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Le cose che devono cambiare per far diventare l'Italia un paese decente

Legalizzazione della cannabis, eutanasia, maternità surrogata, reato di tortura: oltre al dibattito ancora acceso sulle unioni civili, in Italia esistono molte altre questioni controverse a cui dovrebbero essere trovate al più presto delle soluzioni.
Vincenzo Ligresti
Milan, IT

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Come ha dimostrato lo sviluppo e il dibattito del ddl Cirinnà nei giorni scorsi, in Italia le problematiche sociali prima di venire alla luce—spesso tra l'altro nel modo sbagliato—devono passare attraverso un iter fatto di annunci apparentemente irrealizzabili, controversie e compromessi svilenti, per poi generare quasi unicamente insoddisfazione e indignazione. La tendenza a non prendere decisioni su temi che potrebbero far saltare gli assetti di governo è tanto frequente quanto ormai le condanne della Corte europea dei diritti dell'uomo proprio su questi stessi temi, e anche quando si decide qualcosa, spesso lo si fa più per colmare lacune ed evitare sanzioni che per dare il seguito a iniziative progressiste.

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In tutto questo, qualche giorno fa è uscito il Rapporto annuale di Amnesty International. Dai dati risulta che l'Italia rientra nella lista dei 122 paesi del mondo in cui sono stati violati dei diritti umani imprescindibili (vedi tortura e omofobia) e viene sottolineata ancora la mancanza di un'istituzione nazionale per i diritti umani in conformità ai Principi di Parigi. Dato che le amnesie pubbliche in Italia abbondano, ho quindi deciso di stilare una lista di tutte le tematiche che si sarebbero già dovute affrontare, ma che sono finite nel gorgo dell'immobilità politica.

FECONDAZIONE ETEROLOGA E MATERNITÀ SURROGATA

Manifestanti al Family Day di Roma del 30 gennaio 2016. Foto di Federico Tribbioli.

Ultimamente, come effetto del dibattito sul ddl Cirinnà e sulla stepchild adoption, si è parlato molto di fecondazione eterologa e di "utero in affitto". Nelle ultimissime ore in particolare ci si è concentrati sulla paternità di Nichi Vendola, che con il compagno Ed Testa è volato negli Stati Uniti per il parto del figlio ottenuto grazie alla maternità surrogata di una donna californiana. Un'attenzione mediatica sfociata presto nella polemica e nel cattivo gusto, ma che più di altre nell'ultimo periodo è riuscita a gettare luce sulla necessità di provvedimenti legati a questo tema.

Di fatto, quando un coniuge è sterile, oggi in Italia una coppia può ricorrere al seme o all'ovulo di un donatore esterno senza incorrere in conseguenze penali. Questo è possibile dal settembre del 2014, quando una sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale una parte della legge 40 e sancito che il divieto sulla fecondazione eterologa fosse illegittimo.

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In quello stesso anno tutti i presidenti di regione e provincia hanno approvato le linee guida proposte dal ministro della Salute Lorenzin per uniformare le procedure in tutta Italia, ma una legge nazionale che riuscisse ad inquadrare bene il problema non è stata mai approvata.

Mentre la fecondazione eterologa di fatto non è più un tabù, la surrogazione di maternità è ancora vietata. Per aggirare il problema, però, bastano un biglietto aereo e un conto in banca—soluzione, per altro, neanche molto democratica.

Comunque, dopo tutta la trafila, il genitore etero non biologico potrà diventare genitore legale usufruendo di una legge sulle adozioni che esiste da oltre 30 anni. Il problema si pone, invece, per le coppie omosessuali: la "stepchild adoption" avrebbe dovuto risolvere la quotidianità di migliaia di famiglie già esistenti, ma con l'accordo Pd-Ncd tutto è nuovamente saltato.

L'occasione mancata sulla stepchild, però, non è l'unico risultato prodotto da una maggioranza composta da un partito con più ministri che voti e un altro con più aree interne che esponenti. I "cattodem" e il Nuovo Centrodestra, infatti, starebbero pensando di inserire nelle legge 40 il divieto della pratica di maternità surrogata anche per chi l'effettua all'estero, nonostante questa legge sia stata praticamente smantellata e le sentenze al riguardo vadano nella direzione opposta.

REATO DI OMOFOBIA E TRANSFOBIA

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Cartellone al Family Day del 30 gennaio 2016. Foto di Federico Tribbioli.

Secondo una semplice successione logica, in Italia l'approvazione di una legge che individui e punisca l'omofobia e la transfobia come reati ben definiti sarebbe dovuta arrivare prima di una qualsiasi discussione sulle unioni civili. D'altronde, per la società di oggi la questione è in un certo senso così anacronistica che nessuno (ok, quasi) mette in dubbio che l'omofobia sia classificabile come una forma discriminatoria­.

Ma se da un lato il dibattito è passato oltre, dall'altro non si è capito perché la politica non abbia chiuso questo capitolo. Tra il 2009 e il 2011, ad esempio, la proposta di legge di Paola rimbalzata per ben due volte non appena era approdata alla Camera.

Nel 2013 sembrava che, con il ddl Scalfarotto, fosse finalmente arrivato il momento buono. Ma dopo l'approvazione in commissione giustizia, il ddl è rimasto parcheggiato in aula come un'auto blu di troppo.

Il ddl contro — Giulia Di Vita (@GiuliaDiVita)27 febbraio 2016

Alla fine, dunque, l'Italia si è limitata a recepire solo nel lontano 2003 una direttiva europea che tutela le vittime di abusi derivanti da discriminazioni di tipo sessuale sul luogo di lavoro–come se la giornata fosse composta solo da otto e non da 24 ore. Ecco, sarebbe arrivata l'ora di aggiungere un +16.

LEGALIZZAZIONE DELLA CANNABIS

Manifestazione antiproibizionista a Roma, febbraio 2014. Foto di Federico Tribbioli.

Per otto lunghi anni, la legislazione italiana ha messo sullo stesso piano droghe leggere e droghe pesanti. Il 12 febbraio 2014, però, la Corte Costituzionale ha ritenuto che la Fini-Giovanardi (in vigore dal 2006) potesse servire solo ad incartare il pesce e da allora è tornata in vigore la Iervolino-Vassali. Quest'ultima prevede la detenzione da uno a sei anni per lo spaccio di droghe leggere e—dopo il referendum del 1993—una quantità per uso personale che si attesta intorno ai 500 mg di principio attivo.

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Per quanto riguarda la coltivazione, invece, lo scorso gennaio titoli sensazionalistici avevano preoccupato i Giovanardi di turno per l'approvazione di due decreti del pacchetto depenalizzazioni al riguardo. Peccato che questi interessassero solo gli unici due enti preposti alla produzione a scopo terapeutico—ossia l'Istituto Chimico Farmaceutico Militare di Firenze e il Consiglio della Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura di Rovigo. E a dirla tutta si parla solo di 100 chilogrammi all'anno, e insufficienti al fabbisogno nazionale.

Sul versante legalizzazione, dunque, tutte le speranze—perché qui sempre di speranze si tratta—sono riposte nella proposta di legge presentata nel luglio 2015 dall'Intergruppo Cannabis Legale, e di cui il promotore è il sottosegretario agli esteri Benedetto Della Vedova.

Il ddl—che attualmente è in discussione nelle commissioni congiunte affari sociali e giustizia—cambierebbe un po' tutto, e in meglio: se maggiorenni, potremmo tenerci 15 grammi a casa di cui cinque da portare a spasso; coltivare a scopo personale fino a cinque piante; iscriverci a un Cannabis Social Club; infine, nessuno ci ritirerebbe più la patente, il passaporto o il porto d'armi se regalassimo una modica quantità d'erba al nostro vicino.

Insomma, ormai lo sa pure un bambino: a parte la mafia, ci guadagneremmo tutti–soprattutto lo Stato, che con la legalizzazione potrebbe incassare dai cinque agli otto miliardi di euro all'anno.

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EUTANASIA E SUICIDIO ASSISTITO

Quando si parla di eutanasia in Italia, è inevitabile finire a parlare di casi giudiziari. Per citare i più noti: l'assoluzione di Ezio Forzatti che nel 1998 si introdusse di notte all'Ospedale di Monza per staccare il respiratore a Elana Maroni—sua moglie—ormai in coma irreversibile; il medico Mario Riccio prosciolto per aver interrotto nel 2006 la respirazione a Piergiorgio Welby; e la sentenza che nel 2009, dopo 17 anni di processi, permise l'interruzione dell'alimentazione artificiale di Eluana Englaro.

A distanza di sette anni da quest'ultimo caso, qualcosa a livello politico sembra finalmente muoversi. Lo scorso 13 gennaio il deputato di Sinistra Italiana Arturo Scotto ha dichiarato che—proprio questo marzo—il parlamento inizierà a occuparsi di eutanasia.

Conferenza dei capigruppo calendarizza proposta — Arturo Scotto (@Arturo_Scotto)13 gennaio 2016

Questo significa che le commissioni giustizia e affari sociali dovranno formulare un testo a partire dalla proposta di legge di iniziativa popolare depositata nel settembre 2013, nata dalla campagna Eutanasia Legale promossa dai Radicali e dall'associazione Luca Coscioni. E quindi decidere anche che farne di tutti quei testamenti biologici—compilati in comuni come Milano e Palermo—senza effettivo riscontro a livello giuridico e nazionale.

Se pur faticosamente si sta registrando qualche passo in avanti sull'eutanasia, sul tema del suicidio assistito invece c'è il silenzio più assoluto. Il caso più recente—rimbalzato soprattutto dopo l'ultimo saluto di Emma Bonino e l'auto-denuncia dei Radicali—è quello di Dominique Velati, una donna affetta da un tumore incurabile che aveva scelto di morire in Svizzera.

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Ma il suo non è un caso isolato: la migrazione di italiani con malattie terminali oltre confine è una realtà consolidata, e se l'Italia non è pronta ad arginarla dovrebbe almeno prevenirne gli effetti collaterali. Non è possibile, infatti, che nel 2016 un parente che accompagna semplicemente un proprio caro rischi dai 5 ai 12 anni di carcere—perché per il codice penale italiano rientrerebbe nella fattispecie dell'istigazione al suicidio.

REATO DI TORTURA

Sono passati circa 28 anni da quando l'Italia ha firmato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura nel 1998, ma ancora oggi nessuna legge al riguardo è stata approvata.

Di tortura si è tornati a parlare il 7 aprile scorso, quando la Corte di Strasburgo ha condannato l'Italia per i fatti della scuola Diaz al G8 di Genova del 2001. Per correre ai ripari, in soli tre giorni il Parlamento ha ripescato il disegno di legge del senatore Luigi Manconi (PD)—rimasto fermo per ben 11 mesi—e l'ha approvato con alcune modifiche.

Lo stesso Manconi ha però criticato il testo approvato, perché il reato di tortura è stato classificato come "reato comune." La convenzione dell'ONU, tuttavia, parla di "reato proprio" imputabile ai pubblici uffici e che "deriva da un abuso di potere commesso da chi, eccedendo i limiti dell'autorità legalmente detenuta, compia atti illegali e infligga pene e maltrattamenti inumani."

Seppur gli emendamenti—accompagnati dalle continue proteste dei sindacati di polizia—abbiano di fatto svuotato di significato la proposta, da quasi un anno la legge è nuovamente impantanata in Senato; e se non verrà discussa nuovamente, sembra proprio che nuove sanzioni non ce le possa togliere proprio nessuno.

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