Música

L’influenza del nu metal sulla musica dance contemporanea

Illustrazione di Ben Ruby.

Questo gennaio mi sono trovato a Toronto, nel mezzo di un dancefloor pieno fino all’orlo, ad ascoltare un set di Bambii—una DJ locale che stava aprendo per Princess Nokia, new sensation del rap ispano-newyorkese. Fino a quel momento, Bambii aveva dedicato il suo set a Sean Paul e soca, con l’obbligatoria dose di Drake. A un certo punto, però, ha messo un pezzo che mi ha fatto sobbalzare. Ho sentito un sussurro familiare uscire dalle casse: “Let the bodies hit the floor. Let the bodies hit the floor…”

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Naturalmente si trattava dei primi secondi di “Bodies” dei Drowning Pool, vera hit nu metal, e mi sono trovato immediatamente catapultato nei primi anni Duemila. Come capita spesso nei DJ set di qualità, è stato un momento di shock dato dal sentire qualcosa di familiare in un contesto completamente insolito. Ma questa scelta in particolare aveva qualcosa di diverso—mi ha fatto tornare un sedicenne brufoloso fissato con  MAD Magazine. L’utilizzo di “Bodies” da parte di Bambii—traccia che, ricordiamo, a pochi anni dalla sua uscita veniva usata come strumento di tortura a Guantanamo Bay—è soltanto l’ultimo esempio di un DJ che si rivolge a questo genere di alt-rock e nu-metal macho-emotivo dei primi anni Zero per dare una svolta ai propri set. Ora più che mai, però, sembra che questo fenomeno stia raggiungendo la massa critica.

Durante un evento Boiler Room a tema nostalgia all’interno del Museo di Arte Moderna di New York, il rapper e producer Le1f ha usato “In the End” dei Linkin Park—un altro pilastro della mia adolescenza travagliata—in mezzo al suo DJ set. E allo showcase di PC Music al SXSW 2015, la DJ e producer londinese Spinee ha velocizzato e pitchato l’abusato inno di tutti i bimbi goth, “Bring Me to Life” degli Evanescence, trasformandolo in una scheggia di bubblegum rave-pop. Parlando della reazione positiva del pubblico alla traccia, Spencer Kornhaber dell’Atlantic ha scritto: “Ci trovavamo a un festival che si supponeva dedicato alla musica più alla moda del momento, all’interno di una serata gestita da uno dei collettivi musicali più chiacchierati del web, e la canzone più da sfigati del mondo era appena stata trasformata in un punto di riferimento”. 

Queste re-immaginazioni non sono solo capricci da dancefloor. A dicembre 2015 Total Freedom (aka Ashland Mines), DJ e produttore di Miami, ha caricato un pezzo su SoundCloud intitolato “DOWN ACTIONS, LOW KEY CHILDISH THOUGH TF”. Era un edit frenetico che combinava “All the Way Down” di Kelela con baile funk brasiliano e la strumentale di pianoforte di “In the End” dei Linkin Park. Risultato? Migliaia di ascolti. E Mines non è solo nel suo amore per Chester Bennington e compagni: Asmara, sua compagna d’etichetta e metà degli Nguzunguzu, ha messo “In the End” in un mix per Dazed pubblicato l’anno scorso, nel quale comparivano anche pezzi di Korn, P.O.D. e System of a Down. Un altro singolo dei Linkin Park, “Crawling”, è comparso in un mix per FACT di Endgame, DJ e produttore di Londra Sud, sotto forma del suo edit di Age Reform. C’è poi Skyshaker, che ha prodotto un bootleg tutto fangoso e buio di “Bring Me to Life” degli Evanescence. 

Su carta, queste produzioni dovrebbero essere terribili, dei mashup fatti tanto per ridere il cui valore dovrebbe essere inferiore della somma delle loro parti. E invece suonano come un ponte che collega passato e presente, prendono possesso della vulnerabilità emotiva di quei pezzi regalandole una nuova spina dorsale. Sono edit che i produttori si scambiano come fossero carte dei Pokemon, pezzi che hanno trovato un loro pubblico giocando su un sempiterno senso di nostalgia. 

Dieci anni fa ero solo un normale adolescente che viveva in un paesino sperduto in Nuova Scozia, nel nulla più totale che solo il Canada rurale sa regalarti. Ovviamente, ascoltavo un sacco di alt-rock e nu metal più che discutibile. Certo, studiavo la collezione di dischi di mio padre, ma ci aggiungevo i miei CD dei Three Days Grace, dei Puddle of Mudd e quello con la colonna sonora di DareDevil (che aveva dentro “Bring Me to Life” e una collaborazione tra Drowning Pool e Rob Zombie, insomma). Ma i due album che più avevo a cuore erano i primi due dei Linkin Park, Hybrid Theory—di cui possedevo una copia taroccata, con la tracklist scritta a pennarello—e Meteora.

Non sentivo particolarmente “miei” i testi di Chester Bennington, dato che i suoi argomenti preferiti erano le droghe e il divorzio dei suoi. Ma ero uno di quei ragazzi che fanno fatica a fare amici e socializzare, e quindi mi rivedevo abbastanza nelle relazioni distrutte e nella solitudine che i Linkin Park cantavano. Anche se pezzi come “Faint” e “Somewhere I Belong” erano presenze fisse nelle playlist che mi sparavo in cuffia quando andavo a correre, non le sentivo mai sulla mia radio locale, né a nessuno veniva in mente di metterle alle feste a cui andavo. “In the End” mi è sempre sembrata un pezzo fatto per essere ascoltato in solitudine, nella propria camera da letto, e forse mi sarebbe sembrato disorientante ascoltarla in una situazione di gruppo. Non avevo la minima idea che quei gruppi, i miei idoli di un tempo, stavano in realtà proprio cercando di cambiare il concetto di “genere musicale”.

“Sono cresciuto ascoltando hip-hop, ma poi abbiamo iniziato a prenderci bene con artisti come i Prodigy, Aphex Twin, Squarepusher, DJ Shadow, tutta la roba jungle e drum and bass che andava in quegli anni,” mi dice Mike Shinoda, co-cantante, chitarrista e tastierista dei Linkin Park. “Adoravo anche i Depeche Mode, i Ministry, i Nine Inch Nails, i Deftones e l’industrial. Parte del nostro obiettivo primario, fin dai nostri esordi, era mischiare tutta questa roba. Da cui il titolo, Hybrid Theory.”

I Linkin Park sarebbero riusciti a collaborare con artisti provenienti dai mondi che li affascinavano—tra cui Jay Z, che apparve sul loro EP di mashup del 2004 con un ibrido tra “In the End” e la sua “Izzo (H.O.V.A.)”, e Steve Aoki, su “A Light That Never Comes”, uscita nel 2013. Ma non sono mai riusciti a diventare un gruppo figo. Rolling Stone recensì il loro primo album con parole al vetriolo: “Bennington e Shinoda finiscono spesso a usare parole stucchevoli, fintamente aggressive.” William Ruhlmann di AllMusic disse che “erano arrivati troppo tardi a uno stile musicale già strausato.” Ma c’erano migliaia di ragazzini in tutto il mondo che non erano d’accordo.

Quindi, come siamo arrivati fino a oggi? Come ha fatto il nu metal, uno dei generi meno “fighi” della storia, è diventato una fissazione per molti producer all’avanguardia? Alcuni si sono approcciati alla questione tramite il filtro dell’ironia. Prendiamo per esempio il mix di Maxo per LOGO Magazine, pubblicato del 2014, che mischiava otto pezzi dei Limp Bizkit in venti minuti iperattivi. Nelle sue mani, i testi maschilisti e spesso misogini di Fred Durst venivano resi innocui da sonorità 16-bit e parti di pianoforte jazz. Tutte le tracce, inoltre, avevano dei nomi-gag a tema cibo: “Bake Stuff”, “Rollin’ Pin,” “I Did It for the Cookie” e così via. Lo stesso approccio a cuor leggero può essere riscontrato in “Hell On Planet Earth, We Are The Masters” Says Ministry Of Souls,”, un mix collettivo di Spinee, Lil Data e DJ Warlord che prende una ballata strappalacrime come “Call Me When You’re Sober” degli Evanescence e la gonfia con un paio di bombole d’elio. 

“Questo fascino sa più di scherzo tra gli addetti ai lavori che una riscoperta cosciente del genere,” mi spiega Maxo. “La maggior parte dei producer di questa generazione ascoltava nu metal, crescendo, e anche se non è musica particolarmente rilevante continuiamo tutti ad apprezzarla come facevamo un tempo.”

Che sia tutta un’operazione ironica o no, quando senti un pezzo simile durante un DJ set non puoi non avere una reazione. Gabriel Szatan, membro di Boiler Room, dice di non aver sentito tanto alternative rock e nu metal ai concerti che organizza, ma riconosce la loro adozione da parte di una certa scena. “Non è un fenomeno così prominente,” dice, “Ma esiste un trend fatto di ritornelli abrasivi, sonorità impegnative—specialmente se parliamo dell’avanguardia, di Staycore, NON, Total Freedom e simili. E quindi ogni tanto capita di sentire ibridazioni simili. Ma probabilmente è più facile che la cosa funzioni in un mix piuttosto che durante un set, a meno che il pubblico non sia davvero quello giusto.”

In fondo si tratta solo di sentire quella botta di dopamina che ti dà ascoltare un pezzo familiare in un nuovo contesto—vedi la “Bring Me to Life” in versione baile funk di LSDXOXO, la “Call Me When You’re Sober” adattata al footwork di DJ Nate, o la velocizzazione iperreale di “Let the Bodies Hit the Floor” di DJ Sega. “Il tuo cervello si dice ‘Ah, ma questa la so!’ e viene sovrastato dai ricordi,” continua Szatan, “E intanto hai iniziato a ballare, e non puoi farci niente.”

Secondo Endgame, che ha ripreso la chitarra di “Falling Away From Me” dei Korn nella sua “NXN”, elettronica e nu metal hanno molti punti in comune. “In fondo hanno la stessa funzione, cioè quella di permettere all’ascoltatore di perdersi, raggiungere una sorta di trascendenza. Credo che una qualità fondamentale del nu metal sia l’equilibrio tra luce e buio, tra l’intensità delle sue parti soliste e la pesantezza dei suoi bassi.”

Szatan concorda, e identifica un potenziale motivo di questa nuova popolarità del genere in un pubblico particolarmente assetato di teatralità. “Forse il revival di un certo modo di fare house e tech più violento e diretto significa che la gente ha di nuovo voglia di drammi e tragedie?,” si chiede “Le cicatrici lasciate dalla tearout sono ancora fresche e allora fanculo, perché non il nu metal?”

Endgame aggiunge che “l’estetica e l’energia emotiva e brutale” di Jonathan Davis e compagni—oltre che l’artwork di Todd McFarlane per il loro terzo album Follow the Leader—è stata una grande influenza sui membri di Bala Club, il suo collettivo. E ok che non si sono fatti crescere dei pizzetti improbabili e non hanno cominciato a scrivere i loro nomi con qualche lettera al contrario in mezzo, ma è innegabile quanto usino le band più sputtanate di quel periodo come ispirazione. Il mix di Kamixlo per Dazed inizia con la cover di “Always” dei Saliva di Uli K e Malibu, una rilavorazione che rende ancor più vibrante il senso di dolore e pena dell’originale, mentre Toxe è riuscita a ricreare”Psychosocial” degli Slipknot senza togliere la minima pesantezza all’originale. 

Crescendo, sono diventato una persona diversa dall’adolescente tutto preso male che ero, sempre pronto a tirar fuori il suo enorme porta CD per tirarsi su con una bella dose di alt-rock. Ma sentire l’emotività brutale di Toxe e Total Freedom, per dirne due, mi ha riportato a quegli anni in un certo senso. La loro teatralità pessimista, le loro semplici ricreazioni di emozioni complesse vengono dallo stesso luogo emotivo da ci provenivano i Korn e i loro colleghi, in fondo, e non c’è da stupirsi se hanno trovato un modo per ricontestualizzare la loro musica grazie alle loro produzioni.

La maggior parte di quei gruppi erano americani, bianchi e maschi, ed è quindi ancora più eccitante sentirli reinterpretati da una nuova generazione molto più ibrida e attenta a questioni di genere. Riesco a ritrovarmi fino all’ultima parola nelle parole di Toxe che, in un’intervista a THE FADER, parla così del suo remix di “Psychosocial”: “Questa è stata la mia canzone della maturità. Negli ultimi mesi, mentre preparavo i miei ultimi esami del liceo, ascoltare e remixare gli Slipknot mi ha aiutata a buttare fuori la frustrazione che avevo dentro.”

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