Il deserto è il figlio bastardo di Jim Mangan

Jim Mangan è una nostra vecchia conoscenza, che ha riempito di meraviglie le pagine di VICE durante gli ultimi anni. Di solito vaga per le dune dei deserti americani, ma di recente è capitato a New York e si è fermato alla nostra redazione sulla Costa Est per fare ciao e omaggiarci di un paio di copie del suo ultimo libro, autopubblicato, Bastard Child. Noi l’abbiamo ringraziato e tutto, ma alla fine ci piacevano così tanto il libro e la serie di foto che ha fatto nel Sud-ovest degli Stati Uniti, Time of Nothing, che gli abbiamo chiesto di rispondere a qualche breve domanda, perché anche voi che leggete siate informati sui suoi capolavori. 

VICE: Nella tua serie precedente i paesaggi erano abitati da qualche presenza umana, ma ora sembra che tu ti stia concentrando soprattutto sul documentare il paesaggio in sé. 
Jim Mangan: Quasi tutte le foto (tre sono state scattate in California, Wyoming e Nevada) sono state scattate nel deserto dello Utah, che secondo me, da un punto di vista strettamente paesaggistico, è il posto più interessante della Terra intera. Ho passato un sacco di tempo a esplorare diverse aree nella parte meridionale dello Utah—ognuna ha le sue caratteristiche e la sua bellezza, e, in ultima analisi, sembrano pianeti diversi anche se sono distanti solo 30 o 40 minuti l’una dall’altra. I panorami che potete vedere nelle foto rappresentano i luoghi verso cui continuavo a essere risospinto. Inizialmente volevo scoprire sempre nuovi posti, ma via via che li visitavo mi rendevo conto di quanto alcuni fossero più speciali. Più li vedevo e più entravo in connessione con essi. Penso che se mi fosse stato tolto il privilegio di stare in questi luoghi magici, sarebbe stato come se una ragazza di cui sono totalmente innamorato mi mollasse e non volesse avere più niente a che fare con me—sarei stato distrutto. 

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Quindi sì, effettivamente negli ultimi mesi mi sono concentrato di più sui paesaggi, ma ho intenzione di continuare anche con i ritratti di persone e la fotografia figurativa. Sono alcune di queste foto che hanno ispirato il progetto di Time Of Nothing, scatti astratti di paesaggi intorno al Great Salt Lake, ma ce ne sono alcune che mi sono servite da stimolo anche per lavori figurativi come “Bedu“. 

Le foto sembrano anche mostrare gli effetti delle imposizioni umane sull’ambiente: strade, ponti, case, etc. Che ruolo ha l’azione umana sulla natura nel tuo lavoro? C’è un messaggio implicito?
Prima di tutto ho voluto sottolineare i diversi strati e i colori di questi luoghi praticamente desolati, ma, una volta che ho cominciato a rivedere le immagini, ho realizzato di voler anche evidenziare il fatto che l’uomo è sempre in agguato e pronto a mandare tutto in vacca. Spero che si noti questo sottile richiamo.

Ce n’è una dove si vede un uomo che sta in piedi in un rifugio, intento a guardare le montagne del deserto dalle finestre polarizzate davanti a lui. È una metafora del fatto che molti di noi abbiano una vista sul mondo mediata unicamente dai computer, dalla TV e dagli smartphone.

Come ha influenzato Bastard Child il lavoro su Time Of Nothing?
Ho iniziato a scattare per Bastard Child da terra, perchè come ho detto stavo cercando di immortalare tutti gli strati del deserto dello Utah. Ho deciso poi di fotografare alcune delle mie aree preferite dal cielo, e sono salito sul Cesnna dell’amico di un amico che fa il pilota. Siamo partiti da Salt Lake City volando bassi sul Great Salt Lake e ho scattato alcune foto, che nella mia intenzione dovevano essere astratte. Quando le ho sviluppate, mi facevano impazzire e ho capito di avere tra le mani qualcosa di veramente speciale, cosi ho voluto creare un progetto che approfondisse la rappresentazione di questi strati in un modo più astratto e pittorico.

Molte delle immagini, certo bellissime e stimolanti, confondono l’occhio in termini di profondità e distanza. L’hai fatto di proposito?
Era sicuramente mia intenzione con alcuni scatti, ma non inizialmente. Scattando dall’alto, tutto ha cominciato a evolversi, e i paesaggi sono venuti fuori più astratti. Mi sono affidato a quel che sentivo in quel momento, ma ero molto fiducioso nel risultato. 

Guardando le foto, mi veniva da pensare sia alla land art degli anni Settanta sia alle immagini satellitari. Sei stato influenzato da questo tipo di immagini, o sono solo io che mi faccio i viaggi?
È proprio adesso, attraverso questa intervista, che sto cercando di definire il progetto, ma in realtà voglio che le persone interpretino il mio lavoro come vogliono, sperando che trovino qualcosa che le ispiri. Per me, qualsiasi sia l’interpretazione che ne dai, mi va bene. Ho scattato il 95 percento delle foto con una vecchia Leica R3 SLR del 1976. In questo senso, ci hai preso.

Avresti potuto fare questo reportage in qualche altro posto, o solo nel Sud-ovest degli Stati Uniti?
Allora, no. Avevo già un legame particolare con quest’area, una specie di relazione. Vivo nello Utah da più di 11 anni ormai, e ho sviluppato una stretta connessione con quello che mi circonda, è molto importante per me questo legame. Detto questo, penso che la mia esperienza nello Utah e nella natura possa essere un trampolino per fotografare altri paesaggi. Magari svilupperò con essi altri tipi di legami simili. Devo pensarci.

Perché il nome Bastard Child?
Una volta che ho realizzato Time Of Nothing mi è sembrato come se fosse esattamente quello che avevo in mente di fare, per cui ho messo da parte le immagini “bastarde”; che sono appunto quelle che poi sono finite in Bastard Child. Ovviamente all’inizio erano solo le foto che non volevo mostrare, foto che in qualche modo ritenevo non abbastanza valide: che in effetti è quello che succedeva un tempo ai bastardi. Ad ogni modo, mi sono reso conto, lasciando in un canto le foto e tornandoci dopo, che erano belle e che esprimevano qualcosa che amavo.

I lavori di Jim sono attualmente in mostra alla Deichtorhallen House of Photography di Amburgo e allo Utah Museum of Contemporary Art di Salt Lake City. 

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Altre foto di Jim Mangan:

Intervista a Jim Mangan, fotografo di copertina del Photo Issue

Bedu