È ora di parlare seriamente di droni militari in Italia
Un Reaper MQ-9. Immagine: pubblico dominio

FYI.

This story is over 5 years old.

Tecnologia

È ora di parlare seriamente di droni militari in Italia

In quella che sembra essere 'la guerra del futuro' anche l'Italia e l'UE hanno non poche responsabilità.

Per noi occidentali cresciuti con una Guerra al Terrorismo che si combatte da 16 anni a migliaia di chilometri dalle nostre case l'idea che un oggetto volante pilotato da lontano vada a colpire i cattivi senza fare altri danni è inconsciamente rassicurante. Sempre meglio che vedere un conoscente partire in missione per l'Afghanistan — tanto le popolazioni locali in un modo o nell'altro morirebbero comunque, almeno limitiamo i danni. Questa asimmetria del conflitto un po' ipocrita non deve farci però dimenticare le migliaia di vittime civili dei droni militari. Vittime che spesso restano senza nome nei villaggi più sperduti del Pakistan o dello Yemen e di cui è impossibile fare una stima precisa, anche perché i governi continuano a mentire con dati approssimativi, parlando di operazioni chirurgiche e mirate.

Pubblicità

Tra i morti c'è anche un italiano, Giovanni Lo Porto, ucciso nel 2015 dall'operazione di un drone militare della CIA in Pakistan. Nonostante si sia parlato abbastanza di questo caso — che si è concluso con la donazione di un milione di euro da parte degli USA alla famiglia, ma senza una vera assunzione di responsabilità — secondo un report dell'Archivio Disarmo il 40 percento dei nostri connazionali non sa bene cosa sia un drone. Eppure, l'uso di queste tecnologie militari pone tantissimi problemi di carattere etico e giuridico che dovrebbero riguardare anche la nostra opinione pubblica. La Guerra al Terrorismo non è portata avanti soltanto dagli USA, ma anche dall'UE.

Oggi all'Università degli studi di Milano c'è una conferenza dal titolo: Droni Armati in Italia e in Europa: problemi e prospettive promossa da Rete Italiana per il Disarmo, CILD e ECCHR in cui si discuterà di questa e di altre problematiche che ci riguardano piuttosto da vicino. Ne abbiamo parlato con Chantal Meloni, una delle organizzatrici della conferenza, docente di International Criminal Law alla Statale di Milano e collaboratrice di ECCHR.

"Nel caso della Guerra al Terrorismo gli attacchi avvengono per difesa preventiva, cioè senza processo. Il cosiddetto targeted killing, ovvero la modalità di omicidio mirato utilizzata per colpire i terroristi con i droni, non ha alcuna legittimità giuridica," ha spiegato Meloni per telefono a Motherboard. "Nonostante le prese di posizione ufficiali da parte dell'ONU, i paesi che ricorrono ai droni (Stati Uniti e Israele prima di tutti, ma anche Regno Unito, Francia e in un certo senso l'Italia), continuano a farlo. La pratica è nata in modo non-regolato e ora, a posteriori, è difficile inserire il tutto in un quadro giuridico."

Pubblicità

Nel febbraio del 2016, il Wall Street Journal ha rivelato che il governo italiano ha concesso agli Stati Uniti l'autorizzazione all'utilizzo dei droni armati nella Naval Air Station di Sigonella, in Sicilia. Si tratta di una base militare conosciuta anche come "l'hub del Mediterraneo" e divisa in tre parti: una italiana, una gestita dalla NATO e una dagli USA. Tra il 2018 e il 2019, sempre secondo quanto riportato da Archivio Disarmo, Sigonella è destinata a diventare una delle principali basi operative per le operazioni di sorveglianza statunitensi e NATO, e ospiterà infrastrutture di telecomunicazioni satellitari essenziali per il funzionamento dei droni — il famoso MUOS di Niscemi si trova a soli 60 km.

"Eravamo già a conoscenza del fatto che nella parte in uso esclusivo agli Stati Uniti ci fossero dei droni, ma erano Global Hawk, ovvero droni da ricognizione. Dopo le dichiarazioni del Wall Street Journal il governo italiano, nelle persone di Pinotti, Gentiloni e Renzi, aveva dichiarato che sarebbe stato deciso caso per caso se autorizzare o no le operazioni, e che l'accordo avrebbe coperto soltanto le missioni 'difensive'. Ma non è molto chiaro cosa significhi: un'operazione con i droni va pianificata, non può essere usata in maniera tempestiva per difendere dei soldati sotto assedio."

"C'è il sospetto che i droni che colpiscono in Libia partano proprio da Sigonella, ma non possiamo saperlo con certezza perché l'accordo è segreto, e il nostro governo non ha mai portato la questione in parlamento" ha continuato la ricercatrice. "Non abbiamo alcuna idea di quali parametri siano stati definiti per l'uso e cosa si intenda per 'scopo difensivo'. Il quadro giuridico non dovrebbe essere segreto, per questo noi di ECCHR abbiamo chiesto risposte al governo italiano con due FOIA a cui non ci è stata data risposta. A novembre ci sarà il verdetto del TAR del Lazio a cui abbiamo fatto ricorso per saperne di più."

Una delle grandi questioni legate al dibattito sui droni è appunto quella della trasparenza da parte dei governi: "finora, nonostante la completa illegittimità giuridica, nessuno si è mai preso davvero la responsabilità dei morti" aggiunge Meloni. "Gli USA hanno fatto uno sforzo in questo senso durante gli ultimi giorni di Obama, ma i dati sono molto approssimativi, e inferiori rispetto a quelli riportati da altre organizzazioni." La grande differenza tra i droni e le armi automatiche è che si può sempre risalire alla catena di comando. Dal punto di vista della responsabilità giuridica, in caso di errore, deve esserci un responsabile, che si tratti di chi ha dato l'ordine o di chi ha portato avanti l'operazione pur sapendo che avrebbe coinvolto dei civili.

Ma finora nessuno ha mai pagato, se non in termini di disturbi psichici. "È stato dimostrato che i piloti di droni sviluppano lo stesso disturbo post-traumatico da stress dei soldati che vanno effettivamente in guerra" ha detto Meloni. Fino a qualche anno fa si parlava di playstation mentality, ovvero della tendenza dei piloti a vedere le operazioni dei droni come una sorta di videogioco. Ma ex militari come Brandon Briant hanno rivendicato pubblicamente il riconoscimento dei disturbi mentali legati alla loro attività. "Anche se è certamente più facile uccidere dalla distanza, i piloti di droni vedono tutto: chi si trova nelle vicinanze, l'effetto delle esplosioni, i morti. Se agire da lontano vuol dire tutt'altro che avere la coscienza pulita, è il caso che anche il dibattito pubblico se ne accorga" conclude.