
In base a quanto scritto nell’esposto, un agente (che avrebbe partecipato all’intervento) confida loro in via informale di essere intervenuti dopo imprecisate “segnalazioni” per comportamenti molesti. Lo stesso racconta che ad aprire la porta sarebbe stato Hasib, che essendo sordo non poteva però sentire il campanello (la porta è stata infatti aperta da Sonita); l’agente aggiunge che durante l’identificazione l’uomo era “molto tranquillo,” poi all’improvviso si è “buttato nel vuoto.”
La versione non convince la famiglia: oltre a essere opposta a quella di Sonita, è in netto contrasto anche con la scena trovata nell’abitazione, che fa pensare a una colluttazione particolarmente violenta.
L’esposto sottolinea il rinvenimento di un manico di scopa spezzato in due (che sarebbe stato usato per picchiare l’uomo), numerose macchie di sangue su vestiti e lenzuola dentro la camera di Hasib, la porta della stessa camera sfondata, nonché un termosifone parzialmente divelto sotto la finestra. Secondo la testimonianza di Sonita, a staccarlo dal muro sarebbe stato il fratello: “era avvinghiato lì, i poliziotti lo tiravano.”
I pubblici ministeri Stefano Luciani e Michele Prestipino hanno fatto sequestrare il manico di scopa e le lenzuola sporche di sangue.
Nella relazione di servizio degli agenti, però, non c’è traccia di tutto ciò. “Al momento dell’accesso dell’abitazione,” si legge, Hasib si è “lanciato dalla finestra cadendo nel cortile interno del palazzo,” dove poi “è stato soccorso dal 118.” Al commissariato, continua la nota, “sono arrivate segnalazioni che lo riguardano, in quanto disturba le donne.”
“Di fatto non si sa cosa ha portato a questa visita,” mi dice Stasolla, anche se “la causa scatenante potrebbe essere stato un post [di qualche giorno antecedente il 25 luglio] su un gruppo Facebook da parte di un abitante di Primavalle.”
Il testo, che il deputato Magi ha letto durante la conferenza stampa, recita così: “Fate attenzione a questa specie di essere che importuna tutte le ragazze, bisogna prendere provvedimenti.” Il post è anche corredato da una foto in cui si vede Hasib vicino a un cassonetto.
Come madre non cesserò di fare di tutto per conoscere la verità su quanto accaduto a mio figlio.
Di sicuro, rimarca Stasolla, c’è che la magistratura non ha firmato alcun decreto di perquisizione e che Hasib non era indagato per alcun reato. Nell’esposto, Mehmedalija Omerovic riporta che gli agenti “mi hanno detto che non avevano un mandato perché non serviva.”
È comunque molto strano che l’identificazione sia partita da un post su Facebook che raccoglieva imprecisate voci di quartiere—e quindi su fatti non riscontrati in alcuna sede ufficiale—e che non ci sia stata almeno una convocazione di Hasib o di un familiare in commissariato.
A ogni modo, la procura sentirà i quattro agenti indagati nei prossimi giorni e potrebbe iscrivere nel registro degli indagati altri quattro poliziotti (di grado superiore rispetto a quelli che hanno effettuato la visita) per falso ideologico: avrebbero mentito nella relazione di servizio, sostenendo che si trattasse di un tentato suicidio.
Il Dipartimento di pubblica sicurezza ha diramato una nota in cui si comunica che “il capo della polizia Lamberto Giannini segue in prima persona gli accertamenti” garantendo “la massima trasparenza” e una “costante collaborazione.”
Dal canto suo, Fatima Sejdovic ha detto durante la conferenza stampa alla Camera che “la vita della mia famiglia è devastata: ci siamo dovuti allontanare dalla nostra casa perché abbiamo paura.” Ha poi aggiunto, “non cesserò di fare di tutto per conoscere la verità su quanto accaduto a mio figlio e agire di conseguenza.”
L’Associazione 21 Luglio ha lanciato una petizione per chiedere la verità sul caso. Si può firmare a questo indirizzo.