Música

Hayley Kiyoko è la nuova icona lesbica del pop

Sono una fan di Hayley Kiyoko da quando, qualche mese fa, ho ascoltato il suo singolo “Feelings”, nel quale canta “I’m sorry that I care, care – I can’t help but care”. Ero su un treno e sentendola nelle cuffie ho immediatamente pensato che stesse dando voce al mio subconscio. Che non solo, come a me, le piacessero le ragazze, ma che fosse anche un’irrimediabile sottona, come me. Ho sentito immediatamente una totale vicinanza emotiva tra me e lei.

Ho subito ascoltato tutto il suo album, Expectations, e mi sono resa conto che chi me ne ha parlato aveva ragione. Hayley Kiyoko è brava, e con quattro milioni di ascoltatori mensili su Spotify è una delle più brillanti stelle in ascesa nel panorama del queer pop contemporaneo. Peraltro, è stata lei stessa a stabilire in che anno siamo – non è il 2018, ma il 20gayteen – e darle tutti i miei streaming mi è parso più che doveroso.

Californiana ventisettenne, con una carriera iniziata in Disney e poi proseguita in tour con Justin Bieber, Hayley ha cominciato ad attirare attenzioni nel 2015 con un EP, This Side of Paradise, e una canzone, “Girls Like Girls”. È il pezzo che le guadagna una fanbase accanita – titolo semplice, base catchy e un ritornello glossy che fa venire voglia di essere urlato: gli ingredienti per un inno. Per darvi un’idea, le fan l’hanno soprannominata Lesbian Jesus. “Girls like girls like boys do: nothing new”. Nulla di nuovo, appunto, ma forse nessuna prima di lei l’aveva cantato con la stessa naturalezza e con la stessa onestà.

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Ascoltando “Girls Like Girls” non sono riuscita a trattenermi dal fare un confronto con un pezzo iconico dei primi Duemila: “All The Things She Said” delle t.A.T.u. Il pezzo del duo russo è uscì nel 2002, e descrive la confusione e il turbamento di una ragazza che capisce di essere attratta da un’altra ragazza. Scalò le classifiche e divenne in pochissimo tempo un inno queer: all’epoca canzoni del genere nel panorama musicale non esistevano, e ogni briciola di rappresentazione era pur sempre meglio che niente.

Di fatto però “All The Things She Said” venne scritta da uomini eterosessuali per farla cantare da ragazze eterosessuali, che fossero disposte a limonare in un video pensato per farlo venire duro ad altri maschi eterosessuali. È un esempio lampante di prodotto che feticizza l’omosessualità femminile, confezionato per soddisfare fantasie maschili, così come anche la maggior parte dei porno lesbici o “La vita di Adèle” di Kechiche, che presenta una scena di sesso poco credibile, voyeuristica e superflua a qualsiasi fine di trama.

Super atteso, il 30 marzo 2018 esce il primo album: Expectations. Tredici tracce per 48 minuti totali di un pop leggero e fresco, una narrazione dei tòpoi d’amore più classici – un cuore che si spezza in più punti, frustrazione, rabbia, desiderio, insicurezza (“I’m just curious, is it serious?ripete ossessivamente nel terzo singolo dell’album, “Curious”). Ma perché è importante dare spazio a Hayley Kiyoko, e perché è doveroso parlare di lei e della sua rilevanza come icona lesbica?

È semplicissimo: perché se da un lato i temi sono universali, la prospettiva che Hayley ha la forza di adottare è invece nuovissima e poco rappresentata nel panorama musicale. Quelle descritte nei suoi testi sono relazioni sentimentali tridimensionali, molto distanti dagli hookup alcolici fra amiche cantati negli ultimi anni come, ad esempio, da Rita Ora in “Girls” con Charlie XCX, Bebe Rexha e Cardi B. Nel ritornello infatti il pezzo recita: “Sometimes I just wanna kiss girls, girls, girls / red wine, I just wanna kiss girls, girls, girls”. Sì: anche “Girls” è stata co-scritta e prodotta da uomini.

Nei giorni dell’uscita del singolo, peraltro, Kiyoko ne ha criticato il testo: “Una canzone come questa – ha scritto in un post su Instagram – non fa che alimentare il male gaze, mentre marginalizza l’idea di donne che amano altre donne. […] Io non ho bisogno di bere del vino per baciare le ragazze; mi piacciono le donne da tutta la vita. Questo genere di messaggio è pericoloso perché sminuisce e invalida del tutto i sentimenti reali e genuini di un’intera comunità. Sento di avere la responsabilità di proteggerla ogni volta che mi è possibile. Possiamo e dobbiamo fare meglio”.

Fotografia di Amanda Charchian

Un’artista come Hayley Kiyoko è, nelle sue stesse parole, consapevole di avere a propria disposizione un’enorme piattaforma, che può consentirle di far progredire la nostra cultura in relazione alla visione delle persone e delle storie LGBTQI+. Scegliere di fare coming out, di fare rumore e di cantare di ragazze sexy, ancora oggi è una scelta non solo responsabile, ma anche e soprattutto coraggiosa; la stessa Sara Quin, del duo indie rock Tegan and Sara, ha dichiarato che essere una donna queer ha portato la sua musica ad essere presa poco sul serio, considerata mediocre e destinata a un pubblico di nicchia perché realizzata da donne dichiaratamente lesbiche.

“She’s just another lesbian songwriter”: poco interessante, parte di una sorta di “quota” arcobaleno del panorama musicale che desta poco interesse, è a suo dire il giudizio tranchant della critica e di gran parte del pubblico al lavoro delle artiste queer. La prospettiva di Kiyoko è quella di una donna di colore fieramente omosessuale, raccontata peraltro attraverso un genere iper mainstream come il pop, e che ambisce ora a conquistare il grande pubblico, uscendo dalla nicchia in cui è rimasta costretta. È la prospettiva di una minoranza discriminata, a cui ora più che mai è importante dare voce.

Ne abbiamo a maggior ragione bisogno in Italia, dove una scena queer praticamente non esiste al di fuori dei circuiti underground. La musica pop è pervasiva: chiaramente, giudicando dal numero di volte in cui mi sono ritrovata a canticchiare cose sulla tachipirina in situazioni inappropriate, a tratti questo può essere un problema; ma proprio in virtù della sua capacità di permeare ogni strato della società e ogni fascia generazionale, la musica pop è un veicolo potentissimo, che potremmo sfruttare per veicolare messaggi che rendano la nostra società più aperta e inclusiva.

Fotografia di Amanda Charchian

Hayley Kiyoko parla apertamente e con orgoglio di amore e di attrazione tra donne, evitando l’ambiguità di chi strizza l’occhio alla comunità LGBTQI+ per attirarla con del queer bating, come fa Harry Styles in “Medicine” giocando sulla difficoltà di comprensione del testo, che non è mai stato pubblicato ufficialmente. The boys and the girls are in, I mess around with him – o with them? Perché lo stai dicendo ma non ce lo dici? “And I’m okay with it” non è il coming out che finalmente sarebbe bello vedere da parte di un artista che esibisce a ogni concerto la pride flag come oggetto di scena. Forse non è corretto giocare ad essere contemporaneamente alleati e membri della comunità LGBTQI+.

Il messaggio che prende vita con forza dai testi di Expectations è importante, perché è profondamente normalizzante: alle ragazze piacciono le ragazze e non c’è nulla di nuovo o strano. Serve una rappresentazione sempre maggiore anche all’esterno della comunità LGBTQI+, perché consente di dare un’immagine reale e non deformata di relazioni spesso ancora ritenute sbagliate e sporche, o considerate espressione di una fase di confusione temporanea. Ancor di più la rappresentazione serve a chi è parte della comunità per dare la possibilità di vedere sé stessi nelle storie degli altri.

La narrazione testuale è poi spesso completata da videoclip che Kiyoko stessa dirige – si vedono ragazze che flirtano, si provocano, litigano e limonano durissimo sul ciglio di una strada: parti di un quadro che nell’insieme costituiscono quello che il fan account @lesbihayley ha chiamato “Lesbian cinematic universe”. Si tratta di veri e propri cortometraggi musicali, attraverso i quali Kiyoko crea un safe space di fondamentale importanza. Le storie lesbiche girate da Hayley si risolvono sempre in maniera positiva o quantomeno empowering: nel video di “Girls Like Girls”, ad esempio, assistiamo al nascere della relazione fra le protagoniste, prima migliori amiche e poi amanti.

Un bacio scambiato di nascosto attira le ire del fidanzato di una delle due che dopo averle viste aggredisce con violenza “l’altra”. Finisce, però, per essere preso a pugni dalla sua stessa, ormai ex, ragazza. Vediamo quest’ultima trovare nella nuova relazione e nel desiderio di proteggere la persona di cui è innamorata la forza, anche fisica, di affrontare il coming out e di uscire allo scoperto, in una scena potente, visivamente luminosissima e iper saturata.

“Avremmo dovuto avere questa roba quando eravamo giovani. Così lo avremmo saputo, capito?”, è la reazione immediata di una donna lesbica di settant’anni ai video di Kiyoko. “Ho sempre ammirato i gay che lavorano nei media”, aggiunge un’altra, “perché è proprio per quello che oggi abbiamo dei diritti”. In Italia, però, di lei si parlano ancora poco e il fenomeno Kiyoko tende purtroppo a passare in sordina. Ho contattato in DM su Twitter le amministratrici del profilo @HayleyKItalia; a loro giudizio, grazie all’uscita dell’album, anche la fanbase italiana è aumentata, nonostante ancora l’artista non abbia raggiunto la popolarità di cui gode negli USA o in UK. “Merita più successo – aggiungono – perché è un’artista completa, che non solo scrive e arrangia tutti i brani, ma dirige persino i suoi video musicali. Questa è la sua forza, insieme alla capacità di essere completamente onesta: dà al pubblico la possibilità di identificarsi e di non sentirsi solo”.

Martina è su Instagram e Twitter.

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