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La Lega vuole smantellare la legge sull'aborto fingendo di difenderla

In tutto ciò, mancano pochi giorni al Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
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Manifestanti alla "Marcia per la vita" a Roma, nel 2018. Foto di Santolo Felaco.

Non è un mistero che l’Italia stia attraverso una fase di crisi demografica; una crisi che, a detta degli esperti, impatta soprattutto i giovani. I motivi di questo declino sono svariati e complessi, da uno squilibrio generazionale sempre più marcato a disparità di genere, precarietà lavorativa, politiche sociali insufficienti, e così via.

Da un paio d’anni, però, circola un’interpretazione piuttosto brutale: se in Italia si fanno meno figli che altrove, la colpa è da addossare al femminismo, all’omosessualità e—sopra ogni cosa—all’aborto. Ormai non lo credono solo gli ultracattolici che scendono in piazza con foto di feti smembrati e cartelloni che paragonano l’interruzione volontaria di gravidanza all’Olocausto; ma il nuovo presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo (secondo il quale l’aborto ha persino fatto calare l’aspettativa di vita), pezzi del centrodestra e la Lega—da Matteo Salvini e Lorenzo Fontana in giù.

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L’obiettivo che accomuna questi soggetti, del resto, sembra il medesimo: lo smantellamento della legge 194, nonostante negli ultimi dieci anni le interruzioni volontarie di gravidanza siano calate del 38,4 percento. Tuttavia, come ha ammesso tempo fa il senatore leghista Simone Pillon, ad oggi non ci sono ancora le condizioni per abolirla del tutto. Se le si vuole andare contro, bisogna dunque lavorare di fino. Aggredirla in maniera indiretta, e svuotarla progressivamente.

Il che è ciò a cui puntano due disegni di legge che giacciono in Parlamento e su cui, proprio in questi giorni, si è riaccesa l’attenzione in vista del Congresso Mondiale delle Famiglie che si terrà a Verona nel fine settimana.

Il primo si trova al Senato: è il numero 950, è stato presentata il 20 novembre del 2018, e porta la firma di Maurizio Gasparri e di altri senatori di Forza Italia. Il 22 dicembre dello scorso anno è stato assegnato alla commissione giustizia, che opererà in sede redigente: in pratica, esaminerà e delibererà i singoli articoli del ddl, e l’assemblea voterà il testo intero solo alla fine.

La proposta di Gasparri è relativamente semplice: cambiare l’articolo 1 del codice civile, anticipando la “capacità giuridica” al momento del concepimento e non più alla nascita. A prima vista, questa modifica potrebbe non c’entrare nulla con la 194. In realtà è un pallino del movimento anti-abortista italiano almeno dal 1995, nonché dello stesso Gasparri—che aveva presentato lo stesso ddl anche nel 2009. Nella relazione al ddl si mette nero su bianco che “sembra doveroso sottoporlo nuovamente all’esame del Parlamento oggi che i temi antropologici sono posti con crescente intensità all’attenzione di tutti noi.”

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Cosa comporti in concreto questa formula l’aveva spiegato nel 2010 il fondatore del Movimento per la vita Carlo Casini: “Per il nascituro, essere riconosciuto dotato di capacità giuridica ed essere riconosciuto titolare del diritto alla vita è la stessa cosa.” In altre parole, con una norma del genere l’embrione avrebbe la stessa identica posizione giuridica della madre.

La conseguenza, come ha fatto notare Monica Cirinnà del PD in un’intervista a Micromega, è che “diventerebbe impossibile applicare la legge 194, […] proprio perché la tutela del nascituro verrebbe elevata a valore assoluto e non bilanciabile con la libertà della donna.” Così, continua la senatrice, “dietro ad un’apparente sfumatura tecnico-giuridica c’è la chiara intenzione di impedire alla donna di esercitare la propria fondamentale autonomia in materia riproduttiva.”

Il secondo disegno di legge alla Camera è il numero 1238, presentato il 4 ottobre del 2018 e assegnato alle commissioni riunite giustizia e affari sociali il 15 marzo del 2019. Il primo firmatario è il deputato leghista Alberto Stefani (molto vicino a Lorenzo Fontana), e il ddl è cofirmato da altri 50 parlamentari leghisti. Il titolo del è “Disposizioni in materia di adozione del concepito,” e anche in questo caso ci troviamo di fronte a un qualcosa di già visto: sul finire della scorsa legislatura, i deputati Gian Luigi Lugli e Mario Sberna di Democrazia Solidale-Centro Democratico (Lugli è anche l’attuale presidente del Movimento per la vita) avevano proposto “l’adozione del concepito” per “tutelare la maternità e prevenire l’aborto.”

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La proposta leghista mira a riconoscere la “soggettività giuridica del concepito,” introducendo un elemento in più: l’adottabilità del nascituro da parte di un'altra famiglia (composta “da una mamma e da un papà”), che dovrebbe essere disposto con rito abbreviato dal tribunale dei minori.

L’obiettivo di questo ddl, come spiegato nella relazione, è quello di “coniugare l’elevato numero di concepiti indesiderati e il desiderio reale di coppie disponibili all'adozione nazionale.” In sostanza, pur di non far abortire una donna, la si spinge a portare avanti la gravidanza per conto terzi.

Se sembra un’idea presa di peso da Il racconto dell’ancella, sì: non siete i soli a pensarlo. Tra l’altro, nei fatti sarebbe una sorta di maternità surrogata—una pratica che cattolici, leghisti e conservatori solitamente descrivono come uno dei segni dell’avvento dell’Anticristo.

Un ulteriore paradosso che emerge dalla relazione è che le misure contenute nel ddl “non costituiscono forme di riduzione della possibilità di accedere” alla legge 194, ma “rappresentano esclusivamente forme alternative all'IVG liberamente utilizzabili dalla donna” (il corsivo è mio). Alla stessa 194, però, non sono risparmiate feroci critiche: “si proponeva di legalizzare l’aborto in alcuni casi particolari,” si legge nel testo, e al contrario “ha contribuito ad aumentare il ricorso all’aborto quale strumento contraccettivo e non ha affatto debellato l’aborto clandestino.”

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Infine, c’è da sottolineare un altro aspetto. Nel giustificare questo provvedimento, all’inizio della relazione si scrive che “manca all'appello una popolazione di 6 milioni di bambini, che avrebbero impedito il sorgere dell'attuale crisi demografica.” A parte l’assurdità di una simile correlazione causale, va detto che questo passaggio è contenuto, parola per parola, nelle varie mozioni anti-aborto partite da Verona e approvate in vari consigli comunali.

Il ddl leghista contiene la stessa ambiguità di fondo delle mozioni: a parole dice di voler difendere la 194 e di far applicare il primo articolo della legge (soprattutto nella parte in cui "lo stato […] riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio"); nei fatti, invece, la vuole smontare pezzo per pezzo per via legislativa (mentre le mozioni lo farebbero attraverso l’esplicito sostegno ad associazioni anti-abortiste).

Per ora, il Movimento 5 Stelle non sembra particolarmente entusiasta di questa proposta. Il ministro della giustizia Alfonso Bonafede ha dichiarato che la 194 è stata “una conquista di civiltà giuridica e sociale del paese,” e “mi guarderei bene dall’andare a toccarla” perché “si tratta di principi non in discussione.” E lo stesso Salvini ha parlato di "polemiche inesistenti," aggiungendo che "divorzio, aborto, parità di diritti tra donne e uomini, libertà di scelta per tutti non sono in discussione."

Il disegno di legge leghista potrebbe dunque restare lettera morta, ma c’è comunque già abbastanza di cui preoccuparsi. Se allarghiamo il quadro, infatti, abbiamo cose come: il ddl Pillon; i legami organici con i gruppi più estremi e tradizionalisti; e la convinta adesione al Congresso Mondiale della Famiglia. Tutti elementi che disegnano una precisa strategia transnazionale, ben delineata nel rapporto del Forum Parlamentare Europeo sulla Popolazione & lo Sviluppo Ristabilire l’ordine naturale.

E la beffa definitiva, per l’appunto, è che si vogliono privare determinate categorie dei loro diritti umani utilizzando proprio il linguaggio dei diritti umani. Nel farlo, poi, si occultano dietro una densa cortina fumogena le reali pratiche di queste forze politiche—tutte volte a fare una guerra mirata alle donne, alle minoranze, ai diritti riproduttivi e ai diritti civili.

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