Un membro della milizia Mai Mai pattuglia il proprio campo. La leggenda narra che i Mai Mai siano dei mutanti in grado di volare e che i proiettili li attraversino come se i loro corpi fossero fatti d’acqua.
Camminare per la giungla, nel bel mezzo della notte, insieme a un gruppo di ribelli ruandesi, conosciuti soprattutto per la loro perizia in fatto di stupro e assassinio, non era esattamente quello che avevamo pianificato per il nostro primo viaggio nella Repubblica Democratica del Congo. Volevamo solo girare un piccolo video sulla polemica riguardo i cosiddetti minerali del conflitto, quelli che fanno funzionare i nostri cellulari, buttare lì un paio di riferimenti a Conrad e bere una Primus. Solo una Primus.
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Una settimana prima, la nostra squadra era atterrata all’aereoporto internazionale N’Djili nella capitale Kishasa, già Leopoldville. Sembra che nessuno abbia dato una ripulita a quel posto da quando Mohamed Ali ci è passato per il “Rumble in the Jungle” (vedi George Foreman vs Mohamed Ali), nei primi anni ’70. Dopo che il nostro certificato per la febbre gialla è stato controllato, per la prima volta nelle nostre vite di viaggiatori navigati, siamo finiti nelle grinfie di agenti di polizia sudaticci e altri ufficiali—ognuno con la sua lista di infrazioni che, evidentemente, avevamo già commesso. Per una straordinaria botta di fortuna erano disposti a passare sopra tutte quelle violazioni a prezzo di una piccola multa, pagabile personalmente a loro.
Siamo venuti in Congo per sapere di più della sete, del mondo sviluppato, del coltan, della cassiterite, e di tutti gli altri minerali dai nomi colorati che fanno girare l’industria elettronica. Fanno parte di un gruppo di risorse naturali che sono state soprannominate “minerali del conflitto”, per la zuppa alfabetica di gruppi armati (FARDC, CNDP, FDLR, PARECP, etc.) che hanno scoperto in essi un modo comodo e altamente proficuo di finanziare le proprie attività—che fondametalmente consistono nell’uccidere gente. Dal 1996, queste insurrezioni hanno portato alla morte di più di 5 milioni di persone e, in un anno particolarmente orribile—il 2002—lo stupro di circa 400.000 donne.
Dopo aver del tutto rinunciato all’illusione di rivedere il nostro bagaglio, ci siamo infilati nelle strade di Kinshasa. La città è probabilmente la cosa più simile a un’apocalisse di zombie—un panorama di un caldo oppressivo, polveroso e decrepito, dove tra i 7 e i 10 milioni di persone cercano di sbarcare il lunario in ogni modo. Che sia vendendo sacchetti di plastica annodati pieni d’acqua alle migliaia di persone imbottigliate nell’infinito ingorgo delle le strade dissestate, o con occasionali imboscate alla gente di fuori città abbastanza stupida da andarsene in giro da sola.
Era difficile non farsi innervosire dalla povertà devastante: amputati, baraccopoli e battone dietro ogni angolo. Ci chiedevamo: “Come cazzo fa un posto del genere ad arrivare ad essere un posto del genere?” Si può davvero dare tutta la colpa al “colonialismo” come una matricola di antropologia coi dread? In questo caso… forse si può.
Nel 1885, Leopoldo II di Belgio fondò lo Stato Libero del Congo, un piccolo progetto che prevedeva di spogliare il Congo delle sue risorse naturali tanto velocemente quanto fosse umanamente possibile. In realtà, al re piaceva che le cose venissero fatte più in fretta di quanto fosse umanamente possibile e motivava la sua forza lavoro tagliando loro le mani. Fortunatamente per Leo, la sua avventura in Congo venne a coincidere con l’avvento dell’automobile, il che significava che le fabbriche reclamavano le abbondanti scorte di gomma del Congo. Riuscì a diventare molto ricco, mentre la popolazione dimezzava, ma presto un gruppo di belgi più civili mise le briglia alle attività imprenditoriali del re e mandò avanti il Congo come una colonia di cui sentivano di poter essere fieri. E perchè non avrebbero dovuto? Quando il Congo faceva i suoi primi passi come nazione indipendente, nel 1960, i belgi avevano lasciato il paese con 16 laureati, un esercito di 25.000 truppe di fanteria, e metà popolazione analfabeta.
Dopo aver passato alcuni giorni nel nostro stesso puzzo, le nostre borse sono finalmente arrivate e abbiamo potuto iniziare il nostro viaggio sul serio. Sapevamo molto poco del Congo prima di arrivare, ma l’unica cosa con cui ci avevano trapanato il cervello era “non volate su compagnie congolesi“. La saggezza popolare dice che tra i malconci aerei russi e i loro piloti russi ubriachi e i coccodrilli che ci sono ogni tanto nella cappelliera, se voli con una compagnia congolese, morirai. Ma cos’altro potevamo fare? Camminare? È un paese grande quanto l’Europa occidentale, con le infrastrutture della West Virginia rurale. Come scoprimmo in seguito, il nostro volo sulla Congolese Airline sarebe stata l’esperienza più confortevole di tutti i giorni a seguire.
Quando siamo arrivati a Goma, capoluogo della provincia di Kivu Nord, l’atmosfera era decisamente migliore rispetto a Kinshasa: il tempo era più clemente e l’aria più pulita e stavamo lavorando con un coraggioso e brillante faccendiere congolese di nome Horeb e il fotografo veterano del conflitto, Tim Freccia. Dato che non eravamo preparati all’eventualità del freddo in Congo, siamo andati in alcuni negozi di vestiti di seconda mano a Goma (sembrava che non ci fosse nessun negozio di vestiti nuovi, lì), pieni di abiti degli ultimi decenni. Abbiamo intrapreso il nostro viaggio sulle montagne alleggeriti di qualche dollaro e più ricchi di una giacca contraffatta della Wu Wear.
La nostra squadra sì è stipata in una Land Cruiser ed è passata roboando attraverso la città mineraria di Numbi nel Kivu Sud. Ci era stato detto che quelle attorno a Numbi erano un buon esempio di miniere libere dal conflitto: controllate dal governo, nessun ribelle in vista.
Quando siamo arrivati alla miniera, seguiti da alcune guardie governative locali, non si vedevano ribelli, in effetti. E nemmeno truppe del governo, da nessuna parte. Niente bambini lavoratori, nemmeno. In realtà, non c’erano lavoratori di alcuni tipo—era vuota. Evidentemente, l’improvvisa preoccupazione dell’occidente per il mercato dei minerali del Congo ha impaurito la gente dei paraggi. Un provvedimento della Dodd-Frank Wall Street Reform e del Consumer Protection Act, firmato come legge dal presidente Barack Obama nel 2010, richiede alle compagnie americane di rendere pubblici i propri utilizzi dei “minerali del conflitto”, che è come chiedere loro se picchiano ancora le loro mogli. In previsione dell’applicazione delle nuove regole, le grandi corporazioni hanno semplicemente evitato del tutto di comprare minerali dal Congo. Le vendite congolesi di stagno minerale—usato per saldare le schede dei circuiti—è scesa di più del 90 percento solo a maggio.
Abbiamo deciso di abbandonare le nostre guardie e dare un’occhiata ad un sito attivo, passando la notte a Numbi e sgattaiolando fuori all’alba. Quindi, abbiamo dovuto arrampicarci su un altipiano, inospitale per gente di città. Mentre cercavamo di non vomitare, ci chiedevamo se fosse davvero necessario vedere personalmente da dove viene il coltan.
Dopo aver raggiunto la cima, abbiamo abbassato lo sguardo su una scena scioccantemente incivile—lavoratori che brandivano picconi e pale che setacciavano il terreno con mani callose. È una cosa che chiamano “miniera artigianale”, così finisce per avere l’aria di lavoro di artigiani con la puzza sotto il naso che si impomatano i baffi. In realtà, si tratta di una manciata di tizi incrostati di fango, con le galosce, che frantumano la terra a tre dollari al giorno. Se sono fortunati.
Questo significa fare il minatore nel Congo orientale in una buona giornata, quando il paese è apparentemente in pace. Se dovesse scoppiare di nuovo il conflitto, le condizioni passerebbero rapidamente da primitive a barbare, visto che gruppi di uomini armati, parecchio patrioti e con forti interessi nei minerali, continuano a muoversi nell’area.
Per il momento, questi gruppi ribelli sono stati respinti nelle profondità dei cespugli e sono tenuti a bada da operazioni militari congiunte, condotte dalle Nazioni unite e dalle FARDC—le forze armate sottopagate e sottorganizzate del Congo.
Naturalmente, dopo aver sentito tanto su questi gruppi armati e su come la nostra dipendenza da twitter stava in qualche modo autorizzando le loro tendenze omicide, volevamo incontrarli. Quindi Horeb e Tim hanno fatto qualche chiamata e sono riusciti a entrare in contatto con un gruppo Mai Mai nel Kivu Nord, conosciuto come L’alleanza patriottica per il Congo libero e sovrano (APCLS), guidata dal generale Janvier Buingo Karairi. Il termine Mai Mai è un eufemismo per cui si intende un vasto assortimento di milizie locali che hanno terrorizzato la regione nel decennio passato, accusate frequentemente (ma raramente per questo condannate) di impiegare soldati bambini, massacrare e stuprare i civili nel “triangolo della morte” del Katanga. I Mai Mai dichiarano di avere poteri sovraumani, dicono che i proiettili attraversano i loro corpi come fossero acqua, e che, se la situazione lo richiede, possono trasformarsi in animali. Sono la versione guerriglia-africana dei gemelli del destino.
L’idea di inoltrarci nella densa giungla congolese, alla ricerca di Mai Mai superpotenti, era sufficientemente terrificante senza che le truppe locali dell’ONU alzassero la posta, chiedendoci di scrivere le nostre informazioni personali, il nostro numero di passaporto, nello specifico. Era, insistevano, “solo una formalità”—che avrebbe permesso ai funzionari dell’ambasciata americana di sapere dove ritirare i nostri cadaveri mutilati.
Posare per la macchina fotografica secondo i Mai Mai.
In Africa, devi stare attento a quello che chiedi. Mentre ci facevamo strada attraverso la giungla umida, in quella che abbiamo subito percepito come la nostra marcia mortuaria di Bataan, abbiamo incontrato—ve lo stavate chiedendo—un gruppo di uomini armati. Quando fu chiarito che il nostro faccendiere coraggioso e il suo interlocutore armato parlavano ognuno una lingua diversa, abbiamo realizzato che quei tizi non erano della milizia locale che stavamo cercando di localizzare, ma membri del FDLR, un gruppo di ribelli Hutu ruandesi lontani da casa.
Siamo rimasti nei paraggi cercando di comportarci in maniera disinvolta, evitando il contatto visivo con un gruppo di soldati che sembravano troppo giovani per ricordare il genocidio ruandese del 1994, su cui il gruppo era stato costruito. Nel frattempo, uno di loro ha trasmesso via radio alle truppe Hutu al campo in fondo alla strada di permetterci un attraversamento sicuro del loro territorio—e di ispezionare un gruppo di guerriglieri che, avremmo pensato, erano dichiarati nemici del FDLR.
Le cose non si sono per nulla chiarite quando abbiamo finalmente incontrato i Mai Mai e ci siamo seduti col generale Janvier. Una delle sue pretese principali è che tutti i ruandesi abbandonino il suolo congolese immediatamente. Allora perché le truppe ruandesi del FDLR ci hanno scortati al suo accampamento? Cosa ne pensa il segretario ruandese del generale Janvier? Potrete trovarlo strano, ma, una volta seduti in mezzo agli uomini di Janvier… be’, non ce la sentivamo molto di fare quelle domande.
—delle truppe congolesi governative che si aggiravano nel loro territorio. I Mai Mai volevano dimostrare quanto umanamente erano stati trattati i prigionieri durante la prigionia.
Il co-fondatore di VICE Suroosh Alvi ha chiesto al generale Janvier cosa pensava della dipendenza del mondo dagli apparecchi elettronici—e, necessariamente, dal coltan. Il generale, all’inizio, era schietto e chiaro e ha detto che la media dei cittadini congolesi non beneficia dell’estrazione dei minerali, che era “una delle ragioni per cui stiamo lottando”. Sembrava sottointendere che se i Mai Mai avessero controllato le miniere, avrebbero ridistribuito le ricchezze. Ma, quando gli è stato chiesto di sviluppare l’argomento, si è fatto evasivo, dicendo che i minerali “potrebbero essere qui intorno…ma noi non li estraiamo” negando decisamente che i suoi combattenti abbiano un qualche interesse nel commercio dei minerali.
Il Congo è un posto complicato, ma non così complicato da darlo per spacciato. È facile collegare i problemi del paese al passato—il colonialismo belga, i dominatori cleptocratici e le recriminazioni con le nazioni vicine—ma questo non ne fa sparire nessuno. Forse, se esigessimo un elettronica libera dal conflitto, i gruppi ribelli si dissolverebbero semplicemente nella giungla, o magari otterremmo solo di rendere in paese più povero al mondo ancora un po’ più povero.
Tenete gli occhi aperti, nelle prossime settimane, la Guida al Congo di VICE su VBS.TV.
Il cofondatore di VICE, Suroosh Alvi, considera se tornare indietro prima di trovare il coraggio di attraversare un “ponte”, costruito di canne di bamboo e rampicanti, che porta al fortino Mai Mai.
DI JASON MOJICA – FOTO DI TIM FRECCIA