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Il Ministro Franceschini vuole “obbligare Netflix a dare più visibilità ai film italiani”

Avete anche voi l’impressione che la qualità media di film e serie TV prodotti da Netflix stia calando ultimamente? Qualcosa si salva, ma gran parte delle produzioni riescono a sopravvivere solamente per qualche puntata prima che lo spettatore medio (ovvero: io) le abbandoni. Il risultato è che ora Netflix dispone di una homepage ben poco navigabile e che costringe gli utenti a rimanere incastrati in decine di produzioni estere per niente invitanti.

Sapete chi altro ha pensato a questa cosa? Il Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, che in un’intervista rilasciata a La Stampa pochi giorni fa ha affermato, tra le altre cose, che “Anche Netflix o altre piattaforme come Amazon Prime avranno gli stessi obblighi […] stiamo pensando a meccanismi per assicurare la visibilità di serie e film italiani.” Pacato come piace a noi.

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L’intervento del Ministro è contenuto in un’intervista il cui tema principale è la manovra di detassazione salva-librerie, un potenziale tax credit pensato per aiutare le piccole librerie a sopportare l’impatto della diffusione della grande distribuzione online così da preservare “l’insieme [di] identità e bellezza immateriale” che rappresentano, spiega Franceschini a La Stampa.

Il quadro riassuntivo del decreto cinema.

Questa manovra non si scosterebbe molto, nelle intenzioni, da quanto accaduto nel mondo del cinema e dell’intrattenimento, dove a inizio ottobre è stato varato un decreto legislativo che obbligherà tutte le emittenti televisive ad incrementare gradualmente la quota di produzioni italiane ed europee in onda sui canali. Al tempo il decreto era stato criticato dalle stesse emittenti, che avevano messo in dubbio la lungimiranza della manovra che avrebbe prodotto costi — sebbene le stime non siano state validate — tra gli 1.2 e gli 1.3 miliardi di euro nel 2019, rispetto ai 750 milioni del 2015.

Se la preoccupazione più grossa delle emittenti italiane è di perdere competitività a favore di servizi come Netflix e Amazon Prime Video, però, Franceschini assicura che “Netflix avrà quote di programmazione e obblighi di investimento come le tv tradizionali,” spiega a La Stampa. “Stiamo lavorando su diverse ipotesi per costringere anche tutte le piattaforme online a valorizzare prodotti italiani, su home page, menu, banner.” Se sulla carta l’idea è tutto sommato ragionevole al fine di garantire un mercato equo e libero per tutti, la pratica è un po’ più complessa.

Quella di Franceschini è la solita storia (purtroppo) di uno stato nazionale che si vuole imporre su una piattaforma virtuale con sede legale in un altro stato nazionale ma con una sfera di influenza globale e pesantemente de-regolarizzata. Le dinamiche che possono guidare questo tipo di manovre si scontrano spesso e volentieri con una gincana legale che fa rimbalzare richieste e provvedimenti in uffici e stati di mezzo mondo e che porta inevitabilmente ad esaurire l’efficacia del provvedimento nel tragitto burocratico che deve compiere prima di arrivare a destinazione: una forma di violenza strutturale in tutto e per tutto.

Ma le criticità della faccenda non riguardano soltanto i cavilli burocratici: nell’era delle piattaforme digitali globali, verificare da che lato debba pendere l’ago della bilancia in dispute di questo tipo richiede una riflessione etica e di mercato che va ben al di là delle pratiche legali e che pretende necessariamente un progressivo cambio di paradigma nel concepimento dell’erogazione di questi servizi.

Sebbene la proposta di Franceschini sia ragionevole nell’ottica di tutelare e supportare la produzione italiana nel cinema e nell’intrattenimento, la domanda politica che dovrebbe cominciare a essere messa in discussione riguarda la radice stessa del problema: oggi che servizi come Netflix o Amazon Prime Video si stanno trasformando in vere e proprie forze politiche in grado di influenzare interi settori dell’economia di un paese, vale ancora la pena scontrarsi con loro a livello nazionale?

“È un tema sacrosanto ma è difficile affrontarlo su base nazionale,” spiega Franceschini a La Stampa. “Stiamo spingendo a intervenire a livello europeo, l’anomalia nella concorrenza è nella distribuzione. Gli editori fanno diversi sconti, a seconda se sei piccola libreria o grande distribuzione. Amazon impone agli editori prezzi ancora più scontati. Non è molto semplice interferire in un mercato tra privati.” Se la direzione è quella di costituire fronti di carattere maggiormente continentale, di certo c’è che l’Unione Europea è in prima linea.