Ho incontrato per la prima volta David Sedaris circa dieci anni fa, dopo che aveva menzionato la mia biografia su Richard Yates sul sito Harvard Book Store. Non avrei potuto essere più lusingato neanche se avessi scoperto che Mark Twain aveva letto e apprezzato il mio lavoro, e ho deciso di assistere al successivo reading di David a Gainseville, in Florida, dove vivevo al tempo. Più avanti mi sono trasferito a Norfolk, in Virginia, e una sera, quando era in città per il tour, ci siamo incontrati per bere qualcosa—o, meglio, io ho preso un martini e David, a quanto ricordo, un’acqua gassata. Era seduto di fronte a me, sorrideva attento, e di tanto in tanto tirava fuori con discrezione una piccola agenda e annotava qualcosa. Questo per dire che praticamente lavora sempre, anche mentre raccoglie i rifiuti ai margini della strada di casa sua nel West Sussex, in Inghilterra (la sua diligenza gli è valsa un elogio della regina).
Il 24 maggio 2013 la sorella più piccola di David, Tiffany, si è uccisa a Somerville, in Massachusetts, e David ha scritto un intenso pezzo su questo e altri temi, “Now We Are Five”, che è apparso sul New Yorker. Tiffany aveva scritto nel suo testamento che la famiglia “non poteva avere il suo corpo, o partecipare ai funerali,” e tra i suoi effetti c’erano una serie di foto di famiglia strappate. “Now We Are Five” racconta il viaggio di famiglia di quella stessa estate in una casa sulla spiaggia a Emerald Isle, in North Carolina, in cui i figli rimasti e il padre novantenne si domandavano chi era veramente Tiffany e come le cose fossero andate così storte. “Il nostro è l’unico club di cui ho mai voluto esser parte, perciò non riuscivo a immaginare che qualcuno volesse lasciarlo,” scrive David della sua famiglia. “Prendere le distanze per un anno o due era comprensibile, ma volerne uscire così disperatamente da togliersi la vita?”
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Dopo aver letto quel pezzo ho detto a mia moglie che Tiffany mi ricordava un sacco mio fratello maggiore, Scott, il protagonista di un memoir che stavo per pubblicare, The Splendid Things We Planned. Quando eravamo piccoli, Scott era il più promettente: più bello, più atletico, e probabilmente più intelligente (parlava tedesco, la lingua di nostra madre, mentre io riuscivo a malapena a contare fino a dieci in qualsiasi lingua che non fosse l’inglese). Per molti versi, nel bene e nel male, era più simile a me di qualsiasi altra persona sulla faccia della terra: lui, e solamente lui, rideva alle stesse cazzate che facevano ridere me, e ora spesso mi ritrovo a ridere da solo, e mi viene da pensare che Scott avrebbe riso con me. Ma anche Scott alla fine si è ucciso, e a quel tempo non è stata una cosa particolarmente sorprendente, anche se poi siamo rimasti a chiederci quanto peso avessero avuto le droghe e l’alcool sulla sua malattia mentale o viceversa. Già a dieci anni Scott mi diceva di avere un’altra famiglia in un’altra dimensione (e nessun fratello minore) e che un giorno sarebbe scomparso nel loro abbraccio affettuoso per sempre.
Prima del suo reading il 29 aprile, io e David ci siamo incontrati allo Skirvin Hilton nel centro di Oklahoma City, di fronte alla strada in cui mio padre aveva avuto il suo studio di avvocato per quasi 45 anni. Abbiamo parlato delle nostre famiglie, specialmente dei “gran casini” che erano Tiffany e Scott.
VICE: Nonostante tra me e Scott ci fosse una buona affinità, spesso crescere con lui non è stato molto divertente. Tu diresti che crescere nella tua famiglia è stato bello?
David Sedaris: È stato bello crescere con la mia famiglia. Con loro mi sentivo sempre al sicuro. Mi sentivo sempre parte di loro. Quando ripenso alla mia infanzia, penso a me e i miei fratelli seduti intorno a un tavolo che ridiamo con mia madre. E intendo molto dopo che la cena era finita; non ci alzavamo dal tavolo appena avevamo finito di mangiare; mio padre si alzava, e noi tiravamo un sospiro di sollievo e parlavamo per ore e ore. La scuola elementare, le scuole medie, le superiori e anche in seguito—ricordo che stavamo sempre bene insieme.
Bello. A me si stringeva il cuore quando arrivava il momento di sedermi a cena con la mia famiglia—o meglio, con Scott.
Una delle cose che dico alla gente sul tuo libro è che avere una persona come Scott in famiglia è un peso. Fa cazzate enormi, poi implora il tuo perdono, e tu lo accetti di nuovo. Poi distrugge la macchina e finisce in rehab. Esce da lì e comincia a drogarsi—è la stessa storia che si ripete ancora e ancora. Leggendo il tuo libro non si rimane senza speranza, perché ritrai tuo fratello come una persona fuori dal comune. Un gran casino, ma non per questo meno grande. Come persona e come autore non perdi mai di vista questo fatto. E credo che spesso invece la gente lo faccia, soprattutto perché questi casini umani ti causano molto dolore. È sulle persone fuori dal comune che si scrivono i libri.
A proposito di casini umani: Tiffany era quella difficile anche da piccola?
Sì. Per molti aspetti era come mia madre. La somiglianza fisica era inquietante, e avevano un carattere simile. Forse per questo, a nostra madre non è mai piaciuta Tiffany. Anche da piccolo guardavo mia sorella e mi chiedevo cosa si provasse a non sentire il calore dell’amore di mia madre. Tiffany non l’ha mai sentito. C’era sempre un che di nervoso in lei, un’instabilità, un bisogno disperato di piacere. Mentre tutti noi avevamo gli occhi solo davanti, lei aveva gli occhi anche dietro, come un cervo, come una preda, sempre all’erta per il pericolo. Anche quando non c’era nessun pericolo. La vedevi tremare e pensavi, Cerchi il pericolo? Te lo do io…
Quindi era presa di mira?
Era presa di mira, anche se sarebbe stato diverso se non fosse stata la minore. In generale, più sei grande, meno fratelli ti rompono le palle. Qualche settimana fa parlavo con Zach Galifianakis, e mi ha detto che suo fratello più grande gli metteva le sue mutande sporche in bocca e diceva, “Ecco un bel piatto scherzetto.” Diceva—e credo sia molto interessante—che suo fratello più grande l’aveva “formato”. Zach è un comico di grande successo ed è molto grato di aver avuto la famiglia che ha avuto. Penso a mia sorella più grande, Lisa, che mi immobilizzava al suolo e mi sputava in bocca. Al tempo non era molto divertente, ma sicuramente non le porto rancore. Tiffany, al contrario, portava rancore. Credo che lei si sentisse in qualche modo tradita quando ricordavamo un momento divertente. Per lei, noi la trattavamo malissimo e niente di quello che potevamo dire o fare poteva cambiare questa sua idea.
I tuoi fratelli più piccoli, Amy e Paul, erano più vicini a lei?
Sì, ma quando Tiffany è cresciuta se n’è dimenticata. Come abbiamo scoperto solo in seguito, le è stato diagnosticato un disturbo bipolare di tipo due, anche se lei continuava a dire che andava tutto bene. Se insistevi, diceva di essere in cura per il disturbo post traumatico da stress, e che il trauma era stata la sua infanzia.
Davanti, da sinistra a destra: Amy, David, Gretchen, Paul Lisa e Tiffany
Come hai scoperto della sua diagnosi di bipolarità?
Aveva pulito la sua stanza, ma aveva lasciato in un sacchetto di plastica dietro la porta alcuni documenti. Non avevamo mai capito cosa stesse facendo Tiffany della sua vita e a un certo punto abbiamo considerato l’idea di assumere un detective per scoprirlo. La sua segretezza ci faceva pensare al peggio. So che a volte faceva sesso per soldi.
Come fai a saperlo?
Tiffany è venuta due volte a New York a visitare me e Amy. È tornata a casa a Raleigh un paio di volte prima di trasferirsi a Boston, e tutte le volte finiva male. Era come se dovesse finire in quel modo. Se non c’erano motivi di discussione li creava lei, solo per andarsene male e mantenere la narrativa che si era costruita.
Aveva un amico nel Queens, che non era esattamente il suo ragazzo, ma le comprava i biglietti aerei e le dava soldi. Forse non è giusto da parte mia dirlo, ma credo che in cambio le chiedesse del sesso. C’erano altri ragazzi di cui parlava e cose che raccontava al telefono. Tiffany era bellissima e a circa 14 anni aveva imparato a usare l’aspetto fisico per i suoi fini. Con qualche eccezione, le sue relazioni con gli uomini erano, be’… sembrava sempre che li stesse usando, che si stesse prendendo gioco di loro. Dava l’impressione di non aver mai vissuto un periodo d’innocenza, in cui usciva con un ragazzo o aveva una cotta. L’hanno mandata in collegio in un posto che si chiamava Élan [in Maine] quando aveva 14 anni. Forse allora era innocente, ma dato che non potevamo vederla ci siamo persi quella fase. È come se fosse partita che era una bambina e tornata che era una vamp fatta e finita.
Tutti sanno che Tiffany si è lamentata perché hai scritto di lei nei tuoi libri.
Tiffany mi ha detto che non potevo scrivere niente di lei, e io ho detto “ok.” Poi un giorno mi ha chiamato, nel 2000, e mi ha detto, “Tutti pensano che non ti piaccio. Non puoi scrivere qualcosa su di me?” Ho scritto un brano e gliel’ho mandato chiedendo, “Per te va bene?” Lei ha detto, “Io e il mio ragazzo l’abbiamo letto, e siamo morti dal ridere. Mi hai descritto alla perfezione.” Poi ho tolto alcune cose e le ho mandato la nuova versione, chiedendo di nuovo, “Così ti piace?” “L’adoro,” mi ha risposto. Quando nel 2004 è uscito Mi raccomando, tutti vestiti bene, il libro in cui era incluso il racconto ha rilasciato un’intervista [al Boston Globe] in cui diceva che avevo violato la sua privacy e le avevo rovinato la vita. Tiffany era esattamente così. Avrei dovuto tenerlo a mente e non scrivere mai quel racconto. Era una banderuola, cambiava a seconda della persona con cui parlava. Se qualcuno avesse detto, “Mi è piaciuta tantissimo la storia che ha scritto tuo fratello,” lei avrebbe risposto, “Sì, non è stupenda?” Ma se qualcuno diceva, “Non posso credere che tuo fratello abbia scritto di te,” lei rispondeva, “Sì, non è terribile?”
Come reagiscono i tuoi fratelli quando li metti nei tuoi scritti? Ci sono mai stati problemi con gli altri? O hai come regola di fargli dare un occhio al pezzo, prima?
Glielo lascio sempre vedere prima—quasi sempre. Circa dieci giorni fa ero ad Asheville, in North Carolina, e ho presentato una nuova storia che ho scritto su mia sorella Lisa, che è sempre pronta a prendersi in giro. Quella sera lei era tra il pubblico, e volevo farle una sorpresa. Quando la gente ride su una storia che riguarda i membri di una famiglia, ride perché il membro della famiglia in questione è divertente. Molto spesso ridono perché dice cose divertenti. Lisa sa di essere divertente. Non è il tipo di persona che sale sul palco e fa quello che faccio io, ma le risate che hanno accolto quella storia sono opera sua, e se le è guadagnate tutte.
Quando eravate piccoli eri più legato ad alcuni fratelli che ad altri? O le alleanze si formavano e scioglievano continuamente?
Credo che funzioni così per tutti quelli che hanno una grande famiglia. I rapporti cambiano. Alle superiori, ero legatissimo a mia sorella Gretchen. Eravamo inseparabili. Quando lei è andata all’università, ho cominciato a passare più tempo con Lisa. Poi io e Amy ci siamo trasferiti a Chicago e siamo diventati inseparabili. A New York eravamo di nuovo io e Amy. Poi ho lasciato gli Stati Uniti, e mi sono riavvicinato a Lisa, con qualche picco con Gretchen. Paul non lo vedo molto spesso, ma le cose cambiano, e chi lo sa cosa succederà tra dieci anni? Io e Amy andiamo in Giappone insieme, e lei viene in Europa per Natale, come gli altri. Voglio bene a tutti.
C’è uno di voi che è un po’ più “conservatore”, o siete tutti un branco di scalmanati?
Probabilmente Lisa è più—un po’ più sobria, forse. Non userei la parola conservatrice. Ma le storie che racconta sono incredibili, e le racconta molto bene. Se la guardi dal di fuori, forse sembra quella più inquadrata di tutti gli altri—con la villetta suburbana, etc—ma non so se è davvero così.
Hai raccontato che Paul ogni tanto ti prendeva in giro per il tuo orientamento sessuale. E gli altri fratelli? Hai detto prima a loro o ai tuoi genitori di essere gay? Come l’hanno presa?
È il bello di avere una famiglia numerosa. Tutto quello che devi fare è dirlo a una persona, e prima di sera lo sanno tutti. L’ho confessato a Gretchen, e lei ha fatto il resto per me. A parte mio padre, e Paul che era piccolo, nessuno ha fatto una piega. Credo che sia piuttosto normale, comunque. Quando sei un ragazzino, a 13 o 14 anni, non vuoi che tuo fratello maggiore sia gay. Ti imbarazza. Da ragazzo, Paul ha avuto qualche brutta esperienza. Una volta stava sistemando il prato di qualcuno e un ragazzo si era fermato per chiedere indicazioni. Paul gli aveva dato una mano, e il ragazzo aveva detto, “E se ti succhiassi il cazzo?” Mio fratello era rimasto scioccato e aveva cominciato ad agitare il rastrello. Credo che pensasse che essere gay significhi questo: provare a rimorchiare ragazzini con pale e rastrelli in mano.
Da sinistra a destra: David, Lisa e Gretchen
Tu e Paul avete avuto screzi a riguardo?
Nessuno screzio, no. Come ho detto, per un po’ se ne vergognava, ma poi l’ha superata.
In un’intervista Amy ha detto qualcosa sulla prima volta che hai portato un fidanzato al cottage sulla spiaggia, o insomma con voi. Tutti lo prendevano in giro.
Quando le mie sorelle portavano i fidanzati a casa, mia madre li faceva dormire in stanze separate—perché non erano sposati. Con i miei fidanzati, invece, non c’erano restrizioni. È buffo, l’unico sesso che mia madre permetteva sotto il suo tetto era il sesso gay, forse perché non c’era il pericolo di una gravidanza. Non ho avuto un ragazzo serio fino all’età di 27 anni. Quella è stata la prima volta che la mia famiglia mi ha visto coinvolto in una relazione seria.
Tuo padre ha cercato di dissuaderti?
Ancora nel 2005 ha provato a sistemarmi con la mia amica Evelyne, che ha dieci anni più di me e vive a Chicago. “È una ragazza stupenda! Dovresti sposarla.” A quel punto stavo con Hugh da 15 anni, e ho detto “Cosa penseresti di una ragazza disposta a sposare un uomo gay?” Per me era assurdo.
Però va d’accordo con Hugh, no? O…?
Sì, ci va molto d’accordo, specialmente considerando che ha 92 anni ed è greco. Quando ho cominciato a lavorare in radio, mio padre ha detto, “Perché devi parlare di queste cose?” Io pensavo che si riferisse all’omosessualità, ma parlava del pulire gli appartamenti. Non voleva che la gente sapesse che mi guadagnavo da vivere così. Per lui questo era più imbarazzante che la mia sessualità, e credo sia interessante.
Nell’ultimo racconto su tuo fratello minore Paul, fai riferimento a come tua madre, verso la fine, fosse diventata incline al bere, e diventasse “cattiva” quand’era ubriaca.
Quando scrivi di qualcuno, che sia morto o vivo, sai che ci sono cose che questa persona non vorrebbe rendere pubbliche. Quindi non ho mai parlato del rapporto di mia madre con l’alcol. In quel racconto su mio fratello, però, volevo parlare della sua formazione, di come la sua infanzia sia stata diversa dalla mia. Mia madre non mi avrebbe mai parlato come faceva con Paul, non si sarebbe mai comportata come si comportava con lui, non avrebbe mai perso il controllo a quel modo. È dura ammetterlo, ma verso la fine era profondamente infelice, e questo ci spezzava il cuore perché noi la amavamo. Ancora peggio, non ne abbiamo mai parlato con lei. È solo sempre rimasto nell’aria.
Quindi ti senti doppiamente triste riguardo a tua madre?
Credo che in un certo senso gliel’abbiamo permesso, tutti noi. Beveva come una persona infelice, e questo rendeva tutto più problematico. Se avessimo detto qualcosa la situazione sarebbe cambiata? Chissà. Mia madre era il tipo di madre che i figli adorano. Le piaceva passare il tempo con noi, e quel sentimento era reciproco. Poi ce ne siamo andati, ed è arrivato il buio. Un giorno stavo autografando i miei libri, ed è venuta da me questa donna, madre di due figli di 18 e 20 anni. Vivevano un periodo d’oro: i ragazzi all’università, belli e felici insieme. E io volevo solo proteggerli. “Accadranno cose veramente orribili,” volevo dire. “Ricordatevi di questo momento! Godetene!” Ricordo mio padre vantarsi con un amico, “Ho le figlie più belle del quartiere!” Ed era vero.
Riguardo tua madre e tuo padre, di solito trovo il tuo umorismo su tuo padre privo di rancore. È un personaggio, ed è amabile. In “Ceneri,” invece, sul cancro di tua madre, c’è una parte in cui lui la rimprovera perché sta fumando una sigaretta, e tu scrivi una cosa tipo, “Si è quasi fatto carico del compito di renderle la vita miserabile, e l’adempirà fino all’amara fine.” Tuo padre ne è rimasto ferito?
L’unica volta che mio padre si è arrabbiato con me è quando ho scritto una storia su mia nonna. Ricordo che quando è uscito Diario di un fumatore l’ho chiamato per dirgli che il libro era tra i best-seller, e lui mi ha attaccato il telefono in faccia. Ouch. Onestamente, avrebbe potuto essere molto più arrabbiato. Riguardo la storia che hai menzionato, “Ceneri”, ci penso e mi fa male. Quando mia madre è morta eravamo tutti arrabbiati con mio padre. Gli davamo la colpa di averla resa infelice. Ma lei era libera di scegliere. Poteva lasciarlo e migliorarsi la vita. Poteva smettere di bere. Che ne sapevamo noi del matrimonio, di stare con qualcuno per 35 anni. A posteriori, lui era semplicemente un bersaglio facile. Quando riguardo quella storia la trovo impertinente, e ignorante.
C’era molto scontro fisico tra te e i tuoi fratelli? Hai detto che Lisa ti immobilizzava e ti sputava in bocca.
Da fratello più grande, tormentare gli altri è il tuo lavoro, legare le tue sorelle a una carriola, per esempio, e buttarle giù da una discesa fin dentro un burrone. Ma raramente c’erano scoppi di vera violenza, non ci tiravamo i sassi, per dire. È così che ci si fa davvero male. Ricordo che avevamo una poltrona a sacco. Sai di quelle in tela—
Con la struttura in metallo—
Esatto. Quindi, se tutti guardavamo la televisione e decidevi che volevi sederti in quella poltrona, prendevi una spilla e la infilzavi attraverso la tela nella carne di chiunque la stesse occupando al momento. La vittima correva al piano di sopra per fare la spia, e voilà: la poltrona era tua. Ma non c’erano grandi spargimenti di sangue. Una volta Tiffany mi ha infilato una matita in un occhio. Ho cambiato canale mentre stava guardando Vita da strega ed è andata su tutte le furie. C’era sangue ovunque. Sono dovuto andare all’ospedale, ma alla fine non era niente di serio. Quando è successo era piuttosto piccola, faceva le elementari.
Da sinistra a destra: David, Lisa e mamma
Era pentita?
Certo, l’ho perdonata.
Ho ricevuto diverse mail di odio contro il mio memoir. Sconosciuti che vanno sul mio sito, leggono il mio memoir e credono che io sia spietato, che mi stia divertendo alle spese di Scott. E ho notato—nonostante la stragrande maggioranza delle reazioni a “Now We Are Five” siano positive—che sono state scritte anche cose cattive a riguardo. Ti dà fastidio?
No. Cioè, so che ci sono, ma non ci presto attenzione. L’anno scorso ho fatto un reading in Mississippi, e al momento delle domande una donna ha chiesto, “Cosa rispondi a chi ti accusa di essere tu il responsabile del suicidio di tua sorella?”
In “Now We Are Five” suggerisci che il suo suicidio sia stato, in un certo senso, un gesto contro la tua famiglia. Lo pensi davvero?
Al momento del suicidio, Tiffany ha lasciato una lettera di sette-otto pagine indirizzata al suo avvocato che diceva, “È questo che mi ha portato a fare quello che ho fatto.” Parlava soprattutto di amici che pensava la stessero derubando. La lettera era disperata e confusa. Una cosa che ho notato leggendola è che aveva messo in maiuscolo tutte le B. Tutto il resto era scritto in minuscolo. Ho ricevuto una sola lettera da Tiffany, e me l’ha mandata molto tempo fa, nel 1998, credo. Non mi ero accorto di come scrivesse, al tempo. Voglio dire, chi mette tutte le B maiuscole?
Ha detto che non voleva nessun membro della famiglia al suo funerale.
Sì. E ha anche detto che non potevamo avere il suo corpo. Tiffany ha lasciato tutti i suoi effetti a una donna per cui aveva lavorato che vive nello stato di New York. Lisa ha chiesto se potevamo avere un po’ delle ceneri, ma la donna ha detto di no. Era furiosa per un’intervista che avevo rilasciato a dei tedeschi. Un mese dopo la morte di Tiffany, è venuta una troupe tedesca nel Sussex. Mi hanno seguito per qualche giorno, e alla fine il giornalista mi è venuto molto vicino e mi ha detto, “So che tua sorella si è suicidata recentemente. Se potessi dirle una cosa, se lei fosse qua adesso, che domanda le faresti?” E io ho detto, “Puoi ridarmi i 6.000 dollari che ti ho prestato?” Ho risposto così perché il momento sembrava troppo sdolcinato: le voci basse, la vicinanza fisica. Alcune persone sono rimaste incredibilmente scandalizzate per quella risposta, ma dai. Tiffany era quello che volete, ma era anche divertente. Sarebbe stata la prima a dire una cosa del genere.
C’è un video su YouTube, di circa cinque minuti, di Tiffany. È stato pubblicato nel 2013, quindi verso la fine. È divertente, in un certo senso. Racconta una storia su Fred Astaire e Dick Cavett—
L’ho visto, e mi ha rattristato, principalmente perché lei era molto più divertente di così. Riusciva veramente a farti ridere, Tiffany. Molte volte, però, esagerava. Era raro che lasciasse parlare l’altra persona, e dopo un po’ diventava oppressiva, specialmente da adulta.
Com’era possibile? Mi fai un esempio di come un incontro in cui tutti andavano d’accordo finisse alla malora a causa di Tiffany?
Ho fatto uno spettacolo dal vivo di This American Life a Boston, qualche anno fa. Tiffany è venuta con me ed era in botta tutte le sere, fumava erba e non smetteva mai di parlare. Ira Glass era là, c’erano un po’ di persone, alcune le conoscevo, altre no. Alla fine della serata ho fatto salire Tiffany su un taxi, e Jonathan Goldstein ha detto “Wow.” Perché lei era fuori controllo quella sera. Parlava di continuo. So che quando sono nervoso parlo un sacco, ma lei era—
Pensi che fosse una mania?
Forse. Quello che so è che non ho mai visto niente del genere. Potevi posare il telefono quando parlavi con Tiffany, e quando lo riprendevi dopo dieci minuti lei stava ancora parlando, senza mai farti una domanda, senza mai fermarsi. Era una cascata di parole. Raramente ti coinvolgeva, raramente ti sembrava di avere davvero una conversazione. Forse con i suoi amici era diversa. Non lo so. Spero che con loro fosse diversa.
Credi che la storia di Élan—che a quanto ho capito è un posto molto duro—sia stata un aspetto forte del risentimento che Tiffany provava nei confronti della famiglia?
Non riesco a pensare a una singola volta in cui non abbia parlato di quel posto—voglio dire dieci, 20, 30 anni dopo che lo aveva lasciato.
David ad Atlantic Beach, in North Carolina
Hai detto che al momento della sua morte non le parlavi da otto anni, perché la vostra ultima litigata era stata molto pesante. Riguardava il Boston Globe o era semplicemente l’ennesima discussione con Tiffany?
Era solo un’altra discussione, sì, e poi c’erano altre cose. Non si risolveva mai niente a litigare con Tiffany. Ti richiamava sei mesi dopo la litigata e faceva finta che non fosse successo niente. Di solito la assecondavo, ma quella volta qualcosa mi ha bloccato. Non riuscivo più a fidarmi di lei. Dopo quell’episodio ha minacciato di vendere le mie lettere, e mi ha accusato di aver chiuso la sua pagina Myspace. Come se l’avessi mai vista. Mi ha accusato di aver comprato il suo nome per usarlo per un sito internet, e di un sacco di cose. Nessuno vuole fare la parte del fratello che non parla con la sorella, ma a volte… Quando ancora parlavamo ci vedevamo a Boston.
Alcune visite andavano meglio di altre, ma le peggiori finivano davvero male. Mio padre, invece, era sempre ben disposto. Non ha mai smesso di parlarle, anche quando lei gli urlava contro, dicendogli le peggiori cose che puoi immaginare. “Tiffany sta migliorando!” ci diceva, sempre positivo. In un certo senso è bello il fatto che credesse che lei poteva cambiare. [Imitando suo padre:]
“Quello che deve fare, è far uscire un disco. Ha una voce bellissima! Le ho parlato e le ho detto, ‘Dobbiamo farti arrivare in radio!’…Le ho parlato e le ho detto, ‘Ciò di cui hai bisogno è un resettaggio!’” La sosteneva economicamente. Fa parte del patto con mio padre: se lui ti dà i soldi, tu devi ascoltare tutti i suoi consigli sulla tua vita. Probabilmente è come funziona con tutti i genitori. È il motivo per cui decidi di camminare con le tue gambe, perché pensi, Se sto altri cinque minuti ad ascoltarlo, mi sparo.
Qualche anno prima che morisse, ha deciso di tornare a Raleigh. Non credevo che avrebbe funzionato, e durante le tre settimane che era là ha causato dei bei problemi. Mi è giunta voce che avesse uno zainetto con sé. Era chiuso, e non permetteva a nessuno di avvicinarcisi. Ci siamo chiesti se non ci fosse dentro un registratore. “Credi che sia bella?” continuava a chiedere a mio padre. “Credi che sia sexy?” Dopo dieci giorni, se n’è andata e si è trasferita da una donna che conosceva dalle scuole superiori. È durata una settimana, poi se ne è andata affermando che la donna le aveva fatto delle avances. La storia era sempre questa.
Ho consigliato a mio padre di comprare un appartamento a Tiffany in qualche posto caldo, tipo Key West. Là ci sono un sacco di persone come lei. Ci avrebbe messo dieci minuti a ritagliarsi il suo spazio, ma probabilmente non avrebbe risolto i suoi problemi più grandi.
Adesso che Tiffany è morta, e anche se fosse ancora viva, pensi mai a scrivere un memoir—intendo, uno scritto lungo come un libro invece che una serie di brani? L’idea ti alletta?
Mi piace l’idea di scoprire chi era. Ma non ho la tua abilità, la capacità di uscire e parlare con i suoi amici, di andare a caccia di gente che era con lei a Élan e costruire un ritratto preciso di lei. Ce lo chiediamo, io e la mia famiglia. Ne parliamo tutto il tempo. Ci piacerebbe sapere come viveva. Per quasi 20 anni Tiffany ha avuto un bell’appartamento a Somerville. La sua proprietaria di casa era cinese, si chiamava Yip e per anni mia sorella ne ha tessuto le lodi. “La signora Yip è la migliore. Mi sta insegnando il tai-chi!” Poco a poco Tiffany ha distrutto l’appartamento. Ha distrutto il linoleum in cucina, ha versato tolle di pittura sul pavimento della sala, scritto sui muri. La doccia era nera, e la stanza libera era stracolma di ciarpame. Da quell’affitto la signora Yip guadagnava da vivere, era in pensione. Somerville è piena di studenti, e invece di affittarlo a Tiffany per 1.000 dollari al mese poteva farci il doppio dei soldi, e avere degli inquilini che non le distruggessero la casa. Non so cosa sia successo tra mia sorella e la signora Yip, ma a un certo punto ha smesso di pagare l’affitto e ha affermato di aver fatto 25.000 dollari di lavori in quell’appartamento. C’è stato un avviso di sfratto. Tiffany ha presentato un’ingiunzione restrittiva. Le cose si sono messe male, e alla fine si è trasferita in una stanza singola in una parte della città molto più brutta, e poi in un’altra stanza singola.
Posso farti una domanda? Quando le persone ti scrivono cose brutte sul tuo libro, come ti fa sentire? Le leggi, quelle cose?
Sì. Non sono David Sedaris. Ricevo mail dai lettori abbastanza di rado, e quando succede, di solito rispondo. E la maggior parte sono gentili. Ma mi arrivano anche cose brutte… Ok. C’è stata una donna che mi ha scritto, “Dovresti vergognarti, buttare tuo fratello fuori di casa il giorno di Natale. Che persona sei? Sei un mostro.” Cose di questo genere. Allora le ho ricordato che mio fratello, quel Natale, aveva aggredito mia madre e aveva minacciato di ucciderla, quindi stavo solo proteggendo mia madre. E credo che abbiamo fatto tutti del nostro meglio. Le ho detto, “Perché non te la prendi con qualche altro autore che non ti piace—o magari non hai di meglio da fare? Spero per te di sì.” Qualcosa del genere. E altre persone hanno detto che sono troppo distaccato dalla sofferenza di mio fratello, che ho un senso dell’umorismo kitsch—cose del genere. Alcune persone non hanno alcun senso dell’umorismo, e se non hai alcun senso dell’umorismo vedi le cose in un modo che io non capisco. È come se mi parlassero in swahili. Non capisco.
Non ho mai letto niente su di me. Niente recensioni, niente.
A volte mi dicono, “Non ti sei impegnato abbastanza con Scott. Non ti sei impegnato ad aiutarlo.” Anche a te dicono cose simili?
Perché le cose andassero diversamente, Tiffany avrebbe dovuto essere tutta un’altra persona. Allora, perché non diciamo, “Be’, se fosse stata dieci centimetri più alta, e si fosse chiamata Thumbelina, tutto sarebbe andato bene.” Non potevo salvare Tiffany. Se non vuoi prendere le medicine, nessuno può fare niente. Eppure non c’è un singolo giorno in cui non pensi a lei. Era una persona straordinaria.
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