La “marcia delle periferie” sul Campidoglio, 15 novembre 2014. Foto di Niccolò Berretta.
Durante la campagna elettorale, ogni volta che Ignazio Marino urlava “Daje”—lo slogan della sua candidatura a sindaco—qualche romano storceva il naso. L’effetto era sempre un po’ straniante, tipo “ma questo qui cosa c’è venuto a fare.” Un marziano a Roma, l’aveva definito il suo sfidante, Gianni Alemanno.
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Adesso Marino sembra essere la causa di ogni male della città, dai problemi più recenti a quelli più atavici. Non passa giorno senza che riceva critiche, debba scusarsi per brutte figure, giustificare provvedimenti e decisioni, fronteggiare proteste (persino dei suoi stessi dipendenti).
Il gradimento è talmente basso che il sindaco—per la prima volta—non sarà invitato alla cerimonia di accensione delle luminarie natalizie in via Condotti. “Sembra che tutta la città sia contro di lui. Non vorrei fosse necessario l’intervento della polizia per proteggerlo,” ha detto Gianni Battistoni, presidente dell’associazione Via Condotti. Nel frattempo su Facebook la pagina Mandiamo a casa Ignazio Marino continua a crescere (oltre 15.600 fan) e in questi mesi il sindaco si è guadagnato una sfilza di soprannomi e sfottò: “l’allegro chirurgo,” “sotto-Marino,” “Marino sturace er tombino.”
Eppure, solo un anno e mezzo fa la situazione era molto diversa. A giugno del 2013 il medico genovese viene eletto sindaco della Capitale, battendo al ballottaggio l’uscente Alemanno con un plebiscito di 63,97 percento contro 36,07 percento. “Spero che nei prossimi anni Roma possa essere orgogliosa di me, lo spero davvero,” aveva detto mentre salutava i suoi sostenitori riuniti nel Tempio di Adriano. “Missione compiuta. Roma è salva,” aveva twittato il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.
Due giorni dopo, il neo sindaco si era recato sorridente in bicicletta in Campidoglio per l’insediamento ufficiale. Quell’ossessione per le due ruote veniva guardata dai compagni di partito quasi con tenerezza, come un vezzo tutto sommato carino dell’uomo “di rottura”, così “estraneo” alle logiche della politica (e forse troppo).
“Roma è stata davvero salvata da una vittoria limpida e senza ombre,” aveva commentato l’allora coordinatore della segreteria regionale del Partito Democratico Francesco D’Ausilio, che aveva parlato di Marino come “un vento nuovo” con cui ripartire, “tutto quello che serviva a Roma”.
Chiusura della campagna elettorale di Ignazio Marino in piazza San Giovanni, maggio 2013. Foto di Federico Tribbioli.
Nonostante il dato dell’astensionismo (più del 50 percento), tutto il PD sembrava euforico della vittoria, celebrata pubblicando sul sito la foto dei saluti fascisti in Campidoglio dopo l’elezione di Alemanno con la scritta giallo rossa “Bella ciao” e l’hashtag #ciaogianni. Erano tutti con Ignazio, che aveva sbaragliato ogni avversario: oltre alla schiacciante vittoria contro il sindaco uscente, Marino aveva battuto alle primarie con il 54,58 percento dei voti il più famoso e televisivo David Sassoli—che aveva preso meno della metà dei voti—e staccato di netto l’attuale ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.
Anche sugli autobus e sui mezzi pubblici non si parlava d’altro: Gianni ha fatto male, speriamo in Ignazio, “sembra tanto una brava persona”.
Questi primi 17 mesi di Campidoglio si sono rivelati per il sindaco un incubo a occhi aperti. Il crollo dei consensi è stato notevole: un recente sondaggio pubblicato su Repubblica lo scorso ottobre ha indicato come solo il 20 percento dei romani appoggi ancora Marino che, per il 40 percento dei votanti è peggio di Alemanno. Stessi risultati anche per il lavoro della sua giunta, con un gradimento del 16 percento. Un disastro, insomma.
Più preoccupante del sondaggio in sé, però, forse risulta la sua origine. L’indagine è stata commissionata alla società Swg in gran segreto da D’Ausilio, diventato nel frattempo capogruppo del Partito Democratico in Campidoglio, e subito dopo dimesso. In un mondo normale sembrerebbe quasi che il PD si sia preso a schiaffi da solo. Probabilmente, invece, questa è solo l’ennesima dimostrazione di come quello che doveva essere “il sindaco di tutti” sia stato lasciato da solo anche dalla sua maggioranza.
I primi problemi per Marino sono arrivati quasi subito, quando ha dato il via a quello che era uno dei suoi cavalli di battaglia: la pedonalizzazione dei Fori Imperiali. L’idea di liberare dal traffico ciò che in teoria sarebbe uno dei più importanti parchi archeologici esistenti non è piaciuta ai commercianti e residenti, che si sono lamentati di non essere stati consultati. Il sindaco è andato avanti, facendosi i primi nemici. Così come in seguito ha fatto con la chiusura ad auto e moto del Tridente, mettendosi contro automobilisti e motociclisti.
Ignazio Marino all’inaugurazione di un tratto della metro C. Foto via Facebook.
Altre rogne per il sindaco sono stati i tagli alle linee bus; la metro C, iniziata molto più di un anno fa e finalmente inaugurata il 9 novembre tra veleni, interruzioni e problemi; il nubifragio dello scorso gennaio che ha causato grossi danni alla Capitale e la “bomba d’acqua” di un mese fa, annunciata e mai arrivata. Proprio in quest’ultima occasione sono piovute critiche pesantissime dai cittadini e dall’opposizione (anche da Alemanno, che buon senso avrebbe voluto tacesse visto che sarà ricordato come il sindaco spalaneve).
Lo scorso 18 ottobre Marino ha proceduto alla trascrizione in Campidoglio di 16 matrimoni omosessuali celebrati all’estero, provocando un vespaio di reazioni su tutti i fronti. E naturalmente ci sono anche le periferie, con la manifestazione in centro—cui ne stanno seguendo altre—dei comitati di quartiere dopo i fatti di Tor Sapienza dietro lo striscione “Basta Marino, no immigrazione.”
Per non parlare di quante volte è stato scavalcato. È successo praticamente in tutti i grandi casi di sgombero dell’ultimo anno e mezzo: dall’Angelo Mai al Cinema America, fino ad alcune occupazioni abitative. Interpellato, il sindaco ha sempre risposto: “Non ne sapevo nulla.”
In mezzo a tutto questo ci sono pure leggerezze e gaffe, come quando si è lanciato in aeroporto sulla pista per salutare Obama in visita a Roma, o ha detto in radio di essere “fortemente attratto dalle sostanze stupefacenti.”
Nelle ultime settimane è circolata la voce dimissioni a causa di quello che è stato denominato il Pandagate, una vicenda di multe e permessi riguardanti una Panda rossa (già al centro di un altra polemica per essere rimasta parcheggiata nell’area di sosta riservata del Senato) di proprietà del sindaco. A Marino sono state contestate nove multe non pagate—e in qualche modo sospese—riguardanti altrettanti accessi senza permesso nella Ztl del centro storico.
Il caso, che è stato sollevato dal senatore del Nuovo Centrodestra Andrea Augello, è diventato subito intricatissimo: Marino ha in un primo momento smentito facendo sapere di aver ricevuto un pass temporaneo, poi, attraverso un videomessaggio, ha annunciato di aver presentato una denuncia ai carabinieri perché i suoi dati sarebbero stati manomessi da un hacker che avrebbe cancellato il permesso dal sistema. Alla fine, invece, pare che si sia trattata di una disattenzione e un ritardo nella richiesta del pass da parte dell’amministrazione. In particolare la colpa sarebbe del capo di Gabinetto, Luigi Fucito, uno stretto collaboratore di Marino che gli aveva già creato qualche problema in passato.
Foto di Niccolò Berretta.
Mentre si delineava la questione, l’opposizione ha organizzato proteste e manifestazioni per chiedere le dimissioni del sindaco, noleggiando anche una Panda rossa e inscenando un corteo di motorini sventolando cartelli “Daje contro i romani”. Marino è poi venuto a dare spiegazioni in Consiglio comunale, accolto da grida, “Te ne devi andare”, gente vestita da clown, striscioni e interventi al vetriolo dei consiglieri che gli hanno letteralmente detto di tutto. “Sul caso multe ci metto la faccia e le ho pagate anche se non dovevo,” ha spiegato il sindaco, che ha anche ammesso che “ci sono tanti poteri e tanti interessi che non gradiscono il lavoro che stiamo facendo.”
In tutto questo il PD—che durante il discorso di Marino è rimasto piuttosto freddino, con timidi applausi mentre intorno si scatenava l’inferno—ha imposto al sindaco un cambio di giunta altrimenti “si va a casa.” La decisione è avvenuta durante una riunione del partito, mentre Marino si avventurava a Tor Sapienza contestato da una folla di residenti inferociti che fischiava e gridava “buffone.”
A scaricare Ignazio sono stati praticamente tutti. Goffredo Bettini, ex coordinatore PD e sostenitore della candidatura del medico, si è affrettato a dire che, sì, l’ha indicato lui ma dopo una scelta del partito nazionale (in un momento in cui, tra l’altro, la segreteria romana versava nel marasma più totale).
Nel frattempo, corteggiato un po’ da destra, un po’ da sinistra, Alfio Marchini—candidato sindaco nel 2013 con una sua lista—ha già iniziato la sua campagna elettorale. Grazie al suo alter ego Arfio, Marchini è riuscito a sopravvivere politicamente a questo anno e mezzo e sta già tappezzando dei suoi famosi cuori rossi mezza Roma.
Decisioni impopolari e figuracce a parte, ci sono un paio di provvedimenti presi praticamente in solitaria da Marino che potrebbero aver fatto storcere il naso a molti e contribuito a questa situazione.
Ad esempio la chiusura della discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa, costata all’Italia una procedura d’infrazione dalla Commissione europea. La fine di Malagrotta ha comportato anche quella di tutti gli interessi che gravitavano intorno alla “buca”—come l’ha definita Marino—e del suo proprietario Manlio Cerroni, il “re della monnezza”, fino a quel momento coccolato dalle amministrazioni. Quasi contemporaneamente le strade della Capitale si sono riempite di spazzatura. Si è parlato di boicottaggio e di quanti sul “sistema Malagrotta” campavano allegramente. Anche in questo caso le colpe della sporcizia sono state fatte ricadere sul sindaco, in un improvviso interesse globale per il decoro della città.
Marino durante le trascrizioni delle nozze gay in Campidoglio. Foto via Facebook.
Un altro problema per il sindaco può esser stato causato dai cattivi rapporti con Francesco Gaetano Caltagirone, costruttore di un certo peso nella Capitale e proprietario del Messaggero—che non è mai stato tenero con Marino, anzi. Caltagirone potrebbe non aver gradito l’affidamento della costruzione del nuovo stadio della Roma a un altro imprenditore o la riduzione del suo peso nel Consiglio d’amministrazione di Acea, la società che gestisce l’acqua a Roma.
Poi c’è stato lo stop alle assunzioni a tempo indeterminato nelle municipalizzate del Comune e il taglio delle partecipate dove, dopo la parentopoli di Alemanno, chissà quanti sognavano di piazzarsi.
Ce l’hanno con Marino anche i vigili urbani, in protesta contro il comandante Raffaele Clemente per il provvedimento anticorruzione di rotazione degli incarichi sul territorio. Il sindaco si è attirato anche le ire della famiglia Tredicine—che vanta anche un esponente in Consiglio comunale—regina di quasi tutti i caldarrostari e i camion bar della città. Non devono aver gradito i provvedimenti in tema di riduzione della presenza di bancarelle e simili davanti a piazze e monumenti e l’aumento della tariffa per l’occupazione del suolo pubblico. E poi ci sono le correnti del PD, imbestialite per non esser prese in considerazione nelle decisioni che contano.
Foto di Niccolò Berretta.
È quindi possibile che, in maniera un po’ maldestra e senza neanche rendersene troppo conto, Marino abbia pestato piedi a un sistema radicato. Da lì, in una città piena di problemi che si trascinano da decenni come Roma, è stato un attimo aizzare i cittadini e dar loro in pasto un responsabile per i loro disagi. E Marino è semplicemente perfetto: non è romano, è fuori da logiche di partito e interesse, non è bravo nella comunicazione (né nella scelta dei collaboratori) ed è pure abbastanza impacciato.
Probabilmente una delle spiegazioni più lineari della situazione l’ho avuta qualche giorno fa alla fermata dell’autobus, da un signore sulla sessantina che lamentandosi dell’attesa ha bofonchiato rivolgendosi a me: “Quando se ne va sto Marino sarà sempre tardi.”
Dall’alto della mia assidua frequentazione Atac gli fatto notare che comunque i mezzi non passavano neanche prima. Lui mi ha guardata e mi ha detto: “Signorì, se proprio lo vuoi sapere gli autobus non sono passati mai, qui a Roma non funziona niente e se magnano tutto da anni. Ma con qualcuno bisognerà pur prendersela, no?”
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