Tra i 12 e i 14 anni avevo la pessima abitudine di scrivere sui muri della mia camera da letto usando i pastelli a olio che mi avevano fatto comprare per le lezioni di arte a scuola. Ogni centimetro della mia piccola cameretta era ricoperto di frasi di altra gente. Citazioni dai romanzi di Chuck Palahniuk seguivano i battiscopa, l’intero monologo di Mercuzio sullo scopare da Romeo e Giulietta ricopriva la porta e testi di canzoni si facevano spazio serpeggiando sulla libreria e in mezzo ai mille fotogrammi stampati da Queen of the Damnedattaccati al muro. Era totalmente terrificante, tipo The Shining—ma invece del bambino col caschetto biondo c’ero io con il mio mullet alla David-Bowie-nella-parte-di-Jareth-re-dei-Goblin. Ho passato un po’ di tempo a casa ultimamente e ho fatto ordine in mezzo a tutta la roba che ho ammucchiato nel garage di mia nonna, dove oggi riposa quella libreria, carica di un’intera polverosa collezione di VHS e, lasciate che ve lo dica, è totalmente ricoperta—e intendo proprio glassata, tipo fondotinta su viso di Kardashian—di testi dei Bright Eyes.
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