Farsi quattro chiacchiere con Jørgen Hoff, casaro e proprietario della Gundestrup (un ibrido tra un birrificio e un caseificio), è un po’ come personificare il detto “avere la botte piena e la moglie ubriaca.” In poche parole, è pazzesco. Parla di formaggi e di fermentazione della birra insieme, e non sono solo parole, perché passa subito ai fatti.
“Il caseificio Gundestrup è nato nel 1888, quindi è piuttosto anziano ormai. Ma si difende bene!” esordisce Jørgen. “È il più bello che ci sia. Io sono un casaro di Kirkeby. Ho comprato il Gundestrup nel 2007, che ora è il primo caseificio-birrificio al mondo.”
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Eccomi quindi in un caseificio dall’aspetto piuttosto rustico a Vester Skerninge, nel sud della Fiona, dove l’odore dei prodotti caseari si unisce a quello delle stufe fumanti, ed è decisamente facile prendere per buone le parole di Jørgen sui suoi prodotti. Tuttavia, non possiamo non menzionare la Bruny Island Cheese Co. (situata nella Bruny Island, lungo la costa sud-orientale della Tasmania), come uno degli esempi internazionali di caseificio-birrificio più prestigiosi. Nonostante questo, comunque, il Gundestrup rimane effettivamente una rarità unica nel suo genere.
Una delle sfide più grandi dell’essere un casaro è riuscire a sbarazzarsi del siero di latte avanzato durante la produzione del formaggio. In moltissimo posti, inclusa la Løgismose (una nota azienda danese), il siero di latte viene spedito a un impianto locale ed ecologico di biogas. Qui al Gundestrup, però, hanno trovato un’altra soluzione.
“Il siero di latte contiene un sacco di sostanze nutritive e di lattosio. Ha un buon sapore ed è fresco. Per questo preferirei farci altro anziché buttarlo o darlo in pasto ai maiali,” continua Jørgen. “La percentuale di zuccheri nel siero di latte è del 4,6%, quindi sono andato alla ricerca di un tipo di lievito che potesse convertirlo in alcol. Poi ne abbiamo proprio inventato uno noi che riesce a farci ricavare il 2% di alcol, mantenendo freschezza e aroma. È con quello che produciamo la Valle’s Bock e la Valle’s Ale.”
Dopo una prima visita a Jørgen, mi ritrovo ad assaggiare la Valle’s Bock, una birra Dobbelbock con una percentuale alcolica del 7,5% prodotta dal siero di latte ricavato dal loro formaggio Svendbo. A un primo sorso, la Valle’s Bock presenta un aroma piuttosto “fumoso” e con un retrogusto quasi simile alla cenere, ma in un’accezione buona, pungente. Il secondo retrogusto che sale è invece più amarognolo, dolcemente corposo, mentre il terzo rilascia definitivamente l’origine bucolica degli ingredienti, tra note di yogurt e siero di latte. Non possiamo certo dire che questa birra manchi di terroir o personalità.
Mentre parliamo al telefono, decido di menzionare tutte le impressioni scaturite da quel primo assaggio alle Valle’s Bock, e chiedo a Jørgen di descrivermele lui stesso. “Gli aromi di questa birra sono dolci, gentili e rotondi,” risponde inizialmente, prima di ricalcare un po’ la mano decantandone le altre qualità. “Emana proprio odore di freschezza. Ci sono un po’ di note d’agrumi, poi ovviamente quelle del siero. È dolce, ma non troppo.” Secondo lui l’aroma di fumo non è così prominente, e asserisce che, probabilmente, derivi dal malto affumicati nel birrificio. Probabilmente chi non è avvezzo a sentire giornalmente simili odori, l’aroma di fumo è sicuramente percepibile nella Valle’s Bock. Per Jørgen, che è tutto il giorno a contatto con questo tipo di odori, si tratta semplicemente di “sapore di casa.”
L’assortimento del Gundestrup consta di 12 tipi di birre diverse, tutte pensate per essere abbinate a uno dei 22 formaggi del caseificio. C’è di tutto dalla classica pilsner alla stout. Il Gundestrup dispone anche di un orto per i luppoli, dove ne vengono coltivate 9 varietà diverse tutte provenienti dalla Fiona. “Ci sono 3 varietà di luppoli,” spiega Jørgen. “Da amaro, da aroma e infine i luppoli sia da amaro che da aroma. Noi tendiamo a focalizzarci di più sugli ultimi due. Le nostre birre, infatti, riportano solo valori fra i 60 e i 65 IBU.” (Per IBU si intende l’International Bitterness Unit, l’unità utilizzata per misurare l’amarezza della birra. Una IPA è solitamente fra i 40 e i 120, N.d.R.).
Sebbene Jørgen potrebbe rimanere a parlare di birra per ore, la sua formazione primaria rimane quella di casaro e di tecnico specializzato delle produzioni lattiero-casearie. “Sono ormai giunto al mio quarantacinquesimo anno d’età, ed è da quando avevo 15 anni che mi occupo di formaggi. Ho sempre e solo fatto il casaro. No aspetta, una volta, per un weekend, sono stato nella redazione del quotidiano Jyllands-posten, solo che poi ho pensato che fosse una perdita di tempo!”
“ Ero il classico ragazzino che aveva bisogno d’aiuto a mettere la testa a posto. Mio padre mi aveva dato un ultimatum: andare all’ efterskole di Samsø, o iniziare a pescare,” ricorda Jørgen (le efterskole danesi sono delle istituzioni scolastiche, che indirizzano verso specifici percorsi professionali, pensate per i ragazzi fra i 14 to 18, N.d.T). “Io ho scelto la prima opzione, perché pensavo che a Samsø avrei trovato più ragazze. Il mio percorso scolastico mi ha portato al caseificio di Kirkeby nel 1987, dove ho imparato il mestiere, e poi a lavorare al Bov Mejeri di Gråsten. All’età di 19 gestivo già il lavoro di 70 persone. Dopodiché sono passato al Hårby Mejeri, che ho in seguito anche comprato sbancando nel giro di 7 anni, e tramite il quale producevo prodotti anche per la Germania, Polonia e Grecia.”
Ora Jørgen è il proprietario del Gundestrup, che vanta la produzione di 22 formaggi diversi. Qui ha scelto di “rispolverare” i formaggi tradizionali della zona, come il fynbo, lo svendbo e il maribo, che erano finiti sotto l’ala delle denominazioni protette della cosiddetta Convenzione di Stresa (tenutasi nel 1952 in Italia). A oggi, quindi, i formaggi sopracitati possono essere prodotti solamente in alcune località specifiche della Danimarca. Il Gundestrup è anche uno dei pochi caseifici in tutta la nazione a produrre il formaggio affumicato della Fiona. Anche l’associazione non-profit Slow Food “Ark of Taste,” casa di molteplici prelibatezze culinarie tipiche, lo vende.
Jørgen mi mostra quindi il modo migliore per gustarsi un formaggio simile. Posiziona una fetta di formaggio affumicato su di un piccolo biscotto e lo guarnisce con marmellata di more fatta in casa (ma va bene anche il miele!). “Oggi splende il sole su Gundestrup. È estate, finalmente!”.
Quello che deve più caratterizzare un formaggio affumicato, secondo il casaro, è la consistenza. “Dovete poterlo tagliare direttamente su di una fetta di pane di segale. Se ci riuscite, allora vuol dire che è stato prodotto correttamente, seguendo bene tutti i passaggi, e che il siero è stato scolato bene. Il formaggio spalmabile è più facile da fare, ci riuscirebbe anche un idiota.”
Oltre al valore della produzione a mano, anche la nostalgia occupa un posto decisamente speciale fra le mura del Gundestrup. Tutti i formaggi vengono accuditi come dei bambini nel reparto neonatale e, secondo Jørgen “si prendono più pacche nel sedere di mia moglie.” Insomma, non si può negare che al i casari del Gundestrup mettano anima e corpo nella produzione dei formaggi.
“Una volta ho conosciuto un casaro che aveva un cappello appeso al nodo di una corda. Be’, lo utilizzava per mescolare il formaggio, in modo da lasciare la stessa impronta batteriologica su ogni forma. Certo, avrebbe potuto usare utensili in acciaio inossidabile, ma il sapore sarebbe stato poco corposo. Il suo formaggio era uno dei migliori al mondo. Proprio così.”