Sono a Siracusa, città di grande tradizione e storia: la Magna Grecia, il Barocco, l’Orecchio di Dioniso e tutte quelle cose che ci hanno fatto studiare a scuola. Ma onestamente, dopo essermi fatto quasi due ore buone di visita al parco archeologico della Neapolis per sentirmi a posto con la mia coscienza di turista, mi dirigo verso l’isola di Ortigia, in cerca di un altro tipo di monumenti. L’orologio segna più o meno le 12.00 quando mi avventuro nei meandri dello storico mercato dell’isola.
In un frenetico viavai di gente che sfreccia in ogni direzione, le grida dei mercanti fanno da sottofondo al mio stomaco che inizia a rumoreggiare nonostante la sostanziosa combo granita ai gelsi con brioches di prima mattina. La mia attenzione viene subito catturata da una bottega con una tenda rossa con la scritta Borderi “Gli Artisti” e dal capannello di curiosi che si accalcano a ridosso di un banco allestito sulla strada.
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Curiosi ai quali, manco a dirlo mi unisco anch’io tempo zero per capire cosa si celi oltre quella siepe umana. Scorgo quindi un signore che scopro poi essere Andrea, figlio di Don Pasquale Borderi, fondatore dell’omonimo Caseificio nel 1930. Andrea ha preso le redini dell’azienda di famiglia, con sede a Floridia (SR), una volta diventato mastro casaro.
È un vero e proprio showman che ti ubriaca di parole e ti travolge di aneddoti mentre confeziona panini ad un ritmo pazzesco e con una accuratezza sorprendente. Ecco che mi vede con la coda dell’occhio, taglia un pezzo di primo sale e me lo porge esortandomi all’assaggio. Ok, ormai mi ha rivoltato come un calzino e decido di mettermi in coda pacifico insieme agli altri. Chiedo a Elefteria, figlia di Andrea, anche lei impegnata nell’attività famigliare di raccontarmi quali sono i prodotti più apprezzati.
Il caseificio non mira alla produzione di massa, ma alla qualità, e mi spiega che il fiore (o i fiori) all’occhiello della produzione sono i prodotti freschi, dalla mozzarella, alla crema di mozzarella e quella di ricotta, fino alla la mozzarella affumicata con bucce di mandorla pizzuta di Avola.
E chiudiamo in bellezza con la Tricotta di Archimed e, uno dei loro prodotti più rappresentativi insieme al Cremino, una bomba vera.
In realtà non chiudiamo un bel niente perché devo ancora iniziare a mangiare, e voglio sapere tutto di questa Tricotta, dal colore bianco cangiante e con la parte superiore ben brunita.
La Tricotta nasce da un’idea di papà Andrea per far fronte ad un’esigenza dell’attività ai suoi inizi. Il caseificio produceva molta, moltissima ricotta ma per abitudine nel periodo estivo l’uso della ricotta nelle famiglie diminuiva. Per smaltire l’esubero Andrea ha pensato (bene) di farle asciugare, facendole sgrondare dal siero, ovvero l’elemento che porta ad inacidire il prodotto madre. Le infornava poi nel forno di pietra ad altissima temperatura affinché si formasse al di fuori una bella crosta dura, mentre il cuore rimaneva incredibilmente morbido.
Così facendo hanno ottenuto un formaggio completamente diverso, unico per consistenza e profumi. Una volta portata a casa e scaldata leggermente, condita con olio origano e aglio (solo strofinato sul piatto perché le pubbliche relazioni sono importanti), abbiamo quello che Andrea chiama “il pasto degli dei”.
Il Cremino nasce invece appena un anno fa, ad opera di Gaetano Gangemi, ingegnere meccanico, casaro nonché marito di Elefteria, per dedicare un formaggio a sua moglie.
Questo formaggio è calloso fuori come la mozzarella, ma all’interno invece di avere la crema di mozzarella, ha una ricotta speziata. La particolarità del cremino sta tutta nel morso. Addentandolo si sente prima la classica texture della mozzarella appena fatta, poi vien fuori l’ irresistibile scioglievolezza (con permesso, maître chocolatier) della ricotta speziata con scorze di limone, mentuccia e basilico. La morte sua è cospargerlo all’esterno di un pesto di pistacchio di Bronte.
E la mozzarella affumicata con le bucce di mandorla di Avola?
La producono ogni notte al caseificio, ancora a mano come una volta filando la pasta nel siero del latte di vacca che viene portato ad una temperatura di circa 80°. Il fumo ottenuto dalle bucce di mandorla le conferisce un profumo leggero, per nulla invasivo e prevaricante, quasi dolce.
Provala a cubettoni e condita con menta fresca tritata al coltello, pachino essiccati, olio e limone, mi dice Andrea. Limone? Ma il limone sulla mozzarella non è roba da americani?
Andrea fa su un boccone e mi imbocca letteralmente: quando si dice finger food. Ed io in un attimo supero la diffidenza e i miei stupidi preconcetti.
Un’altra trovata vincente di casa Borderi è quella dei taglieri ‘ecosostenibili’ in pasta di pane, rigorosamente fatti con lievito madre. Questa volta è Elefteria a rivendicarne la paternità; una volta viene contattata da una grossa azienda per un catering (sì, fanno anche catering) che chiede espressamente un servizio ad impatto zero. Bene, non vogliono piatti e taglieri di plastica. E manco di legno. E noi glieli portiamo in pasta di pane, sia mai che se li mangiano pure.
Idem per le insalatiere, anch’esse commestibili. Esperimento ben riuscito, per il quale ottengono anche diversi riconoscimenti e molta visibilità, e che viene riproposto ancora oggi, più di frequente nei catering, ma meno in bottega. “Purtroppo non c’è ancora quella sensibilità da parte della clientela” conclude Elefteria.
Ora sono ubriaco di caseina ma realizzo che ero venuto qua per un panino.
Sarei anche a posto così ma Gaetano ci tiene, e non vorrei mai passare per quello maleducato.
E panino sia. Potevo andarmene senza nemmeno uno straccio di ricetta di uno dei loro panini oversize? Direi di no, e infatti in esclusiva per MUNCHIES abbiamo la ricetta del loro nuovo must-eat, il #DubleBorderiSandwich.
Il pane utilizzato per i panini è un filoncino casereccio di semola di grano duro al sesamo scavato della mollica in eccesso per far spazio agli ingredienti o in alternativa un pane ai 6cereali, di facile digeribilità. Gaetano mi racconta che questo panino rappresenta il matrimonio perfetto di tutti questi elementi selezionati.
Dentro vi è racchiusa tutta la Sicilia Orientale da sud a nord, con il pomodorino di Pachino essiccato al sole, passando per Siracusa con i loro formaggi e proseguendo fino alla provincia di Messina, zona di produzione dei due salumi protagonisti.
Non chiamateli “paninari” che si offendono. E scusate se dopo l’assaggio, non mi sento di contraddirli.
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