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I Minus the Bear stanno tornando, e quindi li abbiamo intervistati


Fotografia di Shervin Lainez


C’è un buon motivo per cui è da un bel po’ di tempo che non avete notizie dei Minus the Bear. Dopo aver pubblicato Infinity Overhead nel 2012, lo storico gruppo math rock di Seattle è cambiato profondamente—sia a livello personale (vedi alla voce “qualcuno è diventato padre”) che professionale (la decisione di cambiare etichetta e management). Spesso la linea che divide queste due categorie è decisamente sottile, come nel caso del loro batterista originale, Erin Tate, che ha deciso di lasciare il gruppo nel 2015 per essere sostituito da Kiefer Matthias.

Tenendo tutto questo in conto, non dovrebbe essere una sorpresa il fatto che VOIDS—il primo album dei Minus the Bear in cinque anni, fuori il 3 marzo—è un disco emotivo, non in chiave particolarmente presa bene. Ma questa dicotomia tra immaginari neri e inventiva a livello compositivo è sempre stato un punto forte del suono dei Minus, e il loro produttore Sam Bell li ha aiutati a incanalare le loro esperienze recenti in un disco che è stato come una terapia collettiva per i membri della band. Ma potete trarre voi delle conclusioni, dato che qua sotto abbiamo in streaming “Invisible”, il loro nuovo singolo.

Se vi interessa sapere come è nato VOIDS, ecco qua sotto la nostra conversazione con il loro frontman Jake Snider e il loro chitarrista Dave Knudson. Ci hanno parlato delle ispirazioni dietro all’album e di cosa significa per loro essere in una band da quindici—bé, ormai sedici—anni.

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Noisey: Registrare VOIDS è stata un’esperienza diversa dal solito, per voi?
Dave Knudson: È stata un’esperienza totalmente differente. Era la prima volta che scrivevamo con un nuovo batterista, e la cosa è stata piuttosto rinvigorente per tutti—per me lo è stato molto. Avevamo già scritto sei, sette canzoni con Erin, il nostro batterista storico, ma le abbiamo scartate tutte cominciando a scrivere da zero. Quindi abbiamo iniziato a ingranare.

Jake Snider: Eravamo praticamente—non direi in pausa, dato che stavamo continuando a lavorare e fare concerti—ma aver ricominciato a scrivere l’album da zero è stato un po’ come ficcare una chiave inglese in mezzo a degli ingranaggi. È passato molto tempo da quando è uscito il nostro ultimo album, e molte delle ragioni hanno a che fare con questo grande cambiamento strutturale nella forma del gruppo. Ci sono voluti mesi per capire che cosa avremmo fatto.

Knudson: Abbiamo praticamente licenziato tutti. Il nostro manager, il nostro business manager… quasi tutti quelli che stavano lavorando per noi tranne il nostro booking agent. Ora abbiamo un nuovo team, e quindi c’è stato un forte cambiamento nel modo in cui la band “funziona”. 

“Invisible” ha molti elementi distintivi che rimandano ai primissimi Minus the Bear. È una cosa che percepite anche voi?
Snider: Penso abbia meno ornamenti di molte cose che abbiamo fatto in passato. È un pezzo molto diretto, per gli standard dei Minus, credo che sia un pezzo potente sia a livello musicale che testuale.

Knudson:
 Ha delle parti di chitarra in tapping e cose così, ma sono d’accordo con Jake: ha in sé l’intento generale dell’album, che è quello di creare momenti e testi davvero memorabili grazie a una produzione attenta e un nostro tentativo di scrivere le parti migliori possibili. Anche se è un po’ più diretto di quello a cui siamo abituati, tiene come riferimento il nostro passato ma ci spinge in una nuova direzione.

Com’è stato lavorare con Kiefer e Sam? Perché storicamente i Minus the Bear hanno lavorato con un circolo piuttosto ristretto di collaboratori.
Snider: Kiefer aveva un’idea molto aperta sul modo in cui avremmo fatto suonare la batteria: non aveva un’identità da difendere e portare su disco, era molto malleabile, il che è stato fantastico. Lavorare con Sam è stata una rivelazione, dato che non viene dal nostro background—ora sì, lo abbiamo adottato e lo abbiamo obbligato a trasferirsi a Seattle. [Ride.] Ma inizialmente sentire quello che aveva da dire sul nostro nuovo album senza preconcetti dati dall’aver partecipato ai nostri album precedenti è stato illuminante. Il suo modo di vedere il gruppo ci ha aiutati a creare un album che probabilmente non avremmo scritto, fossimo stati solo noi in una stanza coi nostri amici.

Knudson: Avevamo un sacco di materiale, tra l’altro. Prima di entrare in studio avevamo quasi quaranta parti su cui lavorare, alla fine abbiamo abbozzato diciannove o venti pezzi e li abbiamo limati fino ad arrivare ai dieci che abbiamo sull’album. È stata una delle cose più difficili, dato che ne avevamo quindici che davvero ci piacevano. Tra l’altro c’era molta varietà, quindi Sam è riuscito a trovare un po’ tutti gli angoli che ci rendono quelli che siamo per poter trovare i nostri momenti migliori.

La copertina di VOIDS

La band è nata nel 2001, e non è assurdo? Ve lo chiedo perché penso sempre a voi come “il nuovo gruppo” di ex membri di Botch e Sharks Keep Moving.
Snider: La parte più strana dell’essere in un gruppo per quindici anni è il fatto che sembra essere ugualmente difficile riuscire a far sentire le tue cose. Devi provarci come ci provavi all’inizio, e lavorare allo stesso modo. Quindici anni sono tanti, cazzo, ma non mi sembrano davvero quindici anni, e credo valga lo stesso per Dave. Siamo ancora la stessa band, in cerca di bei concerti da suonare. I Minus hanno ancora una mentalità un po’ vecchia scuola su come funzionano le cose, ci sta che tu ci abbia chiesto una cosa simile, dato che ci siamo chiesti, “Dov’è andato a finire tutto questo tempo?” 

Knudson: Negli ultimi anni ci sono stati momenti in cui tutti abbiamo pensato a qualcosa di simile, e ne parliamo nel primo pezzo del disco. Non so esattamente se è quello che Jake intendeva, ma quando l’ho sentito cantare “Tutti vogliono andarsene” su “Last Kiss” mi sono sentito davvero coinvolto. Ci sono stati momenti in cui tutti volevamo solo farla finita. In un certo senso VOIDS mi sembra il lavoro di una nuova band, dati i cambiamenti di cui sopra e una sorta di nuova infusione di energia e presa bene attorno a noi. Prima ci sentivamo quasi sul nostro letto di morte, e ora ci sembra di stare risorgendo.

Nonostante questo, VOIDS è un album piuttosto pessimista e dai toni scuri. Che cosa vi ha dato la forza di non arrendervi durante quei momenti di difficoltà?
Snider: Penso che la parola giusta sia “audacia”. Ci sono molti motivi per cui questa carriera non è l’opzione migliore. Quando hai certi vuoti nella tua vita, è quello che ti circonda a diventare importante, e devi andare avanti attraverso il vuoto fino a raggiungere la fase successiva. Siamo vecchi, e ci è capitato tutto assieme: figli, membri che se ne vanno, e altre situazioni del cazzo legate ai soldi che stiamo mettendo a posto solo ora. Il nome VOIDS sembra negativo, ma ora i Minus the Bear sono nella loro fase post-vuoto. Dobbiamo però comunque scrivere di quello che abbiamo passato, e quindi ecco perché il disco ha quest’aura.