Testo e foto di Niccolò Berretta.
Sono le 21.15 e sono appena arrivato a Termini. Parcheggio la macchina in una zona con una forte puzza di piscio, di quelle che in questi anni di frequentazione della zona ho imparato a conoscere—non solo in quanto romano, ma perché ci ho passato lunghi periodi, sia come volontario della Caritas di via Marsala che per il mio progetto fotografico Stazione Termini.
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Proprio su via Marsala la gente si sta attrezzando per la notte e sistema i sacchi a pelo. Sono tutti africani, e preparano i cartoni. Alcuni li dispongono a forma di letto. I sacchi a pelo sono tutti colorati.
La stazione è ancora viva, ma non troppo. Di qui passano ogni giorno migliaia di persone—più di 150 milioni l’anno, al primo posto degli scali in Italia—e ciclicamente, sulla stampa locale e nazionale escono articoli che parlano del degrado dell’area, dovuto principalmente a un misto di abbandono, mancanza di controlli, microcriminalità e marginalità sociale.
Qualche giorno fa è toccato al Messaggero, con un articolo dedicato al cosiddetto “tunnel degli invisibili.” È il sottopasso che collega via Marsala a via Giolitti, descritto come un inferno in cui è praticamente un miracolo sopravvivere alla notte, dove “anche i volontari hanno paura ad entrare” e in ogni angolo ci sono tossici, prostitute e donne che allattano tra i rifiuti.
Dati i miei trascorsi con la stazione e l’interesse che mi ha sempre suscitato, ho deciso di passare una notte a Termini con una vecchia macchina fotografica analogica e una usa e getta per vedere che aria tira e quanta distanza ci sia tra il racconto della stampa e la realtà.
Via Marsala.
Quando arrivo all’ingresso di via Marsala c’è un pullman di turisti probabilmente diretto all’aeroporto di Fiumicino. Un turista cerca di prelevare al bancomat delle Poste. Dall’altra parte della strada la gente cammina, e un barbone con le scarpe semi eleganti lecca la marmellata da una scatoletta mentre sta sdraiato su un cartone. Un altro branco di turisti si dirige verso il pullman successivo.
Dentro la stazione c’è poca gente che aspetta l’arrivo degli ultimi treni. L’ingresso di via Giolitti è più buio e con poche macchine in attesa, mentre davanti al McDonald’s la situazione ha un che di losco. Mi fumo una sigaretta. Ci sono il locale “Twins”, il locale pizza al taglio “Garden”, la tavola calda “Sfizio di Pizza”, “Frutteria il Capriccio Golden Rings”. Più avanti la strada è mezza vuota. Sono le 22.14.
22.18 Mi sposto nel tunnel-“inferno in terra” oggetto dell’articolo del Messaggero. Non c’è nessuno che dorme: hanno cacciato tutti, e gli spazi tra un pilastro e l’altro sono vuoti. In apparenza, dello smercio di eroina, sesso e posti per dormire descritto nell’articolo non c’è traccia.
Il tunnel.
Prima del deposito dei camioncini della spazzatura su via Marsala c’è un posto di blocco dei carabinieri che hanno appena fermato un passante in motorino. La situazione è abbastanza tranquilla.
Al binario 11 c’è un treno in partenza. A quest’ora i più molesti sono i tassinari sdentati vestiti anni Novanta, che quando non chiacchierano tra loro cercano di accalappiarsi gli ultimi turisti rimasti.
Mi siedo a prendere una Peroni e un kebab. Dall’altra parte un ragazzo piscia in un angolo e la ragazza lo abbraccia da dietro. Tempo dieci secondi e uno si va ad appoggiare in quello stesso angolo.
Accanto a me un ragazzo tunisino beve una birra e parla al telefono. Poi si avvicina accompagnato da un suo amico, Ibrahim il tunisino. Lascio appoggiata dietro di me la macchina fotografica analogica e propongo a Ibrahim di scattare una foto con l’usa e getta in cambio di una sigaretta. Dopo vari tentennamenti accetta, così mi alzo e gli faccio un ritratto.
Mi giro e la Nikon F2 non c’è più. Ibrahim e l’amico non hanno visto nulla, negano tutto. Nel frattempo noto un uomo che si allontana in fretta. Lo inseguo urlandogli contro senza successo, finché non lo raggiungo e lui si ferma, si gira e tira fuori la macchina fotografica dicendomi che era una candid camera.
Torno da Ibrahim e mi incazzo. Il risultato è che l’altro mi dice di calmarmi e mi comincia a proporre cocaina e hashish.
“Perché quello mi ha provato a fregare la macchina fotografica? Non vale un cazzo. Sì e no 20 euro,” dico a Ibrahim.
“Non lo so. È vecchia. Vale minimo 50 euro. Mamma mia, che ha fatto quello. Sei giornalista?”
“No, sono un fotografo.”
“L’Italia è finita, amico.”
23.00 Cammino per piazza dei Cinquecento e incontro una vecchia conoscenza. In cambio di una sigaretta gli faccio una foto.
Poco dopo arriva un signore, e dai vestiti si capisce subito che vive per la strada. Gli offro una sigaretta, gli scatto una foto e cominciamo a parlare. È con questo sistema che ho realizzato molte delle foto qui in stazione e conosciuto una parte di chi la abita.
“A Bologna dove vivevo ho perso la casa e il lavoro,” mi spiega. “Ho detto, ‘vediamo com’è la situazione a Roma’. Mi sono trasferito qua, ma è uguale a là.”
Mi dice che ha 45 anni e che faceva l’elettricista a livello industriale. A Roma non ha trovato nulla, ma alla fine ci è rimasto e questo è il terzo anno che vive così. Di giorno sta alle macchinette, a chiedere gli spiccioli. “Mi compro un panino, le sigarette o il tabacco. Non vado alla mensa, nemmeno ai dormitori. A me non piace, sono abituato a stare per i fatti miei,” mi dice quando accenno al periodo in cui facevo volontariato alla Caritas. Gli spiego che sto passando la notte a Termini per capire la situazione e accenno all’articolo del Messaggero. Secondo lui le cose sono state ingrandite: “i soggetti irrecuperabili saranno dieci, quindici. Quelli che si ubriacano dalla mattina alla sera. Sono in giro, sono mine vaganti.”
Poi mi spiega la divisione degli spazi: su piazza dei Cinquecento la notte ci sono italiani e rumeni, mentre in via Marsala sono praticamente tutti africani; via Giolitti è mista. Quanto alle risse, mi dice che ce ne sono poche, mentre lo spaccio è molto presente. “Ero al barettino, ho assistito alla scena, si passavano i pacchettini. Il giorno dopo—l’avranno visto con le telecamere—era pieno di polizia in borghese.” I ladri invece vanno dietro ai turisti, “soprattutto giapponesi, cinesi, americani. Quelli che non capiscono l’italiano, e che se gli porti via qualcosa non si sanno spiegare.”
Prima di salutarlo—”Ho trovato il sistema di dormire sugli autobus, e stasera l’autista bravo dell’N8 fa il primo turno,” dice—gli offro un’altra sigaretta. Rifiuta. Nel frattempo passano tre turisti giapponesi pieni di bagagli, e gli chiedo se sono un buon obiettivo per i ladri. “Questi sì! Tu la macchina fotografica l’hai ripresa perché era un orario in cui era meglio lasciartela.”
23.50 Su via Marsala non succede niente. Bevo una birra all’unico baretto aperto. I netturbini caricano la spazzatura e puliscono la strada. Andando verso la macchina mi fermo a fare la foto al proprietario di un’attività.
“Com’è qui la situazione?,” gli chiedo.
“Pieno di barboni, droga, tutte ‘ste cose qua. Io sono tanti anni che sto in giro per la stazione. Prima stavo dall’altra parte, e di là è peggio.”
Continuo a camminare sul lato dei bar di via Marsala quando un signore con una camicia spettacolare attira la mia attenzione.
“Ci passi tanto tempo qui alla stazione?”
“Io sto partendo, sono sardo, sto andando in Sardegna per fare la stagione estiva. Ma a Roma ci sto da tanti anni, e ho capito la sinfonia, il buono e il cattivo… Ti racconto una storia che ho visto proprio qui alla stazione.”
“Al supermercato c’era tutta una folla perché una barbona di 65/70 anni aveva rubato un panino. L’aveva chiesto ail direttore, e lui le aveva detto di ripassare alla chiusura. Ma erano due giorni che non mangiava, l’aveva detto,” mi spiega. “Così ha fatto finta di uscire, poi è andata allo scaffale, ha aperto la vetrina e ha preso il panino con la porchetta. Hanno chiamato la polizia e sono arrivati due pischelletti che non facevano servizio alla stazione, e dato che non la conoscevano la signora ha ripetuto la sua storia, ‘Non l’ho rubato, prima l’ho chiesto al direttore, ma me l’ha rifiutato. Io vivo qui, dormo qui, mi conoscono tutti quanti: poliziotti, carabinieri, guardie giurate, io mi devo sfamare!’ E sai cosa è successo? Uno dei due poliziotti ha fatto come per prendere le manette,” continua mimando il gesto.
“Io l’avrei condannata se avesse rubato il vino, o una lattina di birra, ma ha rubato un panino. Così mi sono messo in mezzo e ho fatto un po’ di casino. ‘Le manette mettile ai politici, non a una che ruba un panino,’ ho gridato a uno dei poliziotti. ‘Portami in questura, però io voglio un giornalista che fa un articolo per spiegare chi gestisce questa stazione di merda, Termini!’ Mentre dicevo così e me la prendevo anche col direttore è arrivato uno con la stelletta, il comandante. Gli hanno spiegato la situazione e lui ha rimproverato gli agenti per la questione delle manette, e alla fine a me ha pure offerto il caffè.”
Il racconto, che aveva assunto un tono concitato, si interrompe. “Io non le sopporto le ingiustizie. Sono una persona credente, qualcuno mi scambia per un prete, e quando mi metto la camicia nera mi dicono ‘padre buongiorno!’. Buongiorno un cazzo. Io non sono un prete.”
Gli faccio una foto alle mani e lo saluto.
1.05 Faccio un giro in macchina per riprendere le energie. Il sottopassaggio è sempre vuoto. Su via Giolitti ci dormono in pochissimi. Sulla sinistra qualche turista cammina. È aperto solo il kebabbaro dove mi hanno provato a rubare la Nikon F2.
Un paio di volanti della polizia girano per la stazione con i lampeggianti accesi. Passo per piazza della Repubblica, davanti al parchetto dei famosi marchettari di Pasolini. Sul lato di piazza dei Cinquecento ci sono una cinquantina di persone che aspettano i notturni. Nei giardinetti intravedo un marchettaro, forse tre.
1.11 Una volante sfreccia su via Cavour verso il Colosseo.
Il barista della bistecchina.
1.16 Mi siedo al baretto a prendere un’altra birra. Il barista mi propone di prendere una bistecchina e mi dice che è aperto fino alle 2.30.
1.21 Sono seduto al bar quando una signora con una pelliccia bianca stracciatella si fa un selfie davanti all’hotel di via Marsala. Attraverso il sottopasso del centro commerciale della stazione. È completamente vuoto, mi passa davanti una trans e dopo aver chiesto il permesso scatto. Mi saluta dicendomi “ciao bello.”
Continuo la camminata nel sottopasso e in fondo vedo tre persone. Avvicinandomi scopro di conoscere i due ragazzi. Stavano facendo un reportage su Simoncino, noto rapper romano. Gli faccio una foto e poi ci fermiamo al baretto a fare due chiacchiere.
La stazione ormai è chiusa. Dalla finestra di un albergo dei turisti mi puntano un laser. Urlando, li invito a scendere e a succhiarmelo.
3.18 Chiedo a due ragazzi su piazza dei Cinquecento di farsi una foto con il loro amico sbronzo. Da che era sdraiato, questo cerca di colpirmi con un pugno mentre gli amici lo trattengono.
Cammino per via Giolitti, dove i soliti tunisini parlano di non so che e importunano i pochi turisti. Torno nel sottopasso. Deserto.
4.13 Mi allontano per riprendermi un pochino.
4.40 Su via Giolitti ci sono ancora dei tunisini.
4.41 La stazione nel frattempo ha riaperto e si riaffacciano i primi turisti. I baretti sono tutti chiusi, così decido di farmi un ultimo giro prima che la zona ricominci a popolarsi.
Mentre cammino penso che in alcune parti Termini è un luogo veramente di merda. Non c’è dubbio. Ma è anche un posto pieno di contraddizioni: un luogo che è di transito per i viaggiatori, stanziale per chi non ha nulla e che riesce ad attirare gente di ogni tipo. Per queste sue caratteristiche contrapposte, insomma, più che a un inferno—volendo usare gli stessi riferimenti del Messaggero—Termini assomiglia a un enorme purgatorio.
5.13 Non ho intenzione di aspettare l’alba, tanto non succederà nulla.
Per vedere altri lavori di Niccolò, vai sul suo Tumblr e sul Tumblr del progetto Stazione Termini.