Nel 1962 Joe Tex, musicista soul americano, era preso piuttosto male: sua moglie lo aveva lasciato per quella macchina del sesso che era James Brown, e lui aveva un singolo da pubblicare. Decise, quindi, di scrivere un pezzo che dicesse le cose come stavano. E così, con “You Keep Her“, nacque il concetto di dissing: una canzone, o anche solo una strofa o un verso, il cui principale scopo è diffamare un’altra persona mostrando al contempo la propria integrità artistico-personale. “James, mi è arrivata la tua lettera / Mi è arrivata oggi / Mi dicevi che potevo riavere la mia bella / Ma per me non è ok / Tienitela, tienitela,” diceva Tex.
Da allora il dissing è passato per molte incarnazioni musicali, dalle tracce di Lee “Scratch” Perry contro i suoi ex collaboratori alla rivalità emo-punk tra Jesse Lacey dei Brand New e John Nolan dei Taking Back Sunday (ovviamente nata da una ragazza, essendo una rivalità emo-punk), penetrando anche in territori mainstream. Vedi le recenti controversie sorte attorno a “Perfect Illusion” di Lady Gaga: quei tamarri dei Chainsmokers l’hanno definita “una merda”, e Gaga ha risposto aprendo il suo singolo successivo con le parole “Non vedo l’ora di fumarmeli tutti / Un pacchetto intero, tipo Marlboro”.
Il terreno più fertile in cui il dissing è cresciuto, però, è l’hip-hop. L’abitudine a prendersi a parole l’un l’altro è stata ed è fonte di enorme soddisfazione per chiunque segua il genere, anche solo nella primordialità dei freestyle. La libertà lirica ed emotiva dell’improvvisazione, sostenuta da scontri barra per barra e acclamazioni popolari, rende l’insulto mediamente un gioco tra colleghi; in forma-canzone, invece, lo scontro può prendere delle strade più tortuose e pericolose, partendo dalle storiche rivalità dei Novanta fino agli scontri che hanno animato negli ultimi anni la scena: Gucci Mane e Jeezy, Lil Wayne e Birdman, Drake e Meek Mill e così via.
Ci sono però diverse problematiche che, con il passare degli anni, mi portano a pensare che l’era del dissing come cifra stilistica debba finire. Ma andiamo con ordine, partendo dall’estero per arrivare in Italia.
Forse la diss track più famosa di sempre: è il 1996 e 2Pac e gli Outlawz distruggono Notorious B.I.G. e i suoi: “Non ho amici, cazzo / È per questo che mi sono scopato tua moglie, figlio di puttana di un ciccione.”
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Quando 2Pac se ne esce con “Hit ‘Em Up”, brutale attacco a Notorious B.I.G., l’aria puzza già di morte: due anni prima Shakur era rimasto vittima di un tentativo di rapina in uno studio di registrazione ed era sopravvissuto a diversi colpi di arma da fuoco. Biggie, che venti minuti dopo si trovava nello stesso studio ed era rimasto completamente incolume, pubblicò poco dopo un brano━”Who Shot Ya?”━che è tuttora visto come uno dei più controversi nella storia dell’hip-hop americano: “È difficile parlare con un ferro in bocca, eh? / Fighetta di un negro, chi ti ha sparato?”, diceva. Saranno proprio le parole di Biggie in quel brano a convincere Tupac che il mandante del suo tentato omicidio fosse proprio lui━e il resto, fino alla loro morte, è storia.
Non c’è dubbio che proprio quella rivalità, finita in tragedia, sia ormai parte della leggenda che ha reso l’hip-hop cuore pulsante della cultura afro-americana in primis e mondiale poi. La svolta gangsta, dalla fine degli anni Ottanta, aveva reso i testi rap espressione del disagio di periferia, ma lo aveva fatto con un’impeto di violenza che all’epoca doveva sembrare terrificante alla borghesia benpensante: i “Fuck tha Police” degli N.W.A. nascevano con un’enorme voglia di denuncia e riscatto ma il risultato fu, come dicevano i loro colleghi Public Enemy, alimentare solo la “paura di un pianeta nero”. I tentativi di diffondere un messaggio propositivo venivano, ovviamente, annegati dal clamore attorno agli insulti e alle boutade criminali. Questo pezzo di Derek Ide spiega benissimo il rapporto tra hip-hop, identità nera, società americana e capitalismo: a noi basti dire che il rap, storicamente, non è quasi mai stato considerato come un luogo in prevalenza accogliente e pacifico.
“Mi trattano come se avessi sempre un’arma / Ma ho solo geni e cromosomi / Consideratemi nero fino alle ossa / Voglio solo pace e amore per questo pianeta / Non erano questi i piani di Dio?”, dicevano i Public Enemy già nel 1990. Ma se ne erano accorti in pochi.
Se gli afro-americani vedevano nell’hip-hop una prima via di salvezza dalla povertà e dall’emarginazione sociale in cui la società statunitense li aveva gettati, la gang culture che permeò il genere nei Novanta interruppe il processo appropriandosi letteralmente di una sua buona fetta. Questo, paradossalmente, rendeva l’hip-hop sempre più insulare nonostante le sempre maggiori tendenze al mainstream che le classifiche di vendita dichiaravano: il rap era musica fatta da neri per neri, e se oggi vedere dei regazzini svedesi ventenni rappare è la cosa più normale del mondo, quando Eminem arrivò sulle scene tutti uscirono di testa.
I dissing, nell’era di Eminem, erano ancora la normalità. Slim Shady stesso ne mise di storici nei suoi dischi, scavando anche nel personale per tirare fuori alcune tra le narrazioni personali più crude e potenti della storia del genere (“Cleanin’ Out My Closet”, contro la madre, e “Kim”, contro la moglie). Ma arriviamo a un punto: sebbene la storia dell’hip-hop sia fatta di criminalità, disagio, impeto, violenza e bragging (fattuali o meno), il processo che l’ha portato progressivamente nel mainstream ha inevitabilmente snaturato quest’identità primordialmente cruda e grezza del genere, mettendo in bocca a MC provenienti dai contesti più disparati un vocabolario adottato da modelli ormai lontani nel tempo: un’appropriazione culturale, nella maggior parte dei casi, innocua. Alle origini di questo processo c’è però un profondo cambiamento sociale-comunicativo. Ma andiamo con ordine.
Da un lato parlare di cose gangsta, di difficoltà e di periferie, di armi e di droga, non è più da tempo sinonimo di una reale presenza nella vita di chi scrive testi rap. Se Rich Chigga, un ragazzino sedicenne indonesiano, dice all’inizio della sua prima e finora unica hit che il suo lavoro è “sparare alla gente” nessuno dotato di un minimo di sale in testa può ragionevolmente crederci e quindi incazzarsi con lui perché dice cose che non fa realmente. Dall’altro, il genere è stato attraversato da grandi cambiamenti che hanno portato a quello che credo essere un decadimento del valore del dissing━e questo perché il confronto tra MC non può più permettersi di essere solo distruttivo. C’è un momento definito in cui questo processo di trasformazione in chiave progressista del dissing è iniziato: il verso di Kendrick Lamar su “Control” di Big Sean.
Eccovi il momento in cui i dissing come si facevano una volta hanno smesso di avere senso.
Quando uscì “Control” Kendrick era alle soglie della consacrazione. good kid, m.A.A.d. city era diventato un classico contemporaneo istantaneo grazie a una splendida narrazione autobiografica resa rappresentazione critica della gang culture che si era portata via così tanti ragazzi e ragazze in un vacuo tentativo di uscire dal ghetto uscendo, a loro volta, dalla legge━la crisalide che sarebbe diventata, nel giro di qualche anno, To Pimp a Butterfly e il suo rivoluzionario messaggio di pace tra gang in nome di una comune origine africana di cui andare orgogliosi, per restare uniti in tempi di aspro confronto tra status quo caucasico e comunità etniche. Il tutto giusto in tempo per diventare la colonna sonora del movimento Black Lives Matter.
Ma “Control”, oltre a dimostrare le capacità di costruzione lirica di Lamar, conteneva un clamoroso dissing che non lo era: “Di solito i negri con cui faccio rime sono miei amici / Ma questo è hip-hop, e sapete benissimo che cosa sta per succedere / Questa è per J. Cole, Big K.R.I.T., Wale / Pusha T, Meek Mill, A$AP Rocky, Drake / Big Sean, Jay Electronica, Tyler, Mac Miller / Vi amo tutti, ma sto provando ad ammazzarvi, negri / Sto provando a far sì che i vostri fan dicano di non avervi mai sentiti / Che non vogliamo sentire più manco un nome o un verbo da voi negri / Che cos’è la competizione? Sto solo provando ad alzare l’asticella.”
Lamar lanciava un guanto a quelli che considerava i suoi amici e colleghi senza accusarli di rappresentare nella loro opera qualcosa di falso, né cercando di alimentare rivalità basate su questioni di integrità personale: semplicemente diceva, “vi voglio bene, e se dobbiamo competere dobbiamo farlo solo a livello di bravura lirica.” Un dissing propositivo, un ribaltamento di prospettiva che eliminava il concetto di “verità” alla base del genere spostando l’attenzione su un lato molto più complesso e multiforme come la costruzione testuale.
“Chi è Greta Menchi?”
Da allora, l’hip-hop americano è stato attraversato da un’ondata di positività che sta lentamente rendendo i dissing vecchio stile sempre più espressione di un passato che deve necessariamente finire per il bene dei nostri rapporti sociali prima e della cultura musicale poi. Parlo di società perché, in poche parole, stiamo entrando nella sua fase post-fattuale━in cui la verità è un concetto sempre meno definibile e la comunicazione mediata via web è sempre meno tenuta sotto controllo dalle redini della pazienza in favore di un continuo abbandonarsi a segnali impetuosi. È il motivo per cui possono nascere pagine come Enrico Mentana blasta laggente, o per cui noi possiamo fare una serie come The People Vs: la gente commenta incazzata e non si fa problemi a porsi in un’ottica aggressiva e violenta contro qualsiasi cosa non rientri nella sua limitata idea di mondo. Tutti cancelliamo dai nostri amici chi dice cose che ci stanno sui coglioni, e le pagine diventano un campo di battaglia in cui ci scanniamo tutti insieme appassionatamente.
Credo che sia proprio questa logica uno dei principali pericoli della struttura che regge la comunicazione online di oggi. Se uniamo la tendenza all’insulto facile a quella al commento indiscriminato e non argomentato, la comunicazione si perde in un caos totale e deleterio. E i dissing, oggi, non fanno che alimentare questo processo. Lo applicano a un ambito relativamente meno rilevante per il futuro del mondo come può essere la musica, certo━ma la musica resta comunque una potentissima espressione culturale che ci aiuta, in uno scenario ottimista, a capire il mondo e darne una nostra interpretazione.
Sentire Drake accusare Pusha T di non aver spacciato tanto quanto dice nei suoi testi non aggiunge niente alla cultura, così come i continui attacchi tra Lil Wayne e Birdman sono solo espressione di astio tra due uomini tra cui c’è qualche milione di dollari in royalties in sospeso. Kanye West che si prende la paternità della fama di Taylor Swift per “essersela scopata” è, al di fuori dal personaggio di West e della qualità identitaria delle sue uscite controverse, uno schiaffo in faccia alla decenza. Nel frattempo, D.R.A.M. sta portando avanti un discorso anti-disagio e non si è neanche offeso quando Drake gli ha rubato “Cha Cha”, Chance the Rapper ha cambiato le regole del gioco intavolando un discorso che ricopre una Chicago violenta di positività mutuata dal gospel, Lil Yachty ha risposto alle accuse di chi sostiene non sia un rapper dicendo, tranquillamente, che la cosa non gli importa e vuole solo far musica.
E veniamo all’Italia. Partiamo da un presupposto: troppo spesso, nel nostro paese, “si è provato a forzare il rap su contesti e linguaggi del tutto organici alla cultura centrale.” Storicamente, come è accaduto in gran parte del mondo non-americano, abbiamo adottato l’hip-hop disegnandocelo sopra senza reinventarlo, aggiornando di volta in volta le nostre produzioni e le cose che dicevamo ai temi dominanti di oltreoceano. Quando di là facevano il boom bap, noi pure; quando iniziarono a fare i tamarri, noi pure; quando ci fu la svolta conscious, noi a seguire; ora che c’è la trap, quello facciamo. Chiaramente questa è una semplificazione, ma è innegabile che siano molti i casi in cui artisti italiani si siano rifatti a modelli stranieri per costruire una loro immagine e un loro vocabolario.
Quindi, in un’ottica di emulazione, anche i nostri MC spesso si riferiscono nei loro testi a un generico “tu” o “loro” meno capace, più coglione, tutto costruito, opponendogli una retorica di “verità” personale. Se poi questo sia una persona fisica o meno non ci è dato di saperlo, ma sono piuttosto sicuro che la maggior parte delle volte si tratta solo dell’adozione di uno stilema e non di un concreto attacco a qualcuno. Quando Sfera dice che “la tua tipa si fa scopare in cambio di un raglione” accusandoti di avere “un finto montone” e “una vita di merda”, lo dice genericamente per creare una sospensione di incredulità che lo trasporti, come nel video di “BRNBQ”, dall’hinterland all’Arco della Pace, dalla normalità alla ricchezza e al successo. Se poi Sfera abbia vissuto il disagio per davvero, non ci è dato saperlo. Ma il punto è che la cosa non dovrebbe importarci più di tanto, dato che tutti━e dico tutti━ci costruiamo un’identità assemblando, per dirla semplice, le cose che ci piacciono. E se a Sfera piace quel modo di dire le cose e quel tipo di personaggio, che male gli si può volere?
Allo stesso modo i membri della Dark Polo Gang dicono semplicemente quello che cacchio gli passa per la testa. Si sono resi conto che il personaggio bad boy totalmente menefreghista che parla di coca e succo di zenzero funziona proprio in quanto controverso e divisivo per le loro supposte incapacità metriche: ma è tutto assolutamente relativo, dato che qualcuno ha scritto un’analisi grammaticale-testuale della strofa di Side in “Cavallini” che sembra una tesi di laurea. Tony, Wayne, Side e Pyrex non hanno veri nemici che li vogliono morti, credo: se non quelli che hanno fatto incazzare una volta che hanno iniziato a fare musica. “DPG non siamo come nessuno,” dice Side in “Mafia”, ed esattamente per questo la Gang si merita un posto di rilievo nella musica Italiana. Nessuno fa come loro quello che fanno. Che poi facciano male il rap è un discorso di gusto: ma che facciano male al rap è una stronzata.
Allo stesso modo Enzo Dong, quando usa Higuain come immagine per descrivere un generico traditore, non lo fa con l’idea di andare contro una persona specifica━ma ha comunque fatto venire fuori la tendenza al commento impetuoso di cui sopra. Ognuno può mettere sulla faccia del Pipita la persona che vuole, ed Enzo lo ha anche specificato nel secondo verso del brano: “Questo non ha nulla a che fare con la Juve / Nessuna squadra di calcio / Pace e amore alle tifoserie”. Ma il titolo del brano e il ritornello sono bastati ai media italiani per scagliarsi contro di lui, piegando il suo messaggio a un mero dito medio a un calciatore creando una logica di scontro che Enzo voleva palesemente evitare.
E ora, veniamo alle critiche: la scena hip-hop italiana, come in generale la nazione che l’ha generata, è restia a cambiamenti improvvisi se questi vanno a minare le fondamenta su cui si è retta finora. E per il rap, questi, sono la coerenza tra realtà e rappresentazione, l’andare a tempo e il rispetto reciproco. Quando una di queste cose manca, subito i puristi alzano gli scudi e iniziano a criticare chi esce dalle regole. Delle numerose sfumature per cui gli italiani non capiscano del tutto il rap ne ho parlato ampiamente qua: basti ora dire che la non-aderenza a queste regole fondamentali non è, ritengo, ragione per scatenare odio. Può essere, invece, l’occasione per far finalmente venire fuori un rap italiano migliore.
Mi spiego: personaggi come i sopracitati Chance the Rapper e D.R.A.M., nomi generalmente apprezzati anche dai puristi, non sono arrivati al successo insultando Young Thug perché non andava a tempo o Lil Yachty perché non conosceva due pezzi in croce di 2Pac: li hanno coinvolti attivamente nei loro dischi, ci hanno parlato, si sono confrontati; oppure, nel caso di Lamar o di Vince Staples, li hanno lasciati fare quello che volevano concentrandosi sulla creazione di loro materiale abbastanza valido da spiccare per qualità in un panorama supersaturato e sempre più variegato e instabile.
Molti rapper italiani, invece di rapportarsi con Sfera, la DPG, Rkomi, Tedua, Ghali, Izi, Enzo, Laioung e compagnia bella, o lasciargli fare quello che volevano, gli hanno lanciato leggere frecciatine senza mai tirare esattamente fuori qualcosa di simile a una voglia di confrontarsi. Vedi l’ultimo freestyle di Rocco Hunt, che contiene mica tanto velati riferimenti a Sfera e alla sua BHMG: “Drogarvi con la merda che vendono in farmacia non vi farà più grandi / Siete cazzoni, ma quale supremazia?”; e ancora, “Il tuo quartiere sta a quattro fermate di metro dal Duomo / Non parlate di soldi se fate un altro lavoro / Prima dei soldi col rap in fondo stavate bene / Siete cattivi ragazzi da una famiglia per bene.” E adesso, Rocco? Gli hai finalmente detto le cose come stavano! Cinque alto.
Poi, non dico qua che i nuovi MC siano tutti santi e gli altri siano tutti diavoli: vedi la DPG che accusa Vegas Jones di avergli copiato un verso in “Gratta e vinci Freestyle” (anche se in questo caso specifico si parla della sottile linea tra plagio e tributo, e in fondo anche chissenefrega dal punto di vista di un ascoltatore esterno). Ma un atteggiamento di costante ostilità non fa che far risultare agli occhi di un osservatore gli accusatori dei semplici conservatori bigotti. Nessuno nega l’importanza dei contributi di Inoki al rap italiano o la sua esperienza di vita grazie alla quale si è creato un’identità definita in musica e non, ma sinceramente vederlo prendere a nomi chiunque mi fa venire tutto tranne che voglia di ascoltarlo.
Insomma, un Madman che dice “Io in questa scena asettica, ti porto merda autentica / Col doppio dei tuoi contenuti e il quadruplo di tecnica” ha teoricamente senso perché, come Lamar, sposta il discorso sulle qualità al microfono e non la mette sul personale: ma ricordiamoci che la tecnica non è tutto, altrimenti saremmo tutti ad ascoltare i Dream Theater e il punk non se lo cacherebbe nessuno. Allo stesso modo, la parodia di Salmo degli stilemi trap, del rap commercialone e dei dinosauri del genere da cui è partita la mega polemicona con Sfera Ebbasta può servire al massimo a strappare un sorriso, ma imitazione ≠ satira: la prima è per farsi una risata, la seconda per farsi una risata e farci pensare. E c’è bisogno della seconda più che della prima, ora come ora.
Sarò democristiano io, ma non mi esalta per un cazzo immaginare i rapper che ascolto in un eterno scontro tra fazioni. Voglio vedere un hip-hop italiano unito, da Torino a Genova, da Milano a Bologna, da Roma a Napoli. Non mi piace vedere eterne conversazioni su Facebook di gente che si insulta senza parlare in realtà di nulla. Voglio vivere questa bellissima cosa che è il rap italiano in questo momento ed essere felice della musica del mio paese. Altrimenti farò come Caneda e, grondante di una birra tirata in faccia da due attaccabrighe, me ne andrò a dipingere e fare musica per i cazzi miei, librandomi sulla mia ala sola. Oppure, come Tedua, canterò felice: “Chico tranquillo è tutta scena hip-hop / E poi ma che cantilena, i tuoi solo cattiveria.”
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