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Stanno facendo di tutto per distruggere Mimmo Lucano e il modello Riace

Dopo la revoca dei fondi decisa dal Viminale, al sindaco di Riace è stato imposto il divieto di dimora. In pratica, non potrà più stare nella sua città.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
domenico lucano riace
Domenico Lucano. Foto via Wikimedia Commons/Hiruka komunikazio-taldea (CC-BY SA 2.0).

Ieri sera da Riace sembrava essere arrivata una buona notizia: il tribunale del riesame ha revocato gli arresti domiciliari per Mimmo Lucano annunciati lo scorso 2 ottobre.

“Sembrava,” appunto. Perché i magistrati hanno sì tolto i domiciliari, ma disposto il divieto di dimora. In pratica, il sindaco non potrà più stare a Riace—e stamattina, alle 6, ha effettivamente lasciato il paese. I suoi legali hanno già annunciato ricorso in Cassazione, ma per una decisione bisognerà attendere qualche mese.

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Secondo alcune indiscrezioni (le motivazioni saranno depositate più avanti), il Riesame avrebbe imposto un “esilio forzato” per evitare che Lucano, sospeso dall’incarico, “torni ad indossare la fascia tricolore e da sindaco possa commettere nuovamente il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cui è accusato.”

Nel commentare quest’ultima evoluzione, Lucano ha detto di essere “contento perché è come sentire di nuovo la libertà” ma allo stesso tempo amareggiato: “Cosa sono, un criminale? La mia paura è che tutto questo sia diventato un fatto politico, che adesso ci sia l’obbligo di stritolarmi.” Lo stesso ha poi aggiunto: “Forse ho sbagliato a dire che avremmo comunque mantenuto in vita il sistema Riace senza finanziamenti pubblici, che avremmo fatto accoglienza spontanea.”

Il riferimento di quest’ultima frase è alla decisione del ministero dell’interno di chiudere il progetto Sprar a Riace, una notizia diventata pubblica il 13 ottobre. La notifica al comune calabrese è arrivata il 9 ottobre—ad una settimana dall’arresto—e consiste in un documento di 21 pagine che “smonta pezzo per pezzo” il “modello Riace” e punta a “evitare l'ulteriore protrarsi di modalità gestionali non conformi alle regole che presiedono al corretto utilizzo di finanziamenti pubblici destinati all'accoglienza dei richiedenti asilo.”

Il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione contesta infatti una sfilza di violazioni, tra cui il “mancato aggiornamento della banca dati,” l’“erogazione dei servizi finanziati dal Fondo a favore di soggetti diversi da quelli ammessi all’accoglienza,” e la “mancata presentazione della rendicontazione.” In totale, il dipartimento ha assegnato ben 34 punti di penalità, che equivalgono alla revoca dei finanziamenti e al trasferimento dei migranti.

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Matteo Salvini, oltre ad aver ricordato che le prime ispezioni sono iniziate sotto il precedente governo, non ha perso l’occasione di esultare sui social: “Chi sbaglia, paga.”

In un’intervista al Redattore Sociale, la direttrice del Sistema centrale Sprar Daniela di Capua ha voluto precisare che “questa decisione non ha nulla a che fare con la vicenda penale che riguarda Mimmo Lucano. La chiusura del progetto ha a che fare con alcune criticità e irregolarità riscontrate negli anni.”

Il sindaco, tuttavia, ha dichiarato che “anche senza contributi pubblici andiamo avanti da soli” e di non voler avere nulla a che fare con questo governo “che spesso non rispetta i diritti umani.” La soluzione proposta è quella di tornare alle origini: “Faremo non uno Sprar, ma un’accoglienza spontanea così come era cominciata.” E la cosa davvero paradossale è che l’attuale sistema Sprar esiste in parte anche grazie all’esperienza di Riace.

Come ha ricordato la giornalista Tiziana Barillà, autrice di Mimì Capatosta. Mimmo Lucano e il sistema Riace, tutto è iniziato nell’estate del 1998 con lo sbarco in città di centinaia di curdi. Lucano ed altri decidono di farsene carico, sperimentando così il primo sistema di accoglienza diffusa.

Il laboratorio di Riace si accompagna a quello di Trieste, dove il Consorzio italiano di solidarietà (Cis), onlus nata nel 1993 durante la guerra nell’ex Jugoslavia, accoglie i profughi del Kosovo. L’allora presidente del Cis e Lucano, dunque, “si incontrano nel tentativo di colmare un vuoto normativo non più tollerabile” e “propongono al ministero di sperimentare un sistema nazionale di accoglienza con i piccoli e i grandi comuni.”

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Ed è sull’asse Riace-Triste, scrive Barillà, che “nasce l’accoglienza diffusa.” Nel 2001, infine, il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, l’Anci (Associazione nazionale dei comuni italiani) e l’Unchr “siglano un protocollo d’intesa per la realizzazione di un ‘programma nazionale asilo’.”

Ma quei tempi non potrebbero essere più lontani. Per il momento, l’attività di assistenza ai circa 150 migranti che si trovano ancora in paese sarà portata avanti dalla compagna di Lucano, Tesfahun Lemlem (a cui è stato imposto l’obbligo di firma), e dai tanti volontari che collaborano con l’amministrazione comunale.

Di fatto, come spiega un reportage del Corriere della Sera, Riace è però in agonia—molti dei laboratori e delle botteghe aperte (o riaperte) in questi anni sono di chiusi da mesi. E non solo per l’arresto e gli attacchi a Lucano; il trend era iniziato ben prima.

In tutto ciò, Lucano è convinto di essere al centro di una persecuzione politica che ha obiettivi ben più grandi di lui. “Vogliono distruggermi, annientare il pensiero, scoraggiare il nostro sogno e far prevalere gli aspetti della vita legati all’opportunismo e alla materialità, anziché quelli della solidarietà,” ha affermato. “Ci troviamo in una fase di deriva dell’umanità.”

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