La cultura gastronomica bolognese è stata candidata a Patrimonio Unesco. L’iniziativa, presentata lo scorso 2 dicembre, non ha stupito nessuno: Bologna rimane un simbolo della buona cucina, in Italia e nel mondo, anche se spesso lo fa giocando sugli stereotipi de ‘La Grassa’ e asserragliandosi in un tradizionalismo che puzza di oscurantismo.Un guscio di sfoglia ripieni di tagliatelle al tartufo, ragù, besciamella e prosciutto. A chiuderlo due tortellini, l’ombelico di Venere appunto.
Siamo nel 1962, a Bologna, più precisamente in Piazza Verdi. Quello che ora è il centro della vita universitaria allora era sede di un ristorante chiamato Al Cantunzein, aperto da Evio Battellani, maître molto noto in città per la personalità carismatica e la professionalità impeccabile. Googlando un po’ mi sono imbattuta in un blog Wordpress, Al Cantuzein, non più aggiornato dal 2014: è stato aperto dal nipote di Battellani e contiene una manciata di post sulla storia del ristorante. Sono poi andata oltre. Saltellando da un profilo Facebook all’altro ho trovato il signor Claudio Maccaferri, che in quegli anni lavorava proprio lì, l’ho contattato e sono riuscita ad ottenere qualche altra informazione e perfino alcune fotografie.All’epoca la cucina bolognese era all’avanguardia nel mondo. Servivamo 30 o 40 tipi di pasta di cui proponevamo ai clienti assaggini finché resistevano.
Al Cantunzein a New York
Nel 1968 un concorso indetto dal quotidiano locale Il Resto del Carlino elesse la cuoca Maria Gaddoni “cuoca d’oro”. Lo scrigno di Venere non è stata l’unica ricetta ‘originale’ del ristorante. Maria Gaddoni, anche lei romagnola d’origine, aveva creato diversi piatti quantomeno curiosi, come i Tortellini alla Nerone (flambé), la Costoletta di Eva. “La Gaddoni era uno spettacolo. Era solo cinquantenne ma noi ragazzini sembrava già vecchissima. Con lei siamo anche andati a fare una manifestazione a Milano dove abbiamo servito un garganello ripieno di tortellini con salame dolce e gratinato. Era una sfida tra regioni ma alla fine ha vinto il Trentino Alto Adige con un risotto a base di mele… una roba che all’epoca ci sembrava pura innovazione!”.Maria Gaddoni aveva creato diversi piatti quantomeno curiosi, come i Tortellini alla Nerone (flambé) o la Costoletta di Eva.
Al Cantunzein Cuochi
Nel suo programma radiofonico “Viaggio in Italia” Guido Piovene diceva che “Bologna ha la più ricca e celebre cucina d’Italia. La sua caratteristica è che il numero degli ingredienti non sembra mai sufficiente, come in certe chiese barocche, dove rimane sempre un ornato da aggiungere”. Lo Scrigno di Venere ben rappresenta quell’età dell’oro, un momento di rinascita e abbondanza, ottimismo e leggerezza. La fine degli anni Settanta ha portato un brusco risveglio che, per il Cantunzein, porta una data precisa: 12 marzo 1977. Gli scontri studenteschi seguiti alla morte di Francesco Lorusso hanno portato alla distruzione completa del ristorante, visto come simbolo della borghesia cittadina, in quanto frequentato da personaggi famosi e anche dal sindaco: “Io non do la colpa agli studenti ma ai delinquenti comuni che si sono uniti alle proteste. Ci avevano rubato tutto, dato fuoco al resto. Per me lì si è spenta un’epoca. Certo di grandi ristoranti ce ne sono stati e ce ne sono ancora, ma è come se avessimo un po’ smesso di osare, ci fossimo fossilizzati. Con Battellani volevamo aprire a New York, sulla Quinta Strada, poi lui si ammalò e morì. Ho lasciato lì un pezzo del mio cuore.”Ora i ristoranti bolognesi che propongono lo Scrigno sono tre. Solo uno di essi, però, è quello “vero”. Alla Fermata del Gusto lo Scrigno di Venere viene parecchio rivisitato: nel ripieno non ci sono più tagliatelle bensì tortellini e il guscio è preparato con pasta brisé. “Noi ne facciamo due versioni,” mi raccontano. “Quello classico è con la pasta brisé, che secondo noi protegge meglio il ripieno della pasta sfoglia e tiene meglio la cottura. Il ripieno è di tortellini, pasticciati con besciamella e ragù. In stagione ne facciamo una versione con crema di Parmigiano e tartufo. Li facciamo pagare rispettivamente 18 e 22 euro.” Simile a quello che, mi spiega Maccaferri, era il Manicaretto Garisenda un tempo proposto dalla Rosteria da Luciano (che ora ha cambiato gestione): un guscio di sfoglia ripieno di tortellini.Gli scontri studenteschi seguiti alla morte di Francesco Lorusso hanno portato alla distruzione completa del ristorante
Lo Scrigno di Venere del Nuova Roma pre-cottura
Lo Scrigno di Venere del Nuova Roma sezionato
Lo Scrigno di Venere a metà cottura
La sfoglia si taglia con il coltello e si deve aprire, proprio come uno scrigno, non chiudere come la brisé.
L'interno dello Scrigno di Venere
“Lo Scrigno vero è questo. Anche gli altri possono essere buoni eh, però non sono quelli veri,” commenta Facchini. “La sfoglia si taglia con il coltello e si deve aprire, proprio come uno scrigno, non chiudere come la brisé. I gusci con i tortellini sono più simili al timballo alla ferrarese.”Lo Scrigno di Venere ha compiuto 50 anni ed è un piatto quasi dimenticato, un simbolo di un modo di fare ristorazione in cui ogni ristorante aveva il suo piatto icona
Lo scrigno di Venere dell'Oasi di Sasso Marconi
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