Música

Incazzarsi per Rovazzi è come prendersela col Pulcino Pio

Non credo sia più possibile—a meno che non ci si voglia fare violenza volontaria o si vada in vacanza in qualche piccola provincia di montagna col rischio di ritrovarsi nel set di Cabin Fever—dimenticarsi i problemi quando si va in vacanza. La mia compagnia telefonica ha addirittura improntato la sua campagna estiva sull’abuso di social network in Agosto e non sembra che, a parte i pochi fortunati che sono stati divorati dalla malaria zombie di cui sopra, sia possibile evitare di ascoltare tante volte al giorno “Andiamo a Comandare”, lo strabordante tormentone di Rovazzi.

Dopo che, per qualche ora, i bassi del figlio di Raul Cremona (Kremont) e del suo socio Merk—figlio di Alessia Merz—mi lasciavano in pace (dormivo), stamattina mi sono ritrovata a dover affrontare la prova più dolorosa: mia sorella e i suoi pargoli che ballavano la coreografia del suddetto tormentone, immortalati per sempre su un video. Come loro, ma più numerosi e più virali, i protagonisti della maxi-coreografia tenutasi nel luogo in cui scommetto che tutti avremmo voluto essere questo agosto: Porto Cesareo (Salento).

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Chiaramente questa bella coreografia ha fatto il giro d’Italia (d’altronde è promossa dalla pagina MONDO ITALIA che ha come immagine di copertina tante cose che piacciono agli italiani come la pizza, le gondole e le abilità grafiche dei grillini) ed è arrivata anche ad alcuni dei miei amici di Social Network che hanno conseguentemente pensato fosse corretto parodiare il nome della hit di Rovazzi con bestemmie. Dietro le prime file dei bestemmiatori da social, però, ecco ergersi i più pericolosi nemici della cattiva musica: i critici musicali.

Facciamo un patto: mi autorizzo da sola a utilizzare l’espressione critici musicali includendo anche chi chiaramente non fa parte della categoria esseri umani, ma di quella blogger. In questo caso, comunque, la distinzione non ha davvero senso perché il caso Rovazzi sembra aver rovinato l’estate di chiunque sostenga di amare la musica, tanto che praticamente tutte le testate di costume hanno tratto profitto dal suo successo, alcune semplicemente intervistandolo come si fa con un qualsiasi musicista che merita attenzione, altre dandogli addosso, fornendoci un’ulteriore prova che la disciplina olimpica preferita della nostra stampa sia lo sparo sulla croce rossa.

Non stupisce che sia sceso in campo il campione di questo utile sport, Michele Monina, titolando Rovazzi e “Andiamo a comandare”? La prova che Dio esiste e ci odia il suo animato pamphlet. Nel suo articolo, Monina arriva addirittura a spolverare il termine Zeitgeist (ouch) inserendolo in frasi come “Se osi dire che questa canzone è lo Zeitgeist dell’Italia nel 2016 viene automaticamente equiparato a Alberto Arbasino o a Tom Wolfe che se ne va a spasso di bianco vestito nelle campagne del nord della California. Ti si taccia di essere un radical chic, di essere uno snob, di non avere più il polso delle situazione, di aver perso ogni contatto con i giovani.” Ecco, Michele, non so chi ti abbia equiparato ad Arbasino, ma così a naso ti suggerirei di diffidare della sua amicizia.

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Sempre mentre tentavo di evitare Internet per non incappare in articoli come quello di Monina, decido di essere old school e di acquistare l’unico periodico di stampa musicale che si comprano anche persone che non ci scrivono, Rolling Stone, e lì, mio malgrado, mi ritrovo a leggere un editoriale in cui non solo si cita Rovazzi, ma lo si cita tramite una preterizione: “E avendo RS la missione di essere un punto di riferimento nella rock e pop culture,” scrive il neo direttore Giovanni Robertini, “questo mese ci saremmo dovuti occupare del fenomeno Fabio Rovazzi e del suo tormentone Andiamo a Comandare. Avremmo dovuto spiegarlo (spiegarcelo con la presunzione di spiegarvelo), decostruire lo storytelling che va da YouTube al disco d’oro passando per Fedez, esercitare la critica. Scusate, non ce l’abbiamo fatta. Con questa caldazza abbiamo preferito cercare sollievo nella freshness dell’ultima vera golden age musicale, gli anni ’90.” Ora, Robertini, io ti voglio bene, ma non solo hai volontariamente inserito, addirittura per negazione come si fa con i cattivi senza nome da Manzoni alla Storia Infinita, il “fenomeno Fabio Rovazzi” in un editoriale, lasciando addirittura intendere che ci sarebbe bisogno di analizzarlo a livello critico, ma hai fatto la mossa dello struzzo affondando la testa tua e della testata che dirigi dentro agli anni Novanta, come se le vecchie interviste a Kurt Cobain fossero un amuleto contro la musica di merda.

Con la pala dei Nirvana, andiamo a comandare.

Ora, cari critici, mi duole comunicarvi che l’estate e la musica di merda vanno a braccetto da tempo immemore, e che l’accanimento che sembra unire una parte di popolazione italiana nei confronti di questo particolare ragazzo e del suo fortunato tormentone è paradossale. Se vivessimo in Stranger Things e la povera Eleven fosse la musica, Rovazzi sarebbe il mostro che vive nel mondo alla rovescia e i suoi amici di Newtopia sarebbero i cattivi della Hawkins, che non guardano in faccia a nessuno in virtù delle loro ricerche sul controllo mentale. Ma viviamo in una realtà talmente afflitta dalla musicadimerda™ che non ha molto senso far finta che i tormentoni da villaggio vacanze siano una reale minaccia per la nostra cultura.

Probabilmente i critici hanno memoria breve e sono stati depistati dalla mancanza di recenti tormentoni così violenti. Negli ultimi anni, infatti, i nostri villaggi vacanze si sono dovuti arrangiare ripescando, per le loro divertenti coreografie, hit provenienti dal lontano 2012 (anno in cui è evidente che l’industria musicale si fosse impegnata per farci del male dato che ci ha regalato, in contemporanea, “Gangnam Style” e “Il Pulcino Pio”) o addirittura dal remoto passato: “Macarena”, “Asereje”, “Maracaibo”, “Gioca Jouer”, “Bomba (un movimento sensual)” e così via. Mai e poi mai, però, i colleghi attivi nel 2012 o in qualsiasi altra annata hanno speso parole o editoriali per distruggere uno di questi altrettanto fastidiosi successi da baby dance. Perché la realtà è che, come dimostrato da mia sorella e dalla sua prole, il successo che fa molta paura alla critica dell’estate 2016, è semplicemente una versione EDM del “Pulcino Pio”. Dove il pulcino è un tardoadolescente che non fa uso di droghe e alcol, povera bestia.

Il successo di questo pezzo, insomma, è dettato unicamente dalla passione sconfinata dei bambini e ragazzini per una cosa che suona più come una filastrocca che come una canzone, esattamente come tutte le altre filastrocche sonore che fanno ballare i bambini da millenni. Non vorrei tirare fuori la psicologia infantile, ma nell’infanzia la ripetizione la fa da padrona, in netta controtendenza con quanto muove il cervello in età adulta, che dovrebbe essere la sete di novità (e non della “freshness” dei grandi artisti degli anni Novanta). Forse se i nostri critici e gli indignati a loro seguito si occupassero più spesso di babydance avrebbero più chiaro il quadro della situazione.

In realtà le cose sono ovviamente più complesse e preoccupanti e mi scuso se ho trattato il problema in modo troppo leggero, finora. In Italia non c’è molta musica che vende, e chiaramente tutti quanti vanno su di giri quando una persona, che per sua stessa ammissione nemmeno fa musica, vende più di tutti i tentativi disperati di creare prodotti radiofonici forieri di vendite dei nostri musicisti più o meno pop. Di più: in Italia non c’è molta musica bella, in generale, e il livello del nostro mainstream è talmente basso che diventa facile scambiare un ritornello da babydance con una delle solite cagate che stanno in classifica. Se la critica ha ancora una funzione, tuttavia, è quella di rendersi conto che il problema non è tanto una hit fastidiosa e fortunata, quanto la pericolosa vicinanza di questo tipo di prodotto con ciò che dobbiamo mandar giù ogni giorno, magari in misura minore, tipo stillicidio. Il vero problema è che, in un normale palinsesto radiofonico, “Andiamo a Comandare” non ci sta nemmeno male, anzi è pure meno dannosa dei tentativi di comando meno riusciti della nostra pigra e ignorante industria discografica.

Per concludere, mi dispiace girare il dito nella piaga, ma se l’unico modo che la nostra critica più autorevole ha di contrastare la rivincita dei Pulcini Pii è ripescare le vecchie glorie degli anni Novanta, be’, ci meritiamo di essere asfaltati da un trattore per davvero.


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