Aaron Swartz si è tolto la vita nel gennaio del 2013. Era nato nel 1986.
Swartz è stato una delle figure più importanti della storia recente di Internet e sin dalla sua adolescenza il suo nome è stato coinvolto in progetti molto importanti come — tra gli altri — Reddit, di cui è stato uno degli iniziatori; i filtri RSS e Creative Commons, di cui è stato uno dei principali animatori insieme a Lawrence Lessig.
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La sua eredità e la sua storia sono tanto importanti quanto fumose; si tratta senza mezzi termini di un peso massimo della storia moderna della tecnologia, e chiedersi perché non sia poi così conosciuto è legittimo, specialmente alla luce di un’analisi della copertura mediatica che le più importanti testate del mondo hanno dedicato a lui e alla sua storia. Ma prima di tutto, perché dovremmo ricordarci di Aaron Swartz?
Nel 2012 la sua voce fu una delle più potenti nella mobilitazione contro l’Online Piracy Act (SOPA) e il Senate’s Protect Intellectual Property Act (PIPA), due proposte di legge americane molto restrittive in fatto di copyright che avrebbero minacciato alcuni valori fondativi della rete. Quella mobilitazione, coordinata da Demand Progress, l’organizzazione co-fondata da Swartz, culminò nel “blackout” di Internet del gennaio 2012. Fu una vittoria.
A luglio 2011, Aaron Swartz era stato però accusato di vari crimini, alcuni facenti capo al Computer Fraud and Abuse Act (CFAA), una legge americana promulgata negli anni ’80 e molto restrittiva per tutte le attività ritenute criminali che, anche in senso lato, facevano capo all’hacking o alla violazione dei termini di utilizzo di un servizio. Una legge vecchia, vastissima ed estremamente severa.
Gli atti di Swartz possono essere equiparati all’aver “ritirato troppi libri da una biblioteca”, ma la sentenza cui Swartz era potenzialmente esposto sarebbe potuta arriva a 95 anni di carcere.
Aaron Swartz era stato accusato per aver scaricato grazie a uno script migliaia di paper accademici coperti da copyright da JSTOR — un archivio online di contenuti accademici — dalla rete del MIT di Boston. Aaron Swartz non ha mai discusso le sue motivazioni in pubblico e ha restituito i materiali scaricati.
Come ha scritto Justin Peters nel suo The Idealist, gli atti di Swartz possono essere equiparati all’aver “ritirato troppi libri da una biblioteca”, ma la sentenza a cui Swartz era potenzialmente esposto sarebbe potuta arriva a 95 anni di carcere. A poco più di due anni dall’inizio del caso legale, Aaron Swartz si è impiccato nel suo appartamento di Brooklyn.
La storia di Aaron Swartz è un catalizzatore di elementi che si intrecciano con diversi macrotemi dell’evoluzione recente del web: la battaglia per l’open access alla ricerca scientifica, quella contro il copyright come strumento di censura, la disobbedienza civile e il ruolo di Internet nel favorirla e la guerra aperta in atto negli Usa contro l’hacktivismo a colpa di sentenze esemplari.
Si tratta, soprattutto, di una storia di memoria, come ricordava Tim Berners-Lee nel suo tweet per la morte di Swartz: we’re one down. Il modo in cui verrà veicolata la memoria di Aaron Swartz ha un’origine precisa e chiaramente identificabile: il modo in cui i media hanno trattato le vicende di Aaron Swartz, come la sua vita e la sua morte.
A questo tema ho dedicato un paper, pubblicato — in open access — dall’ International Journal of Communication, incentrato sulla copertura mediatica riservata ad Aaron Swartz da sei testate generaliste in Italia (Corriere della Sera, La Repubblica), Regno Unito ( The Guardian, Telegraph), Usa ( The New York Times, Washington Post) e da due tecnologiche internazionali ( The Verge e The Next Web).
L’arco temporale di analisi su cui il paper si concentra è il periodo che va dal 2011 al 2014, al fine di coprire il caso Swartz dalla formalizzazione delle accuse a un anno intero dopo la scomparsa. In totale, sono stati analizzati 272 articoli selezionati perché riportanti la parola chiave “Aaron Swartz”.
In totale, sono stati analizzati 272 articoli selezionati perché riportanti la parola chiave “Aaron Swartz”.
Dai risultati emerge un dato chiaro che accomuna tutte le testate analizzate indipendentemente dalle loro caratteristiche, audience di riferimento e focus: di Aaron Swartz si è parlato prevalentemente nel 2013 e attorno alla sua morte, periodo in cui sono stati ben pubblicati 199 dei 272 articoli inclusi nel campione.
Altri 60 pezzi sono stati dati alle stampe nel 2014, sulla scia soprattutto dell’uscita del documentario The Internet’s Own Boy di Brian Knappenberger, che ha riacceso l’attenzione attorno alla figura di Aaron Swartz. Solo 9 articoli sono stati invece pubblicati dalle testate analizzate tra 2011 e il 2012.
Gli articoli sono poi stato divisi in diverse categorie tematiche sulla base degli argomenti per i quali Aaron Swartz è stato citato o trattato: complessivamente, la categoria più frequentemente utilizzata è risultata essere quella di “Activism” — articoli facenti riferimento alle campagne di Swartz — con il 22% del totale, seguita da “Death” — articoli che ne discutevano la morte — con il 16% e “Legal” — articoli che trattavano del suo caso legale e delle implicazioni di giurisprudenza — con il 15%. Assolutamente minoritario, invece, è risultato essere il tema dell’open access (1%, solo tre articoli), quasi mai trattato in relazione ad Aaron Swartz.
La stampa italiana è stata complessivamente quella che ha trattato meno Aaron Swartz (gli articoli italiani, nel complesso erano 36) e quando lo ha fatto ha utilizzato toni più positivi rispetto a tutte le altre testate, comprese quelle tech.
Questo è visibile, ad esempio, dalle scelte lessicali dei giornalisti italiani nel descrivere Aaron Swartz: la parola più utilizzata in questo caso è stata “genio”, mentre altrove il termine “attivista” è stato quello più ricorrente, insieme ad altri termini neutri come “programmatore” o “hacker”. Inoltre, la maggioranza degli articoli italiani è stata giudicata “positiva” nei toni, mentre altrove gli articoli “neutrali” sono risultati essere più frequenti.
Questo aspetto si può spiegare con la presenza significativa — nei due giornali italiani — di editoriali celebrativi pubblicati attorno alla morte di Swartz e con l’assenza di una cronaca fattuale più costante. Gli articoli negativi, invece, sono stati sostanzialmente nulli in tutti i paesi.
Il The New York Times è stata l’unica testata a pubblicare un’intervista con Aaron Swartz, nel 2012, mentre The Verge e The Next Web hanno pubblicato un articolo a testa riferendosi a Swartz solamente come “Aaron”, un segnale di una più stretta vicinanza culturale e affinità con l’attivista americano.
Le testate di settore, ad ogni modo, non hanno fornito una copertura particolarmente diversa rispetto alle testate generaliste, fatta salva qualche scelta differente. Dal punto di vista tematico, ad esempio, i due siti tech hanno dedicato più attenzione alle implicazioni legali del caso Swartz e, in particolare, alla necessità di riformare il Computer Fraud and Abuse Act.
Questo è stato reso visibile anche dal fatto che sia The Verge che The Next Web abbiano avuto la Senatrice Zoe Lofgren come fonte citata più di frequente, contrariamente agli altri giornali. La Lofgren è una delle firmatarie di una proposta di riforma del CFAA, lanciata proprio dopo la morte di Swartz e nota come “Aaron’s Law”.
I risultati della ricerca dimostrano ancora una volta come l’attenzione dei media sulle tematiche “di Internet” non sia ancora completamente soddisfacente.
Nel complesso, i risultati indicano una complessiva mancanza di attenzione continuativa nei confronti di Aaron Swartz da parte dei media analizzati fino alla sua morte, evento tragico che ha invece acceso i riflettori sulla sua persona.
Inoltre, la maggioranza degli articoli analizzati non aveva in Aaron Swartz il suo contenuto principale ma, al contrario lo citava in riferimento ad altri temi o questioni attinenti al web e all’attivismo. I risultati della ricerca dimostrano ancora una volta come l’attenzione dei media sulle tematiche “di Internet” non sia ancora completamente soddisfacente, un elemento già emerso di recente da una ricerca svolta sulla crittografia e la sua copertura da parte dei media e in generale da quanto prodotto nei confronti dei whistleblower.
Fatta esclusione per le testate americane, che hanno visto nel caso legale di Swartz un taglio nazionale rilevante, si può concludere che l’attenzione dei media nei confronti di Aaron Swartz sia stata mossa principalmente dalla sua tragica morte e non dalle sue attività in vita.
A mancare, in particolare, è stata un’attenzione più sistematica sul processo e alle accuse cui Swartz era esposto. È avvenuto, ma solo post-mortem, in particolare sulle testate tech con il dibattito sulla riforma del CFAA, forse una delle eredità più importanti lasciate da Aaron Swartz.