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L'attore dell'horror 'Hereditary' dice che girare il film l'ha traumatizzato

Alex Wolff, che nell'horror interpreta un adolescente ribelle, ha parlato proprio di disturbo post traumatico da stress.
Immagine a sinistra via Instagram. Immagine a destra per gentile concessione di Elevation Pictures.  

Grazie a un film horror chiamato Hereditary, l'attore Alex Wolff soffre ora di disturbo post traumatico da stress o PTSD—almeno, pensa di soffrirne. Per dirne una, al telefono mi ha detto di avere dimenticato un paio di scene (perdita di memoria). In secondo luogo, ammette di aver avuto dei flashback abbastanza terrificanti. E terzo, be', lo dice chiaro e tondo.

"È difficile descriverlo, è solo una sensazione," racconta. "Non penso che si possa vivere una cosa simile e non avere, poi, qualche forma di PTSD."

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Lasciando da parte i criteri diagnostici, girare o guardare un film horror non dovrebbe causare niente di simile. Al massimo qualche brivido lungo la spina dorsale. Magari il ricordo dell'urletto tirato a un certo punto. Ma continuare a ruminare sensazioni ben dopo la fine della pellicola? È una categoria di terrore ben diversa, che non dovrebbe avere niente a che fare con i film.

Se è vero che di Hereditary si parla come di un film che fa paura quanto L'esorcista, fare un riassunto del film di Ari Aster non basta a capirne l'impatto. La storia è quella di una piccola famiglia disfunzionale con un ovvio problema di comunicazione. Ci sono una morte, altri episodi preoccupanti, e il pubblico parte per un viaggio molto strano e terrorizzante. Il dolore dei personaggi sembra vero, tanto da sembrare troppo, insopportabilmente troppo.

Io l'ho visto e sì, il fatto che mi abbia lasciato stordito e agitato porta altra acqua al paragone con L'esorcista. A essere onesto, prima di questo film consideravo l'attore emergente Alex Wolff un personaggio da boy-band, anche perché l'avevo visto solo su Nickelodeon con il fratello maggiore Nat, in The Naked Brothers Band, per poi passare a film tipo Jumanji: Benvenuti nella Giungla e simili. Hereditary invece ti fa capire che Alex ha un desiderio quasi masochistico di attraversare ruoli anche belli dolorosi in nome dell'arte attoriale.

Comunque, ho chiesto direttamente a lui dove abbia trovato il coraggio di farlo.

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VICE: Penso che la domanda che tutti si fanno, e ovviamente io la faccio a te, sia che cosa rende Hereditary un film così disturbante. Non è facile descriverlo.
Alex Wolff: Di solito nell'horror i personaggi sono poco sviluppati, tutti si concentrano sulle cose che fanno spavento, sul sangue e sul farti venire il cuore in gola. E invece un film come questo si prende il tempo necessario per lo sviluppo dei personaggi, funziona quasi più come un dramma familiare che come un horror. Se togli tutti gli elementi horror, rimane comunque un tributo commovente ai conflitti di una famiglia, a tutto quello che succede sotto la superficie: senso di colpa, risentimento, un sacco di cose 'esagerate' in questo contesto. La loro maledizione, e i sentimenti che una famiglia prova quando tutto va a pezzi, sono una realtà terribile. Ti penetrano nelle ossa molto più di un tizio con una maschera che va in giro a uccidere.

Devo dire che, per quanto Toni Colette sia fantastica nel ruolo di madre addolorata, anche tu sei stato bravissimo nel passaggio da adolescente tipico a ragazzino spaventato. Cos'hai visto in Peter che ti è sembrato abbastanza interessante da accettare la parte?
Ecco, ottima descrizione. È solo un adolescente difficile che passa a essere un ragazzino spaventato. È esattamente da quello che deriva il mio interesse per lui. Mi sembra che molti adolescenti nei film dell'orrore non siano costruiti come personaggi che soffrono in modo umano, ma che piuttosto vivano il dolore in modo sovrumano. Tutti si aspettano che se succede qualcosa di orribile un adolescente chiami una persona, o chiami i soccorsi. Ma quando succede davvero una tragedia, per un ragazzino può essere troppo da gestire. I ragazzini, soprattutto i maschi, internalizzano quello che succede tenendosi tutto dentro. Ari Aster era fiducioso che il pubblico avrebbe apprezzato la verità di un personaggio che tiene tutto dentro, magari a discapito dell'empatia. Per me è fighissimo. Non ho mai visto una reazione simile prima in scena, solo nelle persone normali.

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Immagino che come attore tu abbia dovuto 'sprofondare' in una sorta di oscurità. Un'oscurità molto diversa da quella tipica di un ruolo horror, un'oscurità molto umana. Penso ad alcune conversazioni tra te e tua madre nel film. Da dove hai preso ispirazione?
Penso che sia in situazioni simili che metto tutto me stesso. Mi sono preparato, anche fisicamente, per rimanere in uno stato di rabbia e prostrazione durante le riprese. Quando è stato il momento della famosa scena della cena, del dialogo con Toni Collette, ero preparato ed era come se seguissi gli altri senza pensarci. Era come una cosa naturale, qualcosa che era già lì.

In un'intervista ho letto degli effetti che Hereditary ha avuto su di te. Puoi parlarmene un po'? Perché penso che la dicano lunga sul film.
Oh, mi è entrato dentro mentre filmavamo, e mi è rimasto dentro dopo. Quando ho preso a parlarne [alla stampa], mi sono cominciati a venire flashback terribili di tutte le cose assurde che avevo visto. Stavo sveglio la notte, ho cominciato a praticare una specie di masochismo emotivo per cui cercavo di appropriarmi di tutti i sentimenti negativi che mi sovvenivano quando ci pensavo. Mi sono costretto a farmi del male, l'esatto opposto di quello che fai di solito nella vita, ovvero sopportare una cosa ma solo finché non diventa troppo. Ho dovuto fare l'esatto opposto e assorbire tutto il dolore, lasciarmi bruciare. È difficile spiegarlo a parole, è una sensazione. Non penso che si possa vivere un'esperienza come questa senza poi uscirne con il disturbo post traumatico da stress.

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Mi viene da chiederti se riesci a rivedere Hereditary.
Sì, be', è strano. L'ho visto la prima volta e, merda, non ricordavo di aver girato una scena [ride]. E non sto scherzando, mi sono detto, "Che cazzo succede? Non me lo ricordo, 100 percento," è strano, no?

Volevo parlare anche della scena della classe, uno dei momenti più scioccanti inclusi nel trailer. Raccontami come hai fatto, voglio dire come hai fatto a sopportarlo mentalmente, stare immobile, poi buttarti con la testa sul tavolo, e poi canalizzare quell'assoluto terrore.
Oh, amico. Ricordo di aver detto ad Ari quando ne stavamo parlando che volevo che mi dessero un banco vero. Gli ho detto, "Senti, voglio un banco vero," e lui mi ha risposto, "Apprezzo l'impegno, ma sono abbastanza certo che mi farebbero causa" [ride]. Quindi ne abbiamo usato uno di schiuma. Allora mi sono abituato all'idea di schiantare la testa in un banco di schiuma. Il giorno dopo mi presento e certo, c'è uno strato di schiuma, ma il sotto è molto molto duro. Quindi sì, ha fatto male. Sbattere la faccia in una cosa che è abbastanza dura, ma comunque dura, è un'esperienza abbastanza unica [ride].

In Gente Comune c'è una battuta in cui un personaggio chiede com'è essere depressi e provare una tristezza infinita, e un altro personaggio gli risponde che è come un buco nero. Cominci a essere risucchiato e alla fine diventi il buco nero stesso. Ho sempre pensato fosse un punto di vista interessante, quindi ho cercato di incorporare quella mentalità, la mentalità dell'essere un buco nero. Non avevo paura della scena perché in quel momento sentivo quelle emozioni. Ero lì, in qualche strano modo ero in controllo di tutta quell'oscurità.

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Questo film è stato traumatico, per te. Perché hai deciso di farlo, e perché hai deciso di interpretare altri personaggi 'oscuri', per esempio l'attentatore della maratona di Boston in Boston - Caccia all'uomo?
Probabilmente perché mi odio, tutto qui. Voglio punirmi e mettermi davanti alle sfide più difficili. No, seriamente, penso che siano ruoli ottimi, fantastici. Tra l'altro, penso che il ruolo di Peter sia completamente diverso da quello in Boston - Caccia all'uomo. In quel film c'è un ragazzino impaurito che però si vende a se stesso come un duro. Ci sono dei momenti in cui anche tu gli credi. Invece la cosa unica di Hereditary è che ero del tutto isolato in un modo che non avevo mai visto. Mi sentivo come se fossi nel nulla, fisicamente. E invece ero nel mezzo di Park City, nello Utah, io e un receptionist d'albergo che sembrava il tizio di Shining. Un'esperienza terrificante.

Be', dai, ora è finita, e questo film ti ha reso parte di una nuova ondata di talenti dell'horror d'autore, insieme per esempio a Get Out. Come ti senti al riguardo?
È una bomba. Dicevo a qualcuno quanto i generi evolvano quando vivono un momento 'caldo'. All'inizio degli anni Duemila uscivano tutte le commedie di Judd Apatow, che hanno dato al genere un momento di grande risonanza critica. Ora il rap sta facendo lo stesso sul piano musicale, prendi l'ultimo disco di Kendrick Lamar e quello di Kanye. E così sta succedendo all'horror. Sono davvero contento di farne parte nel momento in cui è un argomento 'caldo', e la gente ha nuove aspettative nei confronti di un genere che un tempo era secondario.

Per finire, ci dici qual è il tuo film dell'orrore preferito?
Rosemary's Baby, senza se e senza ma. Io sono ossessionato dagli horror. Ho visto tutti quelli che esistono sotto la luce del sole, ma Rosemary's Baby è perfezione assoluta. L'inizio e la fine del film sono perfetti, divertenti, misteriosi e secondo me il film ha una sensibilità simile a quella di Hereditary. È semplicemente perfetto.

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