FYI.

This story is over 5 years old.

Stuff

Come San Marino è diventato un paradiso della mafia

Di solito quando si pensa a San Marino viene in mente una repubblica con un altissimo tenore di vita. Ma dal 2011 i suoi vertici sono al centro di inchieste per riciclaggio di soldi della 'ndrangheta e per un patto non a caso chiamato "scellerato".

Il boss Raffaele Stolder è un personaggio associato a molte leggende. Si narra che abbia sfruttato la profonda conoscenza della rete fognaria di Napoli per mettere a segno diversi colpi. Che abbia confidato alla nipote di non poter guardare la fiction Carabinieri perché solo a sentirne il nome si sentiva male. E che una volta sia stato in grado di 'movimentare' il pibe de oro Diego Armando Maradona per promuovere un centro sportivo finito nella rete dei suoi racket.

Pubblicità

Nel 2008 in Campania il suo nome era conosciuto, ma nella Repubblica di San Marino, il microstato affacciato sulla costa Adriatica che dista un tiro di schioppo da Rimini, non diceva niente a nessuno. O quasi. Lui però il monte Titano lo conosceva bene. Il 13 agosto, parlando al telefono con un suo collaboratore, l'aveva affermato senza mezze misure. Esprimendo anche un giudizio: "Questo Paese io lo adoro."

Il suo era uno slancio affettivo di convenienza. A San Marino, infatti, ci avrebbe fatto passare i soldi fruttati dalle attività criminali del suo clan. Entrati sporchi e usciti puliti, grazie a una centrifuga chiamata 'riciclaggio'. Le lavatrici sammarinesi le avrebbe fatte lavorare anche per conto di altri 'amici' della camorra. Con l'aiuto, indispensabile, di qualche uomo attivo sul territorio. A San Marino, dunque, qualcuno sapeva, perché direttamente coinvolto nelle operazioni. Ma per il resto della cittadinanza la situazione era diversa. Sul Titano, in quel periodo, parlare di camorra poteva causare al massimo una risata. I pochi che indicavano la presenza delle infiltrazioni malavitose venivano snobbati o derisi, membri di governo e parlamentari interpretavano i sospetti come offese, le casalinghe facevano spallucce. Ma i canali c'erano già, ed erano alla luce del sole. Dodici banche, una settantina di finanziarie e una miriade di gru. La malavita organizzata aveva messo piede nei 60 chilometri quadrati del territorio sammarinese con un carico di banconote e di mattoni.

Pubblicità

Ricchezza nella ricchezza, perché San Marino, prima che la crisi economica picchiasse anche lì, era nota per l'alto tenore di vita rispetto al circondario, un'aspettativa di vita fra le più alte al mondo e un welfare state esteso e quasi impeccabile. Farmacie pubbliche, mense pubbliche, scuole pubbliche, una pubblica amministrazione che comprendeva circa un quarto dei lavoratori. Imprenditori appagati, politici chiacchierati ma mai scalfiti da una prova che ne confermasse i presunti sgarri. Microcriminalità praticamente assente. Un sogno.

Bisogna aspettare il luglio del 2011 per sentire esplodere il primo colpo. Quello che disturba il sonno. È simbolico, e viene dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Catanzaro. Il presidente e il direttore del Credito Sammarinese, una delle banche del Titano, finiscono in cella. Sono accusati di essere legati al riciclaggio dei soldi del narcotrafficante della 'ndrangheta Vincenzo Barbieri, ucciso qualche mese prima per un regolamento di conti in provincia di Vibo Valentia, in Calabria. Il Credito Sammarinese, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, navigava in pessime acque. E i 15 milioni di euro messi sul piatto da Barbieri, di cui sarebbe arrivata solo una quota ridotta, facevano pensare a un futuro a gonfie vele.

In settembre il secondo botto, quello che sveglia. Livio Bacciocchi, notaio sammarinese ritenuto il 'dominus' della finanziaria Fincapital, viene arrestato e accusato di aver partecipato al riciclaggio di diversi milioni di euro provenienti dal clan di Stolder, il boss che adora San Marino.

Pubblicità

Ma quello che fa mormorare di più è il presunto "patto scellerato" indicato dagli inquirenti partenopei, secondo i quali sarebbe esistito un legame fra le persone coinvolte e la politica del Titano. Boom. A Palazzo Pubblico, la sede del parlamento sammarinese, i volti sono tesi. È l'ennesima batosta. Nel 2009 l'allora ministro dell'Economia italiano Giulio Tremonti aveva inserito il Titano nella Black List dei paradisi fiscali. Il che si traduceva in una sorta di diffida, per le imprese della penisola, nel fare affari con San Marino. Un mezzo embargo che aveva colpito duro l'economica locale e segnato l'inizio della crisi nella crisi, con quella internazionale a peggiorare la situazione, sommata inoltre alla stretta dichiarata da tempo dal G8 nei confronti dei Paesi offshore.

Le organizzazioni internazionali, su tutte il Moneyval, l'organismo per l'antiriciclaggio del Consiglio Europeo, avevano spinto San Marino a rivedere le norme che permettevano di schermare l'identità di chi faceva girare i soldi sul Titano e tappare i buchi nei quali i criminali potevano far circolare il denaro senza dare nell'occhio. E così era successo: leggi approvate, organismi di vigilanza attivati, verifiche superate.

Ma ora che il caso Fincapital è scoppiato i sospetti che screditano i palazzi che contano, gli stessi nei quali sono state partorite le norme antiriciclaggio, suggeriscono una reazione. Il parlamento sammarinese decide così di creare una commissione d'inchiesta con la quale i politici saranno chiamati a indagare sull'operato dei loro stessi colleghi. Lo scetticismo, alla vigilia, è molto. Anche perché il primo presidente del gruppo, che si dimetterà dopo essere stato messo sotto pressione per altri fatti, è il nipote di uno dei leader più discussi, Gabriele Gatti. A San Marino i legami di parentela sono quasi inevitabili. Il corpo elettorale è formato da circa 32.000 unità, il parlamento composto da 60 seggiole. Per entrarci possono bastare meno di 200 voti, in un Paese in cui l'affluenza alle urne dei residenti oscilla attorno al 90 percento da oltre mezzo secolo e la rivoluzione che a inizio anni Novanta ha cambiato la facciata della politica italiana non si è quasi sentita. Il primo partito di San Marino è la Democrazia Cristiana. E i Gatti ne fanno parte.

Pubblicità

Nel frattempo esplode il terzo colpo. Quello che conferma. È il gennaio del 2012. Il patron di una delle più radicate aziende locali, la Karnak, attiva nel settore degli articoli per ufficio, finisce in manette perché coinvolto, a detta degli inquirenti di Rimini, in una complicata vicenda di estorsioni e ricatti nella quale spunta lo zampino della malavita organizzata. Attorno ai traffici della camorra emersi in precedenza girava al massimo qualche minaccia in odore di polvere da sparo, mentre qui vengono segnalate bombe molotov, soggetti che dondolano dalle finestre mentre qualcuno minaccia di buttarli di sotto, uomini incaricati di inquietare la moglie e i figli del 'nemico'. La faccia violenta, ma non assassina, della malavita organizzata.

I mesi passano, il parlamento introduce il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, la commissione antimafia ascolta i testimoni, legge, studia, batte le dita sulla macchina da scrivere. La sua relazione, dopo 73 sedute e 54 audizioni, arriva nel settembre del 2012. Ne emerge un quadro con molte sfumature, ma anche con tratti ben definiti. Da quanto ricostruito, Gabriele Gatti e Fiorenzo Stolfi, un altro big della politica sammarinese, targato però centrosinistra, avevano "coltivato rapporti" con le principali persone coinvolte nel riciclaggio dei soldi di Stolder. Le compravendite di appartamenti e terreni, inoltre, occupano una buona parte del documento. È la conferma che l'edilizia è uno dei principali sfoghi dei proventi delle attività illecite. A San Marino si costruiva a go-go, gli ispettori venivano sistematicamente corrotti per chiudere entrambi gli occhi, ma di fronte a chi li ha tenuti aperti c'erano circa 8.000 appartamenti sfitti, apparentemente inutili.

Pubblicità

Il simbolo più netto e severo è rappresentato da un cantiere denominato ex-Symbol. Domina incompleto da anni sulla principale strada che sale sul monte Titano. Qualcuno, preso dallo sconforto, nel 2010 si era arrampicato sull'impalcatura e aveva affisso uno striscione con una scritta a bomboletta spray: "Abbattete 'sta merda". Il messaggio era stato rimosso dopo poche ore. Il cantiere, oggi, è ancora lì.

Di fronte c'è una delle vecchie sedi del Credito Sammarinese, vuota. Negli anni il numero delle banche si è dimezzato, quello delle finanziarie è sceso a una quindicina. Sul fronte del riciclaggio, nel 2012 il tribunale sammarinese apre 22 inchieste e sequestra sette milioni di euro, che nel 2013 lievitano a 19,5. Sembra che San Marino stia reagendo, ma le grane continuano a emergere.

Nel marzo del 2014 da Milano scatta un'operazione che colpisce un'organizzazione affiliata alla 'ndrangheta con base in Brianza. Secondo gli inquirenti riciclava soldi passando (anche) per la piccola repubblica. Si parla di 500.000 euro al mese, filtrati da una finanziaria chiamata Fin Project, la stessa che finirà al centro di un caso ribattezzato 'tangentopoli sammarinese', con il quale il tribunale di San Marino sembra intenzionato a scoprire i traffici più o meno leciti degli esponenti di spicco dei governi degli ultimi decenni. Quella indicata dalla magistratura è un'organizzazione che ricicla il denaro della malavita all'interno di una cornice nella quale trovano spazio corruzione e voto di scambio. Ma ciò che emerge, fra le altre cose, è che sarebbero stati proprio i politici sammarinesi ad andare in cerca della mafia. In Italia. In Cina. E altrove.

Il vaso di Pandora è stato scoperchiato, ma i verdetti definitivi sono ancora lontani. I procedimenti corrono su diversi binari, molti processi devono ancora iniziare, altri sono in corso. I vertici del Credito Sammarinese, al primo dei molti round previsti, sono stati assolti. Intanto chi è stato messo alle strette continua a pensare al portafogli. Fiorenzo Stolfi, che nel 2013 aveva dichiarato un reddito di 6.000 euro e il possesso di un ciclomotore, quando passava di fronte al cantiere ex-Symbol lo faceva al volante di una Porsche 911 cabrio. L'auto, messa sotto sequestro, è rimasta a prendere la polvere per sei mesi. Poi i suoi legali hanno chiesto di venderla, per evitare la svalutazione. I 30.000 euro che ha fruttato sono nelle mani dei giudici.

Come le verità di questa faccenda.