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IZI ci ha spiegato il suo nuovo album, ‘Pizzicato’

IZI è un nome d’arte bellissimo, perché sono tre lettere, è palindromo, è efficace e racchiude la personalità del ragazzo che lo porta. In una delle canzoni di Julian Ross, dal titolo “IZI”, appunto, Diego canta “Izi, izi, questa vita mi ha insegnato devo stare easy” e in ogni album, in ogni traccia precedente o successiva a quella, credo che si percepisca la battaglia quotidiana che IZI combatte.

Quando si vive nella stessa città e si hanno interessi in comune e più o meno la stessa età, è facile che le strade di due persone si incrocino e così è successo a me con IZI, che conosco da quando una volta, in stazione a Brignole, mi fermò per darmi una copia del suo primo mixtape. Già allora, chiunque facesse parte di quel micro-cosmo che era allora il rap genovese, vedeva in lui (e in Tedua) la next big thing, qualcuno che aveva così tanto da dire che prima o poi sarebbe necessariamente uscito, era così e non poteva essere in alcun modo.

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Oggi, venerdì 5 maggio, esce Pizzicato, il suo secondo album ufficiale, il suo quarto prodotto da solista, il quinto in totale. Si dice che il secondo album di un artista sia il più difficile, perché è lì che l’ascoltatore e la critica cercano le conferme di un talento, dell’inizio di un viaggio.

Così, in una giornata per lui pienissima, tra un’intervista programmata e l’altra, ho beccato IZI in un bar, mentre finiva di pranzare, per parlare di questa sua seconda tappa nel mondo dei “grandi”, in quel mondo in cui la musica non è più un disco da passare di mano in mano in una stazione, ma un vero e proprio lavoro, che comporta dei piaceri, ma anche delle responsabilità.

Noisey: Fra due giorni esce l’album, come stai?
IZI: Beh, direi che sto bene, con questa panna cotta davanti [ride]. Sono bello carico, ora vediamo che cacchio succede con ‘sto album nuovo, se la gente recepisce, se si piglia bene. So che tu hai ascoltato Fenice, hai ascoltato questo e sai chi sono, quindi penso tu abbia capito che Pizzicato è un album parecchio più personale, no? È un progetto più intimo, mi auguro che venga capito da tutti quanti. Ora parto per due settimane con gli instore e poi a giugno iniziamo il tour estivo, poi ci sarà l’invernale più avanti. Abbiamo già dei ritmi belli serrati. Sono curioso di vedere cosa succederà.

Penso che a rendere più personale Pizzicato sia anche l’approccio con cui ti sei messo a lavorare a questo disco, no?
Più che altro, detto molto onestamente, prima era un gioco, prendevo tutto molto più alla leggera. Ora ho capito che ho una sorta di responsabilità nei confronti di tutti i ragazzi che in qualche modo si sono affezionati a me dopo il film. Spero che queste persone accolgano bene la natura del disco, che oltre a essere personale è anche di rottura, un po’ controcorrente, proprio a livello di pensiero.

In questo disco c’è in ballo anche qualcosa che se vuoi possiamo definire coraggioso, perché mi sono chiesto: “visto che abbiamo un bacino d’utenza gigante, un pubblico formato principalmente da ragazzini, ragazzini che prima o poi dovranno crescere volenti o nolenti e dovranno rendersi conto di ciò che c’è oltre al gioco, vogliamo dare una scossa?” Poi sembra che abbia fatto un disco di una pesantezza unica dicendo così [ride], ci sono molte tracce in cui io proprio mi diverto, penso a “Volare”, “Rosiconi”, tracce in cui mi avventuro in stronzate. Però mi sembra un lavoro più denso.

Poi c’è un nesso in tutti i miei lavori, a partire da Macchie di Rorschach [il primo mixtape di IZI, ai tempi Eazyrhymes, in collaborazione con Sangue N.d.R.]. Finora non è mai uscito qualcosa che non riguardasse il mio percorso di crescita, personale e anche spirituale. C’è sempre stato qualcosa di più alto, anche proprio come immaginario. Macchie era la roba un po’ più paranoica, quasi satanica, con l’immagine incombente di psicologi e psichiatri. Kidnapped è sotto sequestro, un po’ come dire Pizzicato, mille sfaccettature della stessa cosa. Julian Ross che era el principe dal cuore di cristallo, sempre una roba spirituale. Questo è un po’ più maturo, ovviamente, è la maturazione di un percorso.

L’altro disco è stato fatto in una settimana, questo è anche più consapevole nella lavorazione, gli arrangiamenti secondo me esaltano quello che si dice nel pezzo. Comunque mi auguro che ci sia sempre un nesso, anche in futuro. Sembra quasi che stia creando una serie TV. IZI è Gomorra, ogni disco è una stagione, ogni traccia del disco è un episodio di questa stagione. Anche per questo sto lavorando molto attentamente sull’immagine dei video, ma anche live mi sto inventando delle cose nuove.

Poi, tornando al discorso musicale, ho cercato di andare leggermente controcorrente, nel senso che non voglio che tutti noi che siamo artisti affini facciamo della musica interscambiabile. Ognuno di noi, dove per “noi” puoi immaginare di chi ti stia parlando, ha talento in una determinata roba: c’è Mario che fa le sue cose più drill, io invece tendo magari a fare delle trappate aggressive o in questo disco anche un po’ più aperte alla musica in generale. Te lo ripeto: è un disco denso e cupo, una volta che te lo sei ascoltato concentrato, in cuffia, ti devi fare una passeggiata, perché è bello pesante, però secondo me sentito in determinate situazioni, ha un valore di cui vado molto fiero. Chiaro, non penso che sia un disco che tu puoi ascoltarti la prima volta al parchetto, così tanto per… è proprio un ascolto con le cuffione, chiudi la porta di camera tua a chiave e per tutta la durata dell’ascolto sei tu e il disco. Stai su quello, se hai bisogno ti riascolti qualche traccia—anche perché è una caratteristica che riconosco in alcune mie tracce, cioè quella di dover essere riascoltate per essere capite—però almeno i primi ascolti devono essere quasi intimi.

Io quando parlo di te sottolineo sempre quanto fosse divertente vederti scrivere, cioè proprio lavorare sui file di testo per renderli poi il testo della canzone. Alla fine molti dei tuoi testi, probabilmente, mi risulterebbero quasi criptici se non li avessi visti in fase di costruzione.
Una cosa che ho dovuto fare rispetto ai tempi di cui parli tu è stata migliorare la linearità dei miei testi, visto che… beh, ti ricordi come scrivevo [ride]. Questa mia cripticità è dura da rendere digeribile. Non è che io voglia essere necessariamente mainstream, però chiunque faccia musica ha l’obiettivo di arrivare a quante più persone possibili. Infatti ho cercato di utilizzare delle cose che fossero disponibili per tutti. Forse è una pretesa un po’ grande, però spero che presentato in questa maniera e se si ascolta il disco nelle modalità in cui ti dicevo prima, Pizzicato possa aiutare determinate persone, quelle che riescono a immedesimarsi maggiormente con il lavoro, a capire come mi sono comportato io e a vedere se anche loro, comportandosi come ho fatto io, riescono a cambiare qualcosa. Non è che sia un’imposizione, non sono né un dittatore né un santone, non ti sto dicendo “questo è lo stile di vita giusto”, però è una sorta di politica.

Alla fine questo è un disco molto di denuncia, è un po’ il mio modo di andare contro, forse questa cosa è evidente in alcuni passaggi della title track. Secondo me in quel pezzo è un po’ racchiuso tutto il succo. Tra l’altro sono contento di avere una title track forte, non pensavo inizialmente di intitolarlo così, ma quella traccia alla fine racchiude così bene quello che sto cercando di spiegarti ora che non poteva che dare il nome al disco. C’è una forma diversa rispetto ai miei lavori precedenti, ci sono dei contenuti diversi, ma più che diversi forse direi più consapevoli, è un lavoro che verte verso un concetto che per me è chiave, che è quello di libertà. La libertà di esprimersi, di vivere, di comportarsi, chiaro entro determinati limiti.

Percepisco un’assenza di capacità di manifestarsi liberamente: la gente deve sempre copiare, guardare gli altri per capire cosa sia giusto e cosa no, invece dovrebbe solo fare, senza pensare a quello che succede dopo.

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Cosa ti ha portato a questa maggiore consapevolezza che dici essere presente nel disco?
Beh, ci sono tante cose che mi sono successe proprio a livello personale, fisico, spirituale, a partire già da prima di Fenice, cose che ho iniziato a interiorizzare già quando io avevo chiuso quell’album. “Volare”, per esempio, è un pezzo che ho da quando ero a Roma per lavorare al film e andai in studio da Sick Luke.

Ci sono dei pezzi che sono lì da un po’, alcuni pezzi su cui ho lavorato molto, anche solo in fase di arrangiamento, altri pezzi che ho lasciato un po’ più così, come magari quello con Fibra, che è molto vicino al provino che avevamo fatto. Anche perché entrambi ci siamo accorti di affezionarci molto ai provini. È chiaro che capiti spesso di dover registrare un provino, perché magari ci sono proprio degli accorgimenti per renderlo migliore qualitativamente parlando, però di solito la prima volta che tu butti giù qualcosa è la più veritiera. Potrei dirti che è quasi come se fosse una raccolta, più un’impostazione da poeta, che scrive per un tot delle cose e se le mette da parte, e poi esce con un prodotto.

E come si sposa questa cosa di avere un disco molto personale, ma comunque un buon numero di featuring? Hai cinque ospiti su tredici tracce.
Converrai con me sul fatto che ogni featuring è calzante, non ce n’è uno che stona. “Come me” con Enzo Dong è un pezzo abbastanza autocelebrativo, possiamo dire che il filone principale del pezzo è il giudizio, penso ai commenti, al bisogno di dire sempre la propria senza comprendere, mentre non si vive senza pensare a rompere i coglioni al prossimo. Nel pezzo dico “Quando vai in giro sparli di me / Ma vai vestito, sì, come me”. Ora, non è che intendo solo i vestiti, è un po’ come dire: tu parli di me, però alla fine segui la mia moda, il mio viaggio, cerchi di farlo tuo. Secondo me Enzo va dritto al punto, ha fatto una strofa molto figa. Forse è un pezzo un po’ ignorante, un po’ prepotente come presentazione, però è comunque raffinato, sia nell’arrangiamento che nel contenuto.

Tedua e Vaz te sono la mia famiglia, con loro ho ripercorso la storia un po’ della Wild Bandana, con determinati avvenimenti, la storia di come ci siamo conosciuti. È un pezzo molto genuino, si sente, penso che piacerà. Lavorare con Caneda è stato fichissimo, lui è arte pura. Lo trovo molto affine, è come se ragionasse un po’ come me nella scrittura, abbastanza depresso, malinconico…

E poi Fibra, che è stata un’esperienza unica, e secondo me ha spaccato di brutto: è stato semplice, ma mega efficace. Guarda, sarò sincero: ha spaccato facendo una cosa che ho iniziato a capire solo ora. Quando ero piccolo mi piaceva molto Fibra, poi iniziò ad uscire con tutto quel filone di tracce come “Tranne Te” e non ti nego che all’inizio storsi il naso, la additai come commerciale, dissi “non è la mia roba”. E invece il cazzo, perché comunque è fatta molto bene, è roba di qualità, magari la base è per entrare in un determinato circuito che a quei tempi era a me lontano, ma poi è come un cavallo di Troia, non sono tracce vuote.

Il pezzo che abbiamo fatto insieme secondo me è anche d’aiuto per tutti quei ragazzi che pensano che fumare sia la soluzione a tutti i problemi. Anche io ero così, ovviamente non c’è da demonizzare un sacco, perché si tratta di una cosa che se usata in maniera intelligente può anche far del bene, e lo fa, però l’abuso e entrare in quella vita in cui la tua giornata ruota intorno alle canne non è qualcosa di positivo. In questa traccia noi abbiamo preso il buono, il cattivo—quindi anche la paranoia che ti sale, soprattutto con la vita che conduciamo, una vita in cui devi beccare tante persone—e l’abbiamo analizzato. È stato anche un esperimento per me: il ritornello è “Fammi fumare un po’ di weed”, che sembra la solita pacchianata normale, quella del “dai, fumiamoci le canne al parchetto”—e tanti sicuramente la interpreteranno solo così, mi fa anche gioco—ma sta per tutt’altro, è quasi un’esortazione a Dio: fammi assaggiare la luce, fammi assaggiare la saggezza, fammi gustare la verità, non tutta la nebbia che ti offusca. Vuole spronare a prendere solo il meglio. Poi figurati se demonizzo quella roba, lo sai benissimo, anzi, dopo arrivo a casa e me ne faccio una, però è la modalità con cui tu affronti determinate cose: se tu hai la morbosità per qualcosa, ma non solo le canne, riguarda anche lo scopare, il vestirsi e tutta un’altra serie di cose, non è certo positivo. Mi è piaciuto davvero di brutto Fibra qua, sono felice di com’è uscita questa traccia.

Un’altra collaborazione molto importante, ne abbiamo parlato a lungo quando abbiamo ascoltato l’album, è sicuramente quella con Zangirolami, no?
Assolutamente sì. Zangi è una testa davvero enorme. Lui ha reso materiale quello che era nella mia testa. Una differenza che sottolineavo anche prima rispetto allo scorso album è l’arrangiamento. Mi sono preso qualche giorno per andare da Zangi, metterci lì, parlare e pensare a come potevamo riempire i pezzi, come potevamo organizzarli al meglio. È uscita una roba molto particolare, soprattutto in alcuni pezzi, che diventa quasi una roba classica, influenzata ovviamente dalle nostre sonorità, ma diventa anche un po’ quella roba lì. Tu pensa che il pezzo con Caneda è nato con Zangirolami che suonava il pianoforte e io che facevo freestyle mentre lui suonava. Infatti quella traccia trasuda pathos, emozione, vorrei che fosse così sempre, vorrei sempre avere il tempo e lo spazio di evocare determinate sensazioni. Quel pezzo si chiama “Bad Trip” e ti fa davvero andare in merda, se lo ascolti nelle modalità giuste. Abbiamo fatto un ascolto in Sony, quindi con un impianto come si deve, e siamo usciti tutti con il groppo in gola dopo questo brano.

Sai un’altra cosa? Ascoltando questo disco ho notato come manchi un pezzo come “Chic”, inteso come il pezzo che spicca per sonorità, se vogliamo definirle così, più pop, per quanto quel brano credo che sia di una potenza assurda. Questo, a mio avviso, rende l’ascolto ancora più compatto.
C’è un brano che secondo me è un po’ più chiccante: “Tutto Torna”. Però sì, in realtà è tutto abbastanza cupo, anche quando ci sono sonorità più allegre rimane un forte filo rosso che unisce tutte le tracce in un clima cupo. Sono consapevole sia un ascolto impegnativo, mi fa piacere che tu dica così. Per me Pizzicato è un esperimento, io voglio capire come la gente recepisce questa cosa qua. Perché se per essere cagato e considerato devo fare le puttanate, allora piuttosto preferisco smettere, capito?

Tommaso scrive per VICE e FourDomino. Seguilo su Twitter: @TommiNacca.

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