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Nord Africa

Perché IS vuole conquistare la Libia — e cosa possiamo fare per evitarlo

Gli esperti affermano che il petrolio libico costituisce un elemento fondamentale per il controllo del paese da parte dello Stato Islamico, cosa che potrebbe trasformare la Libia in una base per futuri attacchi in Africa e in Europa.
Une milice libyenne affronte des rivaux près de Bir al-Ghanam, à 90 kilomètres au nord de Tripoli, en mars 2015. (Photo via EPA)

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Ieri, i militanti dello Stato Islamico (IS) e le forze locali hanno combattuto una battaglia feroce per il controllo dei terminali petroliferi costieri libici che, secondo gli esperti, costituiscono un passo fondamentale per la conquista del paese da parte degli estremisti — i quali vorrebbero trasformare la Libia nella base per futuri attacchi in Africa e in Europa.

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Secondo l'agenzia Reuters, cinque petroliere - attraccate nelle città libiche di Es Sider e Ras Lanuf - sono state bombardate dello Stato Islamico nella serata di mercoledì. Il Presidente della Libyan National Oil Corporation, Mustafa Sanalla, ha emesso un comunicato in cui chiede alle diverse fazioni anti-IS coinvolte nella guerra civile libica di formare un'alleanza contro il gruppo militante.

"Spero che questa terribile violenza porti i leader politici libici di tutte le fazioni a capire l'entità della minaccia che dobbiamo affrontare," ha detto Sanalla. "Li incoraggio a mettere da parte in fretta le loro differenze. Abbiamo bisogno di essere uniti contro il nostro comune nemico, non domani o la prossima settimana, ma adesso."

Oltre a IS, anche i governi rivali di Tripoli e Tobruk e la coalizione jihadista Consiglio della Shura dei Rivoluzionari di Bengasi stanno cercando di ottenere il controllo della Libia, da quando si è disintegrato l'accordo di pace raggiunto dopo la morte dell'ex dittatore Gheddafi.

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Gli esperti ritengono che ci siano due diversi scenari in gioco nel conflitto.

Nel 2014, IS ha dichiarato che il suo califfato controllava anche tre province libiche, con la città di Sirte elevata al rango di quartier generale del gruppo.

William Braniff, direttore esecutivo del National Consortium for the Study of Terrorism all'Università del Maryland, ritiene che se IS dovesse conquistare l'industria petrolifera libica, riuscirebbe a generare guadagni sufficienti per consolidare il proprio potere.

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"Una tale potenza economica permetterebbe a IS di diventare un problema persistente in Libia," spiega Braniff. "È un punto di svolta quando un'organizzazione riesce a finanziarsi da sola, controllare un territorio, ed è in grado di soggiogare una popolazione. Stiamo assistendo [a questo fenomeno] in Iraq e in Siria. Una presenza radicata è difficile da contrastare."

Allo stesso tempo, le Nazioni Unite stanno negoziando con tre diverse fazioni, slegate da IS e coinvolte nella guerra civile libica, con la speranza di formare un governo di unità nazionale che porti pace e stabilità nel paese. Queste trattative hanno condotto a un accordo sulla condivisione del potere che dovrebbe portare a un governo di unità nazionale nel giro di una o due settimane. Un elemento cruciale dell'accordo è costituito dalla divisione dei guadagni derivanti dal petrolio — in Libia, infatti, si trovano i più grandi giacimenti petroliferi di tutta l'Africa.

Al contempo, IS sta cercando di far naufragare l'accordo, tramite la distruzione o l'indebolimento dell'industria petrolifera libica.

"Renderebbe effettivamente inutile l'accordo tra i gruppi rivali," spiega Martin Reardon, Senior Vice President di Soufan Group, una compagnia di consulenza su sicurezza e intelligence. "Mina le potenzialità per [la creazione di] un governo di unità nazionale. Mina le potenzialità dei gruppi militanti rivali di IS di unirsi. Mette i bastoni fra le ruote a tutto il processo."

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Il Regno Unito avrebbe inviato in Libia 1.000 uomini delle forze speciali per aiutare il paese a fermare IS. Se l'accordo di suddivisione del potere dovesse diventare realtà, la Gran Bretagna, l'Italia e altri paesi europei potrebbero inviare altri 5.000 uomini nel paese per aiutare il nuovo governo a sopravvivere.

Normalmente, spiega Reardon, IS accoglierebbe con favore l'occasione di uccidere soldati europei in terra musulmana. In questo caso specifico, però, boicottare l'accordo sostenuto dall'ONU, se da un lato taglierebbe fuori gli europei, dall'altro regalerebbe ai militanti più tempo per allestire un nuovo governo basato su un'interpretazione ultra-ortodossa della sharia.

Indipendentemente dallo scenario che andrà a concretizzarsi, il risultato potrebbe essere sempre lo stesso: IS ha buone chance di ottenere il controllo del paese, che dista meno di 500 chilometri dalla Sicilia. La Libia confina con la Tunisia, uno dei rari paesi democratici del mondo arabo, e con l'Egitto, il paese arabo più popoloso, amministrato da un governo militare relativamente stabile.

"Ecco cosa la comunità internazionale dovrebbe cercare di prevenire in questo momento," conclude Braniff.


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