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Siamo tutti paranoici, o il nostro cellulare ci ascolta?

Un paio di anni fa è successa una cosa strana. Ero con un amico in un bar, avevamo gli smartphone in tasca e parlavamo dei nostri viaggi in Giappone e di quanto ci sarebbe piaciuto tornarci. Il giorno dopo, su Facebook, entrambi ci siamo ritrovati delle inserzioni di voli per Tokyo. Inizialmente ci era sembrata solo una coincidenza un po’ buffa, ma è stata la prima di una lunga serie di conversazioni poi ripresentatesi sui social sotto forma di post sponsorizzati. E ovviamente non siamo gli unici ad aver avuto esperienze del genere. Anche voi ci siete passati, no?

Ma quindi, siamo tutti paranoici o i nostri telefoni ci ascoltano?

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Secondo Peter Hannay—consulente di cybersicurezza presso l’agenzia Asterisk e professore all’Università Edith Cowan, in Australia—la risposta più immediata è sì, ma forse in modo meno allarmante di quanto crediamo.

Per ascoltare e registrare le tue conversazioni lo smartphone deve ricevere un input, proprio come quando dici “ehi Siri” o “okay Google”. In mancanza di questo segnale, qualsiasi dato raccolto può essere processato solo all’interno del tuo telefono. Per quanto innocuo questo possa sembrare, in realtà qualsiasi app di terze parti presente sul tuo cellulare, tra cui Facebook, ha accesso a questi dati rivelati “involontariamente”. Starà poi a loro decidere se utilizzarli o meno.

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L’autore e il suo telefono.

“A volte, certi stralci di audio vengono inviati ai server [di altre app, tra cui Facebook], ma non c’è chiarezza su quali siano i fattori scatenanti di questo invio,” spiega Peter. “Non è chiaro se avvenga in base all’orario, alla posizione o all’attivazione di determinate funzioni. Quello che è certo è che [le app] sfruttano periodicamente l’accesso al microfono. I dati vengono inviati in forma criptata, quindi è molto difficile stabilire quale sia la causa scatenante.”

Peter mi spiega che app come Facebook o Instagram potrebbero essere programmate per attivare l’acquisizione di dati con migliaia di segnali diversi, e una normalissima conversazione tra amici sull’acquisto di un paio di jeans potrebbe essere sufficiente. Anche se il beneficio del dubbio in questo caso è d’obbligo, visto che aziende come Facebook negano fermamente di ascoltare le nostre conversazioni.

Google non lo nasconde, quindi non mi sorprenderebbe che altre aziende stessero facendo la stessa cosa,” racconta Peter. “Non vedo perché non dovrebbe essere così. Dal punto di vista del marketing è una strategia sensata, gli accordi di utilizzo dei dati e la legge lo consentono, quindi personalmente credo che anche altre aziende lo facciano, ma non possiamo averne la certezza.”

Per provare a farmi un’idea del funzionamento del sistema, sono passato a una prova: due volte al giorno, per cinque giorni, ho pronunciato al mio telefono diverse frasi che potessero costituire degli ipotetici segnali. Frasi tipo Sto pensando di ricominciare l’università e Ho bisogno di vestiti economici per l’ufficio. Poi ho iniziato a monitorare attentamente i post sponsorizzati su Facebook alla ricerca di cambiamenti evidenti.

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Era la prima volta che vedevo annunci di “abbigliamento di qualità”.

Poche ore dopo, nel mio feed Facebook ho scovato un annuncio sui corsi universitari di metà semestre e diverse inserzioni di brand di abbigliamento. Coincidenze? C’erano anche prima e semplicemente non me n’ero accorto?

Quando ho visualizzato un’offerta su un piano dati da 20 giga, ho pensato ‘cavolo, proprio quello di cui avevo bisogno’—ma poco dopo mi sono ricordato di aver detto a un amico che avevo esaurito i dati del mio abbonamento. Insomma, gli annunci erano tutti interessanti, ma la straordinaria coincidenza degli eventi mi ha leggermente inquietato. Anche lì, però: quanto spazio occupa la suggestione in simili circostanze? È un po’ la stessa cosa che succede con l’oroscopo?

Come mi spiega Peter, sebbene nessun dato sia sicuro al 100 percento per l’eternità, nel 2018 nessuna azienda vende i propri dati agli inserzionisti. Ma d’altronde, sappiamo bene che gli inserzionisti non hanno bisogno dei nostri dati per farci visualizzare gli annunci.

Piuttosto che vendere agli inserzionisti i dati degli utenti in target, aziende come Facebook si fanno pagare dai brand e assicurano loro che l’annuncio verrà visualizzato dal loro target di riferimento e da chiunque sia interessato al loro prodotto. L’accesso esclusivo ai dati sugli utenti è il principale punto di forza delle grandi aziende tech, per questo hanno tutto l’interesse a non rivelare questi dati all’esterno.

Come mi spiega Peter, però, anche se tali aziende custodiscono gelosamente i nostri dati, questo non li rende immuni dal controllo delle agenzie governative. Dal momento che la maggior parte di queste aziende ha sede negli Stati Uniti, la NSA e la CIA potrebbero tranquillamente avere accesso alle informazioni che ci riguardano, a prescindere da quanto previsto dalla legge nel nostro paese d’origine.

“È una sorta di estensione della vecchia pubblicità in televisione,” spiega Peter. Solo che ora, invece di analizzare il pubblico della prima serata, tutti sono concentrati sull’analisi delle nostre abitudini online. Non è una condizione ideale, ma non credo che costituisca una minaccia diretta ai singoli individui, o perlomeno non alla maggior parte di essi.”

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