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Luigi Gubello. Immagine per gentile concessione del soggetto.
elezioni europee

Abbiamo intervistato l'hacker italiano candidato col Partito Pirata alle europee

Evariste Gal0is — che ha svelato le falle di Rousseau nel 2017 — ci ha spiegato perché, nell'Europa di oggi, la salute di internet è un'emergenza da non sottovalutare.
Riccardo Coluccini
Macerata, IT

Negli ultimi due anni il cyberspazio e il mondo della politica italiani sono stati ai ferri corti dopo che ad agosto 2017 un giovane ricercatore di sicurezza informatica, conosciuto con il nome di Evariste Galois, aveva individuato delle gravi falle di sicurezza nella piattaforma del Movimento 5 Stelle, Rousseau, e le aveva debitamente segnalate agli interessati.

Rousseau è una piattaforma centrale nel disegno politico del M5S, che garantisce la partecipazione diretta nelle discussioni politiche ai cittadini, ma quelle gravi falle rischiavano di esporre i dati sensibili degli iscritti e di lasciare aperta la possibilità di manomissioni dei voti — oltre a non prevedere sufficienti garanzie di anonimato nei processi di voto stessi.

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L’Associazione Rousseau, anziché ringraziare il ricercatore per la segnalazione, aveva sporto denuncia, mostrando di non comprendere la differenza fra hacker etico e veri e propri attacchi informatici. Il 4 aprile il Garante per la protezione dei dati personali ha multato l’Associazione Rousseau per 50 mila euro proprio a causa delle vulnerabilità presenti sulla piattaforma. Pochi giorni dopo, inoltre, Davide Casaleggio ha revocato la querela nei confronti di Luigi Gubello, lo studente di matematica che si cela dietro il profilo di Evariste Galois.

Ora, dopo due anni dall’inizio della disavventura con la politica italiana, Luigi Gubello ha un altro obiettivo: il Parlamento Europeo.

Gubello, infatti, si è candidato con il Partito Pirata alle prossime elezioni europee. Motherboard lo ha intervistato per capire perché c’è bisogno ora di parlare di digitale e perché farlo proprio confrontandosi con quella politica che sembra miope su questi temi.

MOTHERBOARD: Perché dopo il casino con Rousseau, gli attacchi e l'esposizione pubblica, hai deciso di scendere proprio nello stesso campo, la politica, da cui venivano i tuoi aguzzini?
Luigi Gubello: Sulla scelta se accettare o meno la proposta di candidatura offertami dal Partito Pirata ci ho pensato un po'. Era febbraio [2019, ndr], e non era un periodo facile, non sapevo ancora come sarebbe andata a finire la mia storia con l'Associazione Rousseau e quindi non ero sicuro di volermi lanciare in nuove avventure.

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Ho deciso di accettare la candidatura a marzo quando il Parlamento Europeo ha approvato la direttiva sul copyright — che personalmente non apprezzo per via degli art. 15 e 17 (ex art. 11 e 13) — perché ho capito che mi veniva offerta un'occasione importante per portare la questione digitale in questa campagna elettorale, e magari in Europa.

Digitale è reale. Una delle equazioni che la politica ma anche le persone fanno ancora fatica a comprendere. Cosa ti preoccupa degli atteggiamenti della politica verso internet?
Sono molti gli atteggiamenti su internet della politica e dei politici che mi preoccupano, e tutti sembrano essere frutto di un'assenza di riflessioni sull'ambito.

Ad esempio, spesso internet e social network sono diventati sinonimi, e con social network si intendono Facebook, Twitter, Instagram, Youtube e WhatsApp, insomma solo le piattaforme più diffuse in Italia, escludendo quasi automaticamente il resto. Vengono citati problemi quali fake news, bot, cyberbullismo e trattamento dei dati, mettendoli nel medesimo calderone come se esistesse una formula generale per risolverli tutti quanti, ma non è così.

Penso che su internet chi ha un seguito molto vasto, ad iniziare quindi dai politici che sono spesso molto seguiti, dovrebbe essere maggiormente attento ai messaggi che vuole mandare e al modo in cui li manda, senza per questo rinunciare alla propria libertà di pensiero. Spesso ci diverte vedere un account popolare "blastare" un perfetto sconosciuto, che magari poi viene preso di mira e deriso anche dai sostenitori dell'account popolare.

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Personalmente non ci trovo niente di divertente, non si fa altro che mettere alla berlina una persona di cui non conosciamo nulla, in un "tutti contro uno" che può essere psicologicamente violento.

E tutto questo, ovviamente, non aiuta e non accresce minimamente la qualità del dibattito. Il comportamento delle persone su internet, in particolar modo sui social network, non lo si potrà migliorare aumentando i controlli, come ciclicamente viene proposto [recentemente persino +Europa ha suggerito “l’introduzione di un sistema di IDENTITÀ VIRTUALE CERTIFICATA per tutti gli utenti,” in modo da combattere l’anonimato, ndr], ma solo investendo in educazione, sia per le giovani generazioni sia per quelle meno giovani perché bisogna ricordarsi che il concetto di "social network" è recente e internet si è diffuso rapidamente solo negli ultimi 15 - 20 anni.

La battaglia sul copyright si è conclusa da poco. Ti aspettavi tutta questa partecipazione? È un segnale che ci stiamo rendendo conto dell'importanza dei diritti digitali?
La battaglia sul copyright, e in particolare sugli ex articoli 11 e 13, si è conclusa da poco, non con una vittoria purtroppo. La partecipazione pacifica contro questa direttiva è un segnale importante, positivo, ma non posso far a meno di pensare che solo una parte dell'Europa si è mobilitata attivamente per protestare contro questa direttiva.

In Germania e nel Nord Europa è stata maggiormente sentita, segno che per quei cittadini europei il modo in cui viene regolamentato internet e come vengono trattati i propri dati è un problema serio di cui la politica deve occuparsi ora. In Italia l'approvazione di questa direttiva è stata più silenziosa, ha creato meno dibattito, nonostante l'attivismo di luglio 2018 [oscuramento di Wikipedia, ndr] e anche il recente auto-oscuramento di TNT Village.

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Questo vuol dire che bisogna impegnarsi per far arrivare maggiormente nel dibattito pubblico problematiche importanti come quelle del trattamento dei dati o quelle che riguardano la regolamentazione — e il modo in cui lo si vuole regolamentare — di internet, perché influirà sulle nostre vite. Anzi già adesso è così.

Che ruolo avranno i giovani nel futuro di internet? Al momento si parla moltissimo dei pericoli per i giovani legati all'uso degli smartphone ma sembra che non siano ascoltati veramente. Il loro è un punto di vista privilegiato per comprendere la tecnologia?
Le generazioni più giovani, nascendo immerse in queste tecnologie e conoscendo da sempre termini come "smartphone", "social network", "internet", risultano — almeno nella mia personale esperienza empirica — più attente all'utilizzo di determinati strumenti, anche se non è detto che l'utilizzo sia sempre corretto.

Le problematiche digitali — così come l'emergenza climatica — saranno maggiormente sentite dalle generazioni future. La speranza è di non arrecare troppi danni all'internet che lasceremo a loro.

Imparano a usare strumenti digitali piuttosto in fretta, anche se spesso lo fanno da autodidatti, non ricevendo una reale educazione digitale e questo può portare ad avere in futuro persone con conoscenze superficiali o parziali circa gli strumenti digitali, anche se sapranno usarli. Ritengo che le problematiche digitali — così come l'emergenza climatica — saranno maggiormente sentite dalle generazioni future. La speranza è di non arrecare troppi danni all'internet che lasceremo a loro.

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Gli Stati sono sempre più favorevoli all'adozione di filtri per i contenuti online. Saranno introdotti per il copyright, sono stati proposti per i contenuti terroristici, e vengono quotidianamente applicati per contenuti sessuali. Stiamo criminalizzando preventivamente gli utenti? Quali saranno le conseguenze?
È difficile prevederne le conseguenze con esattezza, si possono azzardare delle ipotesi. In un internet sempre più controllato da molti Stati in giro per il mondo — penso a Russia, Corea del Nord, Cina, Turchia e molti stati in Africa e in Asia — penso sia un triste segnale quello che viene mandato dai paesi più democratici regolamentando filtri sul caricamento dei contenuti. Filtri che fra l'altro, almeno per il momento, sbagliano spesso.

Personalmente non mi piace l'idea di filtri sui contenuti caricati, i filtri possono sbagliare, limitando la possibilità di espressione e male si sposano con la privacy, inoltre solo le piattaforme più grandi possono munirsi di filtri minimamente funzionanti (ma non per questo infallibili) e per le piattaforme più piccole questo non sarebbe fattibile.

Legalizzare o formalizzare l'uso di filtri per i gestori privati potrà limitare le nostre libertà — ad esempio Instagram, come scelta volontaria, filtra o tenta di filtrare praticamente ogni foto di nudo by default — senza però risolvere determinati problemi, penso al cyberbullismo o la diffamazione pornografica. Queste problematiche si sposterebbero, come già è avvenuto e avviene, su altre piattaforme non dotate di filtri o semplicemente crittate — penso ai servizi di messaggistica dotati di crittografia end-to-end (E2E). Quindi, se continuiamo a seguire questa idea sbagliata dei filtri, alla fine ci ritroveremo a dover scegliere tra privacy o niente privacy.

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Si continua a parlare moltissimo di bot e campagne di disinformazione straniere. Credi siamo veramente in una situazione di emergenza?
Non ci sono prove evidenti di tentativi di ingerenza straniera in Italia o almeno io non ne sono a conoscenza. Non si può dire lo stesso di paesi come la Germania o gli Stati Uniti, dove grossi servizi web — penso a Twitter — hanno pubblicato le proprie analisi e i potenziali account di propaganda, confermando tentativi stranieri di inquinare il dibattito.

Invece bisognerebbe preoccuparsi, al più, delle campagne di propaganda in un termine più ampio, sia che siano condotte da paesi stranieri che internamente da cittadini, organizzazioni o partiti per ottenere un vantaggio elettorale.

A volte l'ingerenza sta nel semplice gonfiare i numeri di un determinato politico, o diffondere — tramite fonti certe come un giornale nazionale — un determinato tipo di notizie, magari narrate in un determinato modo, per influenzare l'opinione online. Non sono sempre notizie completamente false e facilmente riconoscibili e non è detto che queste tecniche siano usate per forza da Stati stranieri, anzi non mi stupirebbe il contrario.

L'informazione di qualità può essere la chiave per generare anticorpi contro questo fenomeno: titoli meno sensazionalistici, anche a costo di perdere qualche click, maggior qualità nella narrazione delle notizie, maggiori attenzioni alle fonti citate, evitando di prendere la notizia da un sitarello anonimo che nessuno conosce.

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Cosa ti aspetti dalle elezioni europee e dal partito pirata nei vari paesi? Pensi che sia un punto di svolta?
Penso che il punto di svolta ci sia stato con Julia Reda che quasi da sola è riuscita a mobilitare moltissime persone e a portare l'attenzione sulla direttiva sul copyright.

Dai Pirati nei vari paesi — compresa l'Italia — mi aspetto quindi che siano l'inizio di un dibattito pubblico riguardo internet e i molti temi ad esso legato: la necessità di mantenere la Net Neutrality, la necessità di mantenere il diritto all'anonimato, la necessità di educare i cittadini, di contrastare fenomeni come il linguaggio d'odio, il cyberbullismo, la diffamazione pornografica.

Insomma, il digitale è entrato in tantissime forme nelle nostre vite eppure nessuno ci ha spiegato come approcciarci. Mi aspetto quindi una maggior attenzione a queste tematiche.

In un'epoca in cui vediamo il riemergere di estremismi di destra, cosa dovremmo rispondere alle persone che magari pensano non sia prioritario preoccuparsi per la salute di internet ora?
L'estrema destra ha trovato proprio in internet una propria forza: è riuscita a creare collegamenti tra persone distanti, è riuscita a ottenere visibilità e viralità approdando poi sui media, consacrandosi. internet purtroppo è stato usato anche per alimentare le idee di estrema destra a livello globale, non si può negare.

Ed è proprio per questo che bisogna preoccuparsi per la salute di internet, perché qualcosa è andato storto. Siamo responsabili di quello che scriviamo e condividiamo e non possiamo tollerare un linguaggio d'odio. Non per questo però dobbiamo limitare internet e schedare preventivamente le persone se vogliono navigare online. Non bisogna rinunciare alla libertà per maggior sicurezza, non in maniera eccessiva almeno.

Segui Riccardo su Twitter: @ORARiccardo

Quest’intervista è stata editata per ragioni di brevità e chiarezza.