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Uno dei ristoranti giapponesi più buoni di Roma è in uno dei quartieri meno conosciuti della città

ristorante giapponese roma infernetto

L’Infernetto: in dodici anni che abito nella capitale è uno dei pochi quartieri in cui non ero mai stata. E mai nella vita mi sarei sognata di andarci almeno una volta al mese, come sto facendo da un anno a questa parte

Il piatto ordinato arriva fumante. È una zuppa con gli spaghetti, il ramen. Prendo le due bacchette e già mi sento catapultata in Giappone. Cerco di essere disinvolta mentre prelevo un po’ di spaghetti immersi nel brodo. Schizzi ovunque, la lingua infuocata, risucchio senza vergogna. Addento in fretta un pezzo di pancetta. Con l’aiuto delle dita spingo l’uovo marinato nel cucchiaio. Ma ne mangio solo metà, è talmente buono che voglio averne ancora prima di finire.

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Sono stata in Giappone tre anni fa e lì mi sono innamorata del ramen. In Italia ne fanno di buonissimi ma sono brodi che per lo più cercano di ricordare quelli che preparava la nonna a casa. Veri concentrati di sapore. Ma in Giappone, a Tokyo ad esempio, la specialità è il ramen con un semplice brodo con salsa di soia, che è più che altro sapido.

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Ramen Tokyo. Tutte le foto dell’autrice.
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Micaela Giambanco

Micaela Giambanco è italiana. Il suo compagno Paolo Campesi è italiano. Sono loro, nel loro ristorante Mikachan, che preparano il piatto che ho davanti. Il brodo cuoce per ore e ore nella piccola cucina. L’uovo marinato viene voglia di ordinarlo da solo. La parte esterna è scura e solida, per via del “bagno” nella salsa di soia che dura due giorni. Il tuorlo, invece, è morbido. Una goduria. Micaela e Paolo vivono in una delle periferie più a sud di Roma, l’Infernetto. In dodici anni che abito nella capitale è uno dei pochi quartieri in cui non ero mai stata. E mai nella vita mi sarei sognata di andarci almeno una volta al mese, come sto facendo da un anno a questa parte. Lo faccio per mangiare uno dei ramen più buoni della città. E il sushi non scherza neanche.

Mika è adesso una chef edomae (lo stile di Tokyo) di gran livello, apprezzata frequentatrice di kermesse internazionali.

Dopo anni di cucina itinerante, hanno piazzato il televisore dove da sempre proiettano le foto delle trasferte giapponesi nel loro posto, Mikachan appunto. Che in questo periodo post lockdown apre solo su prenotazione.

Entrata-Mikachan Roma

Prendo la mia vecchia utilitaria e affronto Roma, attraverso l’Eur e tutta via Cristoforo Colombo. Ci vado quasi sempre di sera, con le strade buie, e navigatore permettendo raggiungo la destinazione. La prima volta che sono arrivata pensavo di aver sbagliato posto. Il parcheggio è isolato, poche case, davanti al piazzale qualche vetrina commerciale, una farmacia, una pizzeria di quartiere. Ed ecco, si imbocca una stradina larga pochi metri, si gira l’angolo e si riconosce subito dalla piccola lanterna rossa, allungata, stile giapponese, piante di bambù, una vetrina minuscola e separé di carta di riso. La scelta del quartiere può sembrare assurda. Mika però voleva il suo posto, a tutti i costi, anche se i soldi non bastavano. L’unica soluzione era farsi aiutare da Paolo. Che di mestiere fa l’informatico, e la sera corre a mettersi il grembiule. L’izakaya doveva essere a due passi da casa. Welcome to Infernetto.

Neko
Izakaya-Roma

Izakaya, in giapponese, significa “negozio di sakè dove sedersi”. Piccole, strette, hanno quasi sempre sgabelli e bancone, dove si beve e poi si cucina. Quella di Micaela e Paolo è italianizzata. Tavoli dove cenare, sushi, ramen, piatti caldi e una bella scelta di birre e bevande alcoliche a base di riso. Ma nel fine settimana, se si ha la fortuna di non incappare in una serata stracolma e c’è posto al bancone, sedetevi.

Mika prepara quattro tipi di brodi che cuociono quasi cinque ore

Il legame di Mika con il Giappone inizia 28 anni, quando si trasferisce nel Sud del paese per un anno. Lì impara il giapponese, “un po’ maccheronico”, confessa. “Non ho studiato la grammatica, ho appreso sul posto, con tutti gli errori del caso”. Non si è trasferita lì per la cucina, ma all’epoca voleva perfezionare il karate. Poi il cibo entra nella sua vita, così come tutto il Giappone. Il paese del Sol Levante segna anche la sua storia in Italia, quando incontra Paolo, di cui si innamora, durante un corso di lingua e cultura nipponica, undici anni fa.

Sushi-mikachan-roma-infernetto

Oggi è una chef edomae (lo stile di Tokyo) di gran livello, apprezzata frequentatrice di kermesse internazionali. C’è tanta tradizione nella sua cucina e grande ricercatezza, a partire dagli ingredienti. Direttamente dal Giappone arrivano le foglie di shiso, i funghi shintake, le radici, le alghe. In casa vengono preparati il brodo, la frittata tamagoyaki, i saccottini di tofu e la salsa nikiri.

Inarizushi
Inarizushi

Tanti piatti sconosciuti negli all you can it che hanno invaso Roma. Il nigiri calamaro e shiso ne è la riprova. La foglia verde posizionata sotto al mollusco e sopra al riso è un sapore a cui difficilmente siamo abituati. Percepisci una nota balsamica complessa che si sposa benissimo con la consistenza del calamaro. Altrettanto insolita, ma buonissima, la ricciola sfiammata con yuzu e la regina dei nigiri di Mika, la capasanta con le uova di trota e yuzu.

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Calamaro e foglia di shiso
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Nigiri con capasanta

Il classicismo passa anche per la tasca di tofu fritta ripiena di pesce e riso (inarizushi) e i nigiri quadrati per i bento (temarizushi), ovvero i cestini utilizzati in Giappone soprattutto durante il pranzo. Difficili da trovare altrove.

Ma dicevamo del ramen. Mika lo ha studiato a lungo. Per diversi mesi mi ha detto: “Finché il risultato non è ottimo non lo servo”. Poi il momento giusto è arrivato, e oggi prepara quattro tipi di brodi che cuociono quasi cinque ore: il Tokyo, a base di soia, tipico della capitale e molto sapido; quello con il curry, esempio di contaminazione della cucina nipponica; l’Akihabara con pollo e miso, più saporito rispetto ad altre preparazioni; e un ramen vegetariano. In tutti si possono aggiungere le uova sode marinate (nimono) e pancetta di maiale. Lo spaghetto è rotondo e fino. Anche questo proviene dal Giappone, adatto a rimanere elastico una volta immerso nella zuppa. Nella cucina di Mika ritroviamo anche la tradizione washoku. Ricordo la prima volta che lessi nel menu o-k-o-n-o-m-i-y-a-k-i, quasi non potevo crederci. Un piatto che Mika prepara da dio e al quale sono molto affezionata. È una sorta di frittella di verza e pastella, nulla di così trascendentale a livello gastronomico, ma buonissima. Col tempo ho provato anche gli yakisoba (pasta salata con le verdure), shabu shabu (una pentola con il brodo dove si cuoce la carne in condivisione) e gyoza (i ravioli), ma solo su prenotazione.

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Paolo mentre prepara i Gyoza

Una vera specialità sono gli spiedini yakitori. A Tokyo si possono mangiare nelle bettole più nascoste. Mika li prepara con il pollo, ma in estate si sbizzarrisce proponendoli anche con la pancetta e altri condimenti.

E poi le regine dello street food: la palline di polpo takoyaki. La pastella, preparata con una ricetta segretissima, viene versata su una piastra bollente con delle cavità rotonde. L’abilità nel cuocerli sta tutta nel saper rigirare le piccole palline da un’estremità all’altra con le bacchette.

Dove-mangiare-ramen-a-Roma

Una delle cose che più belle di Mikachan sono i suoi racconti sul Giappone. Se glielo chiedi non si limita a parlarti solo del piatto che ti sta servendo: tira fuori aneddoti divertenti sulla storia di quello che stai per mangiare, da quale città o regione del Giappone proviene, quando e come si mangia, dove lei e Paolo lo hanno assaggiato. Ho imparato da lei che in Giappone non si mangia camminando in strada e così nel mio viaggio ho prestato attenzione a non farlo. Insomma, ogni volta parte un puzzle di vissuti che ti fa venir voglia di prendere subito un aereo.

Tavola-a-Mikachan

Un grande dubbio mi ha assillato per mesi: che faccio ne scrivo o non ne scrivo? Ma poi ho pensato all’Infernetto. Ormai il buonissimo Infernetto, che doveva essere raccontato. Solo chi avrà pazienza e coraggio raggiungerà Mikachan.

Solo chi, intrepido, vorrà mangiare tra i ramen e il sushi fra i più buoni di Roma.

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